(“King Lear” – 1605 – 1606)
Traduzione di Agostino Lombardo
Introduzione – Riassunto
Atto I
Atto II
Atto III
Atto IV
Atto V
Introduzione al teatro di Shakespeare
Elenco opere teatrali
Introduzione
La storia che ne fornisce l’intreccio principale affonda le radici nell’antica mitologia britannica. È una tragedia straordinaria a doppio intreccio nella quale la trama secondaria contribuisce a far risaltare e a commentare i vari momenti dell’azione principale.
La storia di Lear.
Lear era un leggendario sovrano della Britannia, benché sia ovvio che la sua vicenda faccia parte del patrimonio folcloristico delle più svariate culture. Il Lear “storico” sarebbe vissuto poco prima del tempo della fondazione di Roma, ossia nell’VIII secolo a.C.; secondo uno scritto latino Lear, approssimandosi la vecchiaia, aveva deciso di dividere la Britannia fra le sue tre figlie e i mariti che egli avrebbe loro assegnati, pur mantenendo l’autorità regale. Quando chiede loro di dichiarare l’affetto che gli portano, Cordelia, la figlia minore, disgustata dalla sfacciata adulazione delle sorelle Gonerill e Regan, risponde che il suo affetto è quello dovuto da ogni figlia a ogni padre. Lear adirato la disereda, mentre dà in moglie le altre due figlie rispettivamente al Duca di Albany e al Duca di Cornovaglia, che diventano governatori ciascuno di metà del suo regno. Poco dopo il Re di Francia, e cioè di un terzo della Gallia, avendo notizia della bellezza di Cordelia, la sposa rinunciando alla dote e la porta con sè. Molto tempo dopo i due governatori insorgono contro Lear e lo depongono; egli si reca allora presso la figlia in Gallia, dove viene bene accolto. Il Re di Francia raduna un esercito e conquista l’intera Britannia, restaurando Lear sul suo trono. Dopo altri tre anni, però, in seguito alla morte sia di Lear che del Re di Francia, Cordelia rimane sola regina di Britannia. Passano altri cinque anni di pacifico governo, allorché il figlio del Duca di Albany ed il figlio del Duca di Cornovaglia si ribellano a Cordelia e dopo una lunga guerra la fanno prigioniera. La regina spodestata si suicida in carcere.
La storia di Gloucester.
Si direbbe proprio che la coloritura arcadico-cavalleresca del Re Lear abbia indotto Shakespeare a cercare lo spunto per la trama secondaria della sua tragedia in un capolavoro di quel genere letterario. In questo modo Shakespeare ha portato avanti la storia di Gloucester e presentato la macchinazione di Edmund (suo figlio bastardo), il quale è deciso a vendicarsi dell’ingiusta infamia che pesa su di lui dalla nascita comportandosi come se fosse un figlio legittimo contro il suo nobile ma ingenuo fratello Edgard, che è costretto a fuggire attraverso i campi travestito da accattone demente. È stata una mossa di straordinaria audacia, da parte di Shakespeare, quella di riunire nello stesso dramma Edgardo, che si finge pazzo, Lear, che sta diventando pazzo per davvero, e il buffone (il pazzo); egli è riuscito a tenere separati questi tre livelli di follia. Shakespeare pone il problema del rapporto che esiste tra ingenuità e forza morale di realizzazione: Edgardo, con la sua ingenua credulità, è la causa della situazione in cui viene lui stesso a trovarsi e della crudele sorte che tocca a suo padre, il Conte di Gloucester. Così Edmund definisce Edgard: “un nobile fratello così lontano dal fare del male che non sa che significhi sospetto”.
