(“King Lear” – 1605 – 1606)
Introduzione – Riassunto
Atto I
Atto II
Atto III
Atto IV
Atto V
Introduzione al teatro di Shakespeare
Elenco opere teatrali
Personaggi
LEAR, Re di Britannia
RE DI FRANCIA
DUCA DI BORGOGNA
DUCA DI CORNOVAGLIA, marito di Regan
DUCA DI ALBANY, marito di Goneril
CONTE DI KENT
CONTE DI GLOUCESTER
EDGAR, figlio di Gloucester
EDMUND, figlio bastardo di Gloucester
CURAN, cortigiano
OSWALD, maggiordomo di Goneril
Vecchio, fittavolo di Gloucester
Dottore
Matto
Ufficiale, al servizio di Edmund
Gentiluomo, al servizio di Cordelia
Araldo
Servi di Cornovaglia
GONERIL, figlia di Lear
REGAN, figlia di Lear
CORDELIA, figlia di Lear
Cavalieri al seguito di Lear, ufficiali, messaggeri, soldati, e servi
Scena: Britannia
ATTO PRIMO – SCENA PRIMA
(Sala nel palazzo di Re Lear.)
Entrano Kent, Gloucester e Edmund.
KENT
Credevo che il Re avesse più considerazione per il duca di Albany che per il Cornovaglia.
GLOUCESTER
A noi era sempre parso così. Ma ora, nella divisione del regno, non è chiaro quale dei Duchi egli valuti di più: le parti sono così equilibrate che nemmeno l’esame più minuzioso riesce a far preferire all’uno quella dell’altro.
KENT
Questo non è vostro figlio, mio signore?
GLOUCESTER
Il suo allevamento, signore, è stato a mio carico: sono diventato rosso tante volte nel riconoscerlo, che ormai ci ho fatto l’abitudine.
KENT
Non riesco a concepirlo.
GLOUCESTER
La madre del giovanotto ci riuscì, signore. Dopo di che le venne la pancia ed ebbe un figlio per la culla, signore, prima d’avere un marito per il letto. Annusate odore di colpa?
KENT
Non posso augurarmi che la colpa svanisca, dato che il prodotto è così buono.
GLOUCESTER
Ma ho anche un figlio in regola con la legge, signore, di circa un anno più anziano, che non per questo mi è più caro. Sebbene questo furfante sia venuto al mondo un po’ troppo alla svelta, prima d’essere stato chiamato, tuttavia sua madre era una bellezza. Ce la spassammo nel farlo, e il figlio di puttana va riconosciuto. Edmund, sai chi è questo nobiluomo?
EDMUND
No, mio signore.
GLOUCESTER
È il signore di Kent. D’ora in avanti consideralo mio amico e uomo d’onore.
EDMUND
I miei servigi a Vostra Signoria.
KENT
Vi avrò caro e vorrò conoscervi meglio.
EDMUND
Mi sforzerò di meritarlo, signore.
GLOUCESTER
È stato fuori nove anni e andrà via di nuovo. Ecco il Re.
Squilli di tromba. Entra un cortigiano che porta una corona. Entrano poi Re Lear, Cornovaglia, Albany, Goneril, Regan, Cordelia e il seguito.
LEAR
Gloucester, intrattieni i signori di Francia e di Borgogna.
GLOUCESTER
Vado, mio Re. (Escono Gloucester e Edmund.)
LEAR
Noi nel frattempo riveleremo il nostro
proposito più oscuro. Datemi quella mappa.