Shakespeare ebbe la straordinaria capacità di organizzare un discorso teatrale estremamente articolato e insieme unitario attingendo ai materiali accumulati da tutta una tradizione narrativa, così da creare una nuova struttura autonoma. L’efficacia drammatica di Lear risiede soprattutto nella forza espressiva dei personaggi. L’elemento che domina tutta la parte centrale del dramma è la pazzia di Lear, che coincide con la tempesta e lo sconvolgimento della natura; il temporale era presente marginalmente nel dramma di Lear, in funzione di ammonimento celeste a un sicario; ora diviene proiezione a livello cosmico della follia umana di Lear, e d’altra parte tale follia è a sua volta manifestazione di quello sconvolgimento, che coinvolge valori religiosi e sociali. Le cosiddette leggi divine sono giochi di ragazzi crudeli e la totale sovversione dei ruoli sociali è chiara nella scena della tempesta, con un re spodestato, un conte nella parte di servitore (Kent) e un altro nobile (Edgar, figlio legittimo del Conte di Gloucester ed erede del titolo di Gloucester) in quella di mendicante pazzo; con amara ironia il vecchio Conte di Gloucester, che non è stato ancora accecato e perciò non sa vedere nulla, nel soccorrere il re vuole che sia rispettata la gerarchia, ed offre a quest’ultimo il ricovero di un granaio, ma cerca di scacciare il mendicante in una capanna; solo la pietà per la follia di Lear che – divenuto uomo fra gli uomini – vuole portare con sè il mendicante, lo induce ad acconsentire, ma affida la bisogna di occuparsi del poveretto a Kent che egli crede un servitore. La follia ha permesso a Lear di vedere chiaro, di giungere alla radice della natura umana, all’uomo in sè. Il Matto che si accompagna a Lear, personaggio che non si trova in nessuna delle fonti rappresenta forse la più grande intuizione drammaturgica di Shakespeare: è il caso di una parola che si è incarnata imponendosi come personaggio.
Il Matto è la pazzia di Lear, e cioè la sua saggezza, è anzi la figurazione concreta della coscienza (e consapevolezza) di Lear, coscienza del proprio errore di giudizio, della propria “cecità”, e appunto della propria follia – coscienza come rimorso e come illuminazione. Il Matto è la dimostrazione anche della straordinaria maturità di Shakespeare come uomo di teatro: in una vicenda che comportava l’assenza dalla della principale figura femminile per tutta la parte centrale del dramma, il Matto compensa e sostituisce l’assenza dell’eroina assumendone la funzione. Lear si fonda sulla figura della metafora. Quando ci si sia resi conto di questo, appare subito chiaro il perché dell’introduzione della trama secondaria assente nelle altre tragedie, e proprio di quella trama attinta ad una fonte che non sembrava aver nulla a che fare con quella della trama principale. In altre parole, la trama secondaria, la storia di colui che Shakespeare ha chiamato Gloucester, è il referente “reale” di quell’immensa metafora che è la storia di Lear, allo stesso modo che la tempesta è contemporaneamente referente e metafora della condizione umana, e della condizione dell’universo. Re Lear è strutturato dunque come una catena o una scatola cinese di metafore; da questo punto di vista l’introduzione della trama secondaria serve anche a ridurre l’incidenza dei ruoli femminili. Essendo Kent un fedele seguace del re, egli è presente in scena più di qualsiasi altro personaggio, Lear compreso; e spetta proprio a Kent presentare gli antefatti di entrambe le trame: la decisione di Lear di dividere il regno, e il rapporto fra Gloucester e il figlio bastardo Edmund. Più limitato è il ruolo di Oswald, fedele complice di Gonerill, che però diventa mezzano negli intrighi fra le sorelle e Edmund – quegli intrighi che sono l’altro modo con il quale Shakespeare ha intrecciato le due vicende; e Oswald assume alla fine anche la parte di sicario, ma non contro il re, bensì contro Gloucester, la controparte del re nella trama secondaria.
Re Lear è per tre quarti in versi e per un quarto in prosa ma, contrariamente alla convenzione che voleva la prosa riservata ai personaggi di rango inferiore, alle scene comiche, o a quelle ove maggiore è la concitazione dell’azione, in quest’opera (a parte ovviamente le scene del Matto che alternano prosa a filastrocche allusive) versi e prosa si alternano senza tener conto del rango dei parlanti. In questa tragedia si svolge un gioco paradossale di rapporti tra ragione e pazzia. Ciò che la tragedia vuole dimostrare è che l’universo morale è più complicato e intimamente contraddittorio di quanto la nostra vita di ogni giorno possa indurci a credere.
Giorgio Strehler
Appunti per il «Re Lear»
stagione 1972-1973
Appunti preparatori per l’allestimento dello spettacolo del Re Lear andato in scena nel 1972 e ripreso nel 1973, 1974, 1977, e 1978
Non trascurare nel Lear un dato di fatto: la «favola» di Leir-Lear per Holinshed è datata nel 3105 dalla nascita del mondo (55 anni prima della fondazione di Roma).
In Israele regnavano Guida e Geroboamo.
La tragedia è stata mantenuta da Shakespeare in una lontananza alle soglie del tempo, non fuori tempo, ma non storicizzata.
In tale modo si ottiene una «astrazione» delle situazioni senza però perdere del tutto una «connotazione storica» possibile: cioè storia di uomini in un certo tempo.
Solo che il tempo è remotissimo.
La più remota tragedia di Shakespeare; notare che non a caso si parla qui di Dei e non di Dio.
Non portarla nel vuoto.
Non farla diventare un pretesto storico.
È certo che la prima scena ha come nucleo un love-test di fama popolare: la figlia o le figlie che dicono o non dicono di amare il padre come il pane e il sale.
Evidentemente dunque: un rituale a senso unico, con soluzione stabilita a priori. Esso serve a «dare una forma» ad un atto pubblico, con la «rappresentazione» della ubbidienza dei figli ai padri e quindi dei giovani ai vecchi. Come tutti i rituali essi non possono essere né mutati né tantomeno capovolti. Essi seguono una loro logica simbolica di gesti e parole.
Il fatto che insistessi sul carattere di prologo della prima scena, nel suo nucleo, di «cosa data a priori», ha dunque un suo fondamento preciso. Non è una «recita» per divertire Lear, non è una invenzione di Lear o una sua bizzarria. È un «fatto» che si deve fare e che sanziona praticamente la sua abdicazione.
Lo sconvolgimento di Lear è quello dell’officiante che vede il blasfemo, che si avvicina all’ostia e la sputa per terra. È incredulità ed è orrore e smarrimento. E altro.
Le reazioni sono a senso unico, sebbene di tipo diverso secondo i diversi caratteri. Quello di Lear reagisce come reagirebbero tutti, nel fondo, ma con il suo particolare modo: ira, maledizione, grida, collera, ecc. ecc.
Cordelia insomma spezza tutto un giro rito-costruzione storica e «senza avere avvertito», di colpo, inattesa!
È chiaro che in questa versione la posizione di Kent diventa ancora più difficile. Kent si oppone alla violenza del re, certo, ma deve sapere che il re «ha ragione».
Forse non si aspetta nemmeno lui che Cordelia spezzi il nodo, ma non si aspetta nemmeno che il re «prenda così sul serio» l’atto di Cordelia … Però… La storia potrebbe essere raccontata così: il vecchio Re Lear, deciso ad abdicare e delegare il potere alle sue figlie e per esse ai loro mariti e dividere fra di esse il suo regno, decide la spartizione e la solenne cerimonia che sanzionerà l’avvenimento.
A questo scopo viene usato il rituale del «love-test», pubblicamente.
Egli spiega l’antefatto della spartizione e poi pone le domande rituali alle tre figlie. Le prime due rispondono come devono, con atto di sottomissione completa. La terza, la più giovane, si ribella alla «forma» rituale, che le appare vuota ed inutile. Il vecchio re, di fronte allo scandalo e di fronte al grave attentato alla sua regalità, al sistema stesso su cui poggia il suo potere e lo stato, disereda la figlia e la dà in sposa al re di Francia che se la porta via, all’estero.
Cordelia
Cordelia da tempo ha capito di quale stampo sono fatte le sorelle ed i rispettivi mariti, ha capito che la decisione del re è errata, che i tempi sono ormai maturi per un’altra forma di vita e di rapporti e che grave pericolo correrà il padre stesso quando realizzasse il suo desiderio.
La figlia più giovane sceglie al tempo stesso il momento più giusto e quello più errato per significare al padre il suo pensiero. Ma ella non è una politica, è una «sentimentale» con un forte carattere, propenso all’introversione e, con ogni probabilità, al tempo stesso irriflessiva e testarda come il padre.
In Cordelia esistono alcune qualità e difetti del padre e sono proprio questi che in un dialogo che spezza la calma del rituale del «love-test» rende insanabile il contrasto tra i due.
Basterebbe un poco più di umiltà da parte di Cordelia, un poco più di flessibilità politica, un poco più di capacità di spiegare a parole i sentimenti più profondi per chiarire, forse, l’equivoco. Ma i due, troppo simili in fondo, si allontanano sempre più.
Il re è convinto che la mancanza di Cordelia alle formule del «love-test» nasconda una reale mancanza di amore e nel tempo stesso sia la manifestazione della più aperta ribellione ai suoi voleri, e insieme, ai voleri della legge che è come è sempre stata.
L’atteggiamento di Cordelia è ribelle, pericoloso per l’unità politica del suo disegno. Deve andarsene. E la scaccia senza terre né dote. Se la prenda il primo che vuole. Nel caso specifico: il re di Francia.