Sappiate che il nostro regno noi lo abbiamo
diviso in tre – ed è nostro fermo intento
scrollare tutte le incombenze e le cure
dai nostri vecchi anni per affidarle a forze
più giovani, mentre noi, leggeri,
strisciamo verso la morte. Tu,
nostro figlio di Cornovaglia, e tu,
non meno amato figlio di Albany,
è nostra salda volontà in quest’ora
di render pubbliche le diverse doti
delle nostre figlie, sì da prevenire
ogni disputa futura. I principi
di Francia e di Borgogna, grandi rivali
nell’amore della nostra figlia più giovane,
a lungo nella nostra corte hanno protratto
il loro soggiorno d’amore e qui
debbono avere una risposta. Ditemi,
figlie mie (poiché noi ora ci spogliamo
del potere, d’ogni interesse
di territorio, delle cure dello stato),
quale di voi diremo che ci ama di più,
sì che la nostra maggior munificenza vada
dove la natura col merito gareggia?
Goneril, primogenita nostra, parla tu per prima.
GONERIL
Signore, io vi amo più di quanto
la parola possa dire, più caro voi mi siete
della vista degli occhi, di spazio e libertà;
al di là di quanto può essere valutato
ricco o raro, non meno d’una vita
che abbia grazia, salute, bellezza, onore;
vi amo tanto quanto mai figlio
amò o padre scoprì: un amore
che rende povero il fiato e la lingua
incapace. Oltre ogni misura
io, padre, vi amo.
CORDELIA (a parte.)
Che dirà Cordelia? Ama, e taci.
LEAR
Di tutte queste terre, da questa linea a quest’altra,
ricche di foreste ombrose e di campagne,
di fiumi abbondanti e prati vasti,
rendiamo te signora. Ai discendenti tuoi
e di Albany rimarranno in perpetuo.
Che cosa dice la nostra seconda figlia,
l’amatissima Regan, sposa di Cornovaglia?
REGAN
Io sono fatta della stessa lega
di mia sorella, e ritengo di valere
quanto lei. Nel mio cuore sincero
trovo che lei definisce il mio stesso
amore, ma con troppa parsimonia; io
mi dichiaro nemica di ogni gioia
procurata dai sensi nella loro
più fine armonia e scopro
che trovo felicità soltanto nell’amore
dell’amata Altezza Vostra.
CORDELIA (a parte.)
Povera Cordelia, allora. Eppure no,
sono certa che il mio amore pesa più della mia lingua.
LEAR
A te e ai tuoi eredi rimanga per sempre
quest’ampio terzo del nostro splendido regno,
non inferiore per spazio, valore e bellezza
a quello assegnato a Goneril. E ora,
nostra gioia, sebbene l’ultima e la più piccola,
per il possesso del cui giovane amore sono in lizza
le vigne di Francia e il latte di Borgogna:
cosa sai dire per guadagnarti un terzo
più opulento di quello delle tue sorelle?
Parla.
CORDELIA
Niente, mio signore.
LEAR
Niente?
CORDELIA
Niente.
LEAR
Dal niente nasce il niente: parla ancora.
CORDELIA
Infelice che sono, non riesco
a sollevare il mio cuore fino alla bocca.
Amo Vostra Maestà secondo il mio dovere:
né più né meno.
LEAR
Suvvia, Cordelia! Correggi un po’ il tuo discorso
se non vuoi guastare le tue fortune.
CORDELIA
Mio buon signore, voi mi avete generata,
nutrita, amata. Io ripago quei debiti
secondo il dovuto, vi obbedisco, vi amo
e al di sopra di tutto vi onoro. Perché le mie sorelle
hanno un marito, se dicono di amare
soltanto voi? Se mai mi sposerò,
il signore la cui mano avrà il mio pegno
prenderà con sé metà del mio amore,
metà delle mie cure e del dovere:
certo non mi sposerò, come le mie sorelle,
per amare soltanto mio padre.
LEAR
Ma c’è il tuo cuore, in questo?
CORDELIA
Sì, mio buon signore.
LEAR
Così giovane e così impietosa?
CORDELIA
Così giovane, mio signore, e così sincera.
LEAR
E così sia! La tua sincerità sia dunque
la tua dote; e infatti, per i sacri raggi
del sole, per i misteri di Ecate e della notte,
per tutti gli influssi delle sfere
per cui esistiamo e cessiamo di esistere,
qui io ripudio ogni mia cura paterna,
affinità e legame di sangue, e d’ora in poi
ti avrò per sempre straniera al mio cuore e a me.