Costui accetta di sposare ugualmente Cordelia privata di ogni bene (a differenza di Borgogna che rifiuta). Probabilmente per due ragioni che collimano, in questo caso: affetto o amore verso Cordelia e ragione politica, in quanto un matrimonio con la figlia ripudiata e che è stata privata della sua parte di regno potrà forse essere in futuro una «ragione di stato» per intervenire negli affari del regno di Britannia. Si vedrà col tempo.
Il Fool
Il Fool che sparisce alla fine del terzo atto (cosiddetto), comunque al centro quasi della tragedia? Perché? Se c’è un perché.
Ma il perché che si cerca non è logico ma poetico. Lear è al massimo della cecità.È solo con se stesso. Perché il Fool lo lascia per sempre? (per noi è «per sempre»).
Comunque l’ultimo gesto del Fool non è la sua battuta famosa «e io andrò a dormire a mezzogiorno» (cioè assolutamente fuori tempo). Indicazione di una morte prematura. Bradiev pensa addirittura che si sia ammalato per la pioggia e il freddo e che si senta male!
Il Fool esce «portando con Kent e Gloster» il corpo inerte del vecchio Lear. È questo corteo che segna la fine della sua parte. Ed è naturale che la didascalia non shakespeariana faccia parte della logica dell’azione fin dalla prima rappresentazione. Quindi è valida. C’è poi la battuta di Kent, indiretta, per il Fool che «suggella» un rapporto di tenerezza tra lui e il vecchio. È un epitaffio comunque, per il ruolo, la figura.
Bisogna partire probabilmente dalla fine. Resta sempre un punto interrogativo, tra tanti altri, da svelare.
Nei miei primi appunti c’è una indicazione del tutto intuitiva: Fool-Cordelia. Quando sparisce Cordelia appare il Fool, quando il Fool sparisce riappare Cordelia.
Ciò è evidente ma di per se stesso non giustifica una identificazione di Cordelia col Fool. Certamente crea una «premessa», come dire, di strano malessere, di coincidenza che «risulta» più scenica che letta. Non di più.
Più tardi soccorre una citazione del Bradley, che presuppone che tale sparizione-apparizione duplice sia dovuta al fatto che al tempo di Shakespeare l’attore che impersonificava Cordelia recitasse anche la parte del Fool. Bisognerebbe controllare tale affermazione: su quali basi è nata, dai registi? (non credo); dalla tradizione? (non mi pare); da quale notizia allora?
Dall’altra parte Lear non è una tragedia così «piena» da richiedere doppioni in gran numero.
Tuttavia una spiegazione relativa potrebbe essere il fatto che ragazzi adatti a recitare le parti di Cordelia, Regan e Goneril non dovevano essercene molti (le parti di giovani donne in Shakespeare sono sempre limitate, anche per questo evidentemente).
Tre ragazzi in tre parti femminili, dunque. Tutti sfruttati. Se, a questo punto, il testo richiedeva un «ragazzo» (boy) per il Fool poteva essere naturale doppiarlo o pensare ad una metodologia di palcoscenico per farlo. Qui nasce però il problema dell’età del Fool.
Era necessario che il Fool del Lear fosse giovane (boy) Si potrebbe continuare con le congetture «di necessità» all’infinito.
Giova piuttosto esaminare altre congetture, poetiche, e controllare se esse possono avere un senso.
Qui si entra in un mondo oscuro, di sensazioni sfuggenti, di sensibili intuizioni che possono sfiorare l’immaginifico, l’elucubrazione intellettualistica e altro.
Una cosa mi pare però certa: c’è qualcosa di misterioso in questo legame, inesistente in apparenza, tra il Fool e Cordelia. Lo si sente e non si spiega. Persino il Bradley parla di un Fool che «ama Cordelia e che è rimasto a soffrire quando Cordelia è andata via». Il Fool è il Fool di Cordelia più che di Lear.
In un certo senso appare che il Fool è un «prolungamento» della presenza di Cordelia. Per Bradley, in termini naturalistici caratteriali, «il povero Fool che tanto amava Cordelia» (vedi battuta) è un «ragazzo» non del tutto pazzo, ma…
O il Fool fa sentire di più l’assenza di Cordelia? Infatti i suoi primi argomenti-lazzi-rimproveri sono gli stessi di Cordelia: il vecchio re sbaglia, è pazzo. Perché non prende la berretta del pazzo? Le due figlie sono diverse da quelle che crede (ecco la frase di Cordelia) e si riveleranno presto per quello che sono.
La verità però più segreta per me è questa: il Fool è la «persistenza» di un bene che è stato cacciato via.
La tempesta
La luce è immobile, da diluvio universale, chiarissima, lancinante, trafiggente. Come la luce di un lampo interminabile o arrestatosi nel momento della scintilla. Poi buio.
Poi un altro, a lungo. Scandito nel vuoto, a intervalli. Nudo nella luce impietosa di un fulmine che non si spegne.
Il problema della tempesta è un problema acustico terrificante. O semplicissimo, trovata la chiave.
Il punto più difficile di ciò, è il risveglio di Lear. La musica che accompagna il risveglio di Lear. Due soluzioni iniziali.
L’oboe elisabettiano, solo, che «risillaba» accanto a Lear (invisibile ma vicino e vero) un tema sommerso. O un suono di voci umane calme, piano, lontano; col pericolo che diventino metafisiche, o voci del sogno di Lear od altro.
Grande impressione per il «quarto atto» ma soprattutto in modo sconvolgente ed inaspettato per la scena del «risveglio» di Lear con Cordelia.
Dopo «la tempesta» di Lear, la follia degli uomini, la cattiveria, il sangue ed il dolore, appare una incredibile pace.
Lear si risveglia, anzi sta risvegliandosi. Ed è qui che è avvenuto il «capovolgimento», qui la conquista della «verità» che è al di là delle cose.
Chi parla è ancora Lear ma al tempo stesso un altro: parla con acutezza e soprattutto con una infinita tristezza; lui che non ha mai conosciuto il distacco, la tristezza, la malinconica contemplazione della vita.
È un monologo lento, calmo, sereno, direi, da un «altro mondo».
L’effetto è stupendo, drammaticamente perfetto.
È stato scelto il momento giusto perché avvenga. È «un colpo di scena» di una grandezza assoluta, perché semplice, perché logico, perché naturale, perché poetico, perché drammaturgico, perché…
Non ci sono problemi per la realizzazione. Semmai uno iniziale, quello della musica, dell’attesa. Ma anche questo meno, risolto il problema del «dove» e «come» stanno Lear e Cordelia, il «luogo» drammatico (è sdraiato Lear? Certamente, non può non esserlo. Ma: su un letto grande o altro? O per terra? Dovrebbe a mio avviso essere per terra, rinascere dalla terra come un «neonato vecchissimo». Se è «per terra», cosa ha sotto? Se ha sotto qualcosa, non è più «per terra»!).
Il resto è semplice, fino all’uscita di Lear che se ne va solo, nel vuoto. Ma non piange, non si dispera, sorride quasi e scuote un poco la testa in un «no» misterioso mentre esce e fissa per un attimo gli «altri».
Cordelia che aspetta il risveglio di Lear. La «carezza» sulla fronte per liberarla dai bianchi capelli, «il pallido elmo». Le parole di Cordelia sembrano dedicate ad un «altro uomo».
Cioè sono un «anticipo» di quello che Lear ci apparirà tra poco. Ma non lo sappiamo. Questo è genio. Si potrebbe pensare che, per Cordelia, Lear sia apparso un poco «sempre» così, vecchissimo e tenero. Forse Cordelia con l’occhio del cuore ha visto sempre la «bontà» di Lear, che è al di là della sua collera e del suo dispotismo.
Un uomo vecchissimo come un bambino
Sempre la scena del risveglio di Lear.
Una immagine lancinante: un uomo vecchissimo come un bambino appena nato da un sonno di morte, bianco e diafano, le mani raccolte, piccole unghie incredibilmente trasparenti, nel grembo di una giovanissima quietamente seduta, composta, che gli accarezza lenta i capelli, li scosta dalla fronte piena di crepe azzurre come vene sottilissime. Il gesto dolcissimo, il sorriso, la tenerezza, la pena, l’amore, la pietà per la vita che ritorna, che riaffiora. Il vecchio ha le ginocchia piegate, i pugni quasi stretti, e respira appena. Poi apre gli occhi e fissa quelli della giovane. Il vecchio è il padre. La giovane è la figlia. Il padre che rinasce alla vita (la più vera di sé) dalla figlia che l’ha «amato sempre». La figlia-madre, eternamente.
Il cerchio della vita e delle età che si chiude in un gesto. In un atto d’amore.
Alla fine, quando Lear porta dentro Cordelia, Cordelia è nelle sue braccia: l’idea di un fantoccio rotto, un fantoccino pallido, esangue, dal viso bianco bianco. Lear la porta proprio come un fantoccio, quasi facendogli trascinare le punte dei piedi per terra, tenendolo abbracciato, al petto, con fatica perché pesa, nonostante tutto. I piedini sfiorano il fango e qualche volta strisciano lasciando una riga più lunga.
L’avanzata è faticosa. Poi sul davanti (al centro? più avanti ancora? sulla passerella dopo aver tirato giù Cordelia-fantoccio morta?), la lascia andare a terra, scomposta, e la guarda in ginocchio, come un bambino antichissimo che guarda il suo giocattolo rotto. Con curiosità. Qui arriverà la battuta «my poor Fool is hanged».
Oppure durante le battute di Kent, Lear avrà incominciato a toccare il fantoccio-Cordelia, a darle piccole scosse, ritirandosi per vedere l’effetto del colpo, tirandola poi per le braccine, poi sollevando un braccino per il polso, in alto, piegandolo un poco e poi lasciandolo.
Il braccino ricade morto e resta. Lear allora, proprio alla battuta, in ginocchio, accucciato ha un lampo. La fissa, si allontana col busto, si riavvicina lentissimo con le palme a terra, fissando Cordelia faccia a faccia e mormora, adagio, con orrore tenerissimo, al di là del male: – «Ti hanno impiccato, povero Matto mio!».
E furiosamente se la stringe al cuore, mentre le braccine inerti dondolano nel ritmo di una straziante ninna nanna, perduta, immemore.
RIASSUNTO
Atto Primo
Il dramma si apre con la decisione del re Lear, stanco e in tarda età, di abdicare al trono e di dividere il regno tra le sue tre figlie ponendo loro un “love test”: la figlia che dimostrerà di amarlo di più, otterrà la migliore porzione del Regno. Regan sposa del duca di Cornovaglia e Goneril del duca di Albany, sono le prime a protestare con parole piene di trasporto il loro amore al padre. Lear è compiaciuto ed assegna a ciascuna di esse una parte del regno. Ne conserva un’ultima, la migliore, per la figlia più giovane e favorita, Cordelia, chiesta in sposa sia dal duca di Borgogna che dal re di Francia. Cordelia, purtroppo, è poco incline alle falsità e alle menzogne e non intende per nulla al mondo comportarsi come le sorelle. Dichiara perciò semplicemente di amare Lear tanto quanto una figlia può amare un padre, avendo sulle labbra ciò che ha in cuore, non di più, né più di meno (no more nor less). Lear furioso tenta di persuadere Cordelia di riconsiderare la sua risposta, ma senza successo e, avventatamente, in preda al furore, decide di non concederle alcuna terra e di bandirla dal regno, che divide invece tra le altre due figlie.
Il duca di Borgogna, pretendente di Cordelia, perde ogni interesse per lei, ormai diseredata. Il re di Francia invece riconosce e apprezza le virtù di Cordelia e la prende in sposa anche senza dote. Il leale Kent tenta di far cambiare opinione a Lear con oneste e cortesi parole, ma è bandito anch’egli per aver contraddetto la decisione del re. Lear decide di andare a vivere con la figlia più anziana, mantenendo tuttavia ancora il titolo di “re ” e un seguito di cento cavalieri. Segretamente, Goneril e Regan, invece, già cospirano per impedire a Lear l’impiego del titolo e l’esercizio del potere.
Viene introdotta la vicenda parallela (subplot) di Gloucester. Il Conte di Gloucester è vittima anch’egli di una nefandezza da parte del figlio bastardo Edmond. Questi infatti redige una falsa lettera nella quale coinvolge il figlio legittimo di Gloucester nonché suo fratellastro, Edgar, in una cospirazione per uccidere il padre. Fa sì che Gloucester “casualmente” legga la lettera, e, sviluppando ancor più le sue intenzioni diaboliche, mente a Edgar, dicendogli che Gloucester è adirato contro di lui, suggerendogli di fuggire. Riesce il suo progetto di mettere l’uno contro l’altro i due congiunti e in più Edmond guadagna i favori del padre. Edgar fugge nella foresta e prende le sembianze di un mentecatto chiamato “Poor Tom”. Dimostrando il suo valore e la sua lealtà, anche se grande è stato il torto che gli ha fatto Lear, Kent ritorna anch’egli sotto mentite spoglie e chiede a Lear di prenderlo come servo. Lear accetta, inconsapevole della sua vera identità e gli dà incarico di recapitare una lettera a Gloucester. È chiaro a questo punto del dramma che Lear pensa di essere trattato come un re anche se non ha più la forza per riavere indietro il titolo. È ciò che gli viene fatto presente dal buffone di corte, il Matto in una brutale ma veritiera ricognizione della sua reale situazione. In un confronto con il padre, Goneril manca di rispetto verso Lear sia come re che come padre. Rimprovera Lear di avere al seguito dei cavalieri troppo chiassosi e gli chiede di ridurne il numero. Lear furioso convoca i suoi cavalieri e inveisce contro la figlia più anziana col fermo proposito di lasciare la sua residenza e di raggiungere l’altra figlia. Invia perciò Kent da Regan per metterla dell’avviso del suo proposito di raggiungerla. Lear pensa che certamente l’altra figlia lo ami di più e che Goneril si rammaricherà del suo oltraggio una volta che Regan sarà a conoscenza del fatto.
Atto secondo
Al castello dei Gloucester è di scena Oswald, maggiordomo di Goneril, che apertamente manca di rispetto a Lear insultando Kent, suo messaggero. Anche Regan e suo marito duca di Cornovaglia, ospiti di Gloucester, si aggiungono nel non tener in alcun conto Kent, che pur sanno messaggero del re e che anzi fanno mettere in ceppi, contro il debole parere di Gloucester. Quando Lear infine arriva è incredulo nel trovare il suo uomo in ceppi. Ne chiede ragione mentre, concitato, racconta a Regan dell’alterco con Goneril. Regan non crede a Lear e dà ragione alla sorella, che nel frattempo sopraggiunge. Unite le forze le due sorelle sferrano l’attacco contro il padre: dimezzi la scorta dei cavalieri, anzi ne tenga venticinque, dieci, cinque, anzi nessuno: ne ha proprio bisogno una volta perso il regno? Lear capisce il complotto e lancia improperi alle figlie, le quali annunciandosi una bufera si chiudono nel castello lasciando il vecchio padre all’addiaccio.
Atto terzo
Mentre Kent prende contatti con la corte di Francia e con Cordelia e va alla ricerca del re, Lear è da solo nella tormenta, a invocare gli elementi naturali, tuoni, lampi, pioggia, vento con la sola compagnia del matto in una notte da tregenda in cui anche i lupi benché affamati tengono all’asciutto il proprio pelo senza lasciar la tana. Kent infine trova Lear e lo porta al riparo verso una capanna. Gloucester, ancora in preda al rimorso per non aver aiutato il re, confida al figlio Edmond che andrà in cerca di lui, per protestargli fedeltà. Ingiunge anche al figlio di tenere segreta la sua decisione: ma Edmond coglie l’occasione propizia di scalzare definitivamente il padre, ed è deciso a svelare ai Duchi, generi di Lear, le intenzioni del genitore. Nella capanna, Lear e il matto incontrano Edgar, il Povero Tom colà rifugiatosi. Lear vedendo il Povero Tom così conciato rispecchia in lui la sua disgrazia: certamente anch’egli è stato ridotto così da figlie snaturate. Sopraggiunge Gloucester ed offre riparo a Lear, che ormai fuori di senno vuol discutere di filosofia col Povero Tom/Edgar che Gloucester non riconosce. Edmond trama contro il padre alla corte del conte di Cornovaglia, mentendo circa suoi presunti complotti alla corte di Francia contro il regno di Gran Bretagna. In una stanza attigua al castello di Gloucester Lear ormai del tutto pazzo inscena un grottesco processo, col Matto e il Povero Tom, contro le figlie. Sopraggiunge Gloucester che convince Kent a mettere in salvo il vecchio re, a Dover, poiché ha saputo che è in pericolo di vita. Lear viene portato via a braccia. Il gruppo dei reprobi, ossia le due sorelle, Edmond e Cornovaglia, vengono a conoscenza del “tradimento” di Gloucester. Edmond va alla ricerca di Lear. Entra Gloucester e viene prontamente arrestato, legato e maltrattato da Goneril e interrogato circa le sue presunte tresche col re di Francia. Il vecchio Gloucester resiste e viene accecato da Goneril e Cornovaglia non senza aver ucciso anche un servo venuto in soccorso del vecchio Gloucester che invoca il figlio Edmond, ma ricevendone in cambio la rivelazione dei Cornovaglia del suo odio per lui. Gloucester comprende adesso la calunnia di Edmond verso il fratello Edgar e se ne duole con se stesso, per la sua “cecità” di padre. Esce Cornovaglia perdendo sangue a seguito dello scontro col servo.
Atto quarto
In una landa deserta si incontrano Edgar e il vecchio Gloucester ormai cieco sorretto da un vecchio. I due non si riconoscono ed Edgar accetta di guidare Gloucester verso le scogliere di Dover. Nel palazzo del duca d’Albany Goneril ed Edmond uniscono le loro forze contro il paventato sbarco del re di Francia. Goneril bacia Edmond di cui è segretamente innamorata. Entra il marito, duca d’Albany. Si scontra con la moglie, cui rimprovera i misfatti dell’ingratitudine filiale. Entra un servo che reca una lettera e la notizia della morte del Cornovaglia a seguito della ferita. Esce Albany in cerca di Gloucester, esterrefatto dalle truci notizie. Nel campo dei francesi Kent apprende da un gentiluomo che Cordelia regina di Francia è venuta a conoscenza di tutto, dell’ingratitudine delle sorelle e della notte all’addiaccio del vecchio padre. Apprende anche che il vecchio Lear nei pressi di Dover si rifiuta di rivedere la figlia per la vergogna e riceve notizie che l’esercito britannico (guidato da Edmond) mobilita per tema dello sbarco dei nemici del re di Francia. Nelle lande sferzate dal vento nei pressi di Dover, Edgar perde il controllo di Gloucester che cerca di suicidarsi buttandosi da una balza credendola una scogliera. Sopraggiunge anche Osvald mandato da Regan che tenta di uccidete Gloucester, ma viene a sua volta ucciso da Edgard. Questi entra in possesso di una lettera di Osvald. Infine nel campo dei francesi avviene il commovente incontro fra il re Lear e Cordelia.
Atto quinto
Nel campo britannico Regan chiede ad Edmond se ama Goneril e se l’ha posseduta. Gli dice anche che non sopporterebbe ciò. Amando lo stesso uomo l’odio tra le due sorelle diventa strisciante e infetta ogni loro pensiero, gesto, parola. Ma Edmondo ha progetti tutti suoi dove entrambe le donne sono mezzo e non fine. Entra Edgar che consegna la lettera di Osvald ad Albany. In una piana tra i due campi nemici Edgard conduce Gloucester in attesa che si definisca la battaglia. L’esito è fulmineo: i francesi sconfitti, Lear e Cordelia prigionieri di Edmond. Padre e figlia nella sventura davanti al trionfo dei malvagi e del male trovano parole di affetto. Nel campo dei vincitori invece sorge aspra contesa fra le sorelle da un lato ed Albany ed Edmond dall’altro. Il primo dà del traditore al secondo e gli getta il guanto di sfida. Si decide di dare un bando per mezzo di araldo: se c’è qualcuno disposto a sostenere l’accusa di tradimento contro Edmond si faccia avanti al terzo squillo di tromba. Salta fuori Edgar, deciso alla resa finale dei conti contro il fratello, che accusa di tradimento. Si battono. Edmond cade. Albany chiede che venga risparmiato. Goneril grida al tranello: Edmond per il codice cavalleresco infatti poteva non battersi con uno sconosciuto. Albany le fa vedere la lettera di Osvald, prova dei suoi intrighi. Goneril non resiste e fugge verso il castello. Edgar si rivela infine al fratello morente. Albany protesta la sua sincera fedeltà ai Gloucester che Edgar non ha difficoltà a riconoscergli. Nel mentre Edgar racconta tutte le sue sventure – il suo travestimento e quello di Kent – sopraggiunge un gentiluomo che riporta la notizia della morte delle due sorelle: una ha avvelenato l’altra e poi s’è data la morte. Sopraggiunge Kent in tempo per assistere all’esibizione dei cadaveri delle due sorelle morte. Edmond morente ha uno scatto di resipiscenza. Avverte che un suo precedente ordine prescriveva la morte per Lear e Cordelia: per costei aveva ordinato l’impiccagione camuffata da suicidio. Ma è troppo tardi. Entra Lear portando in braccio il corpo di Cordelia morta. La pena di Lear è senza fine. Lo strazio esplode e gli squassa il cuore. Lear muore di dolore.
Re Lear
(“King Lear” – 1605 – 1606)
Introduzione – Riassunto
Atto I
Atto II
Atto III
Atto IV
Atto V