Il barbaro Scita o colui che muta
i propri nati in cibo per soddisfare la sua fame,
troverà nel mio petto più comprensione, pietà
e conforto che non te, un tempo mia figlia.
KENT
Mio buon sovrano –
LEAR
Taci, Kent!
Non frapporti fra il drago e la sua ira.
Più di tutte la amavo, e alla sua cura affettuosa
pensavo di affidare ciò che resta.
Via! Va’ lontano dalla mia vista!
La tomba sia la mia pace come è vero
che qui le tolgo il cuore di padre.
Chiamate il Francia! Chi si muove?
Chiamate il Borgogna! Cornovaglia e Albany,
aggiungete la terza alle doti delle mie due figlie.
Se la sposi l’orgoglio, che lei chiama sincerità!
Io investo congiuntamente voi del mio potere,
della dignità e dei grandi onori
che scortano la maestà. Noi ogni mese
con diritto a cento cavalieri che voi
dovrete mantenere, dimoreremo a turno
presso di voi. Del Re conserveremo
soltanto il nome e le prerogative;
il potere, le rendite, il governo saranno,
amati figli, vostri: e a conferma,
dividete tra voi questa corona.
KENT
Regale Lear, da me come mio Re
sempre onorato, amato come mio padre,
seguito come mio signore, ed esaltato
come mio grande patrono nelle mie preghiere –
LEAR
Curvato è l’arco, la corda tesa: evita la freccia.
KENT
Cada, piuttosto, seppur dovesse
la punta forcuta invadere la regione
del mio cuore. Sia Kent villano,
se Lear è pazzo. Che vuoi fare, vecchio?
Credi che il dovere abbia paura di parlare
quando il potere si piega all’adulazione?
L’onore è tenuto alla franchezza quando
la maestà cede alla follia. Conserva
il tuo potere, riacquista il controllo e frena
questa furia inumana. Risponda la mia vita
del giudizio che esprimo: la tua figlia più giovane
non ti ama di meno, né coloro
la cui voce sommessa non riecheggia il vuoto
sono vuoti di cuore.
LEAR
Kent, sulla tua vita, basta!
KENT
La mia vita l’ho sempre ritenuta una posta
da giocare contro i tuoi nemici: di perderla
non temo, se il motivo è la tua salvezza.
LEAR
Via dalla mia vista!
KENT
Vedi meglio, Lear, e lascia ch’io rimanga
il bianco veritiero del tuo occhio.
LEAR
Ora, per Apollo –
KENT
Ora, per Apollo, i tuoi Dei, Re,
li bestemmi invano.
LEAR
Vassallo miscredente! (Mettendo mano alla spada.)
ALBANY E CORNOVAGLIA
Amato sire, calmatevi.
KENT
Uccidi il tuo dottore e paga la parcella
alla turpe malattia. Revoca il tuo dono
o altrimenti, finché un grido mi esce dalla gola
ti dirò che fai male.
LEAR
Ascolta, rinnegato! Per l’obbedienza che mi devi,
ascolta! Poiché hai cercato di farci
rompere il nostro voto, il che mai
finora osammo, e di frapporti
con orgoglio protervo tra la nostra sentenza
e il nostro potere – cosa intollerabile
per la nostra natura e il nostro rango –
eccoti, con ribadita autorità, la ricompensa.
Cinque giorni ti concediamo per rifornirti
di ciò che ti difenda dalle minacce del mondo,
mentre al sesto dovrai volgere la tua schiena odiata
al nostro regno: se al decimo giorno
troveremo nei nostri domini la tua
carcassa esiliata, quel momento
sarà la tua morte. Via! Per Giove,
quest’ordine non sarà revocato.
KENT
Addio, Re: se vuoi mostrarti così,
non c’è libertà ma solo esilio, qui.
(A Cordelia.) Gli Dei ti accolgano, fanciulla, nel loro
sacro santuario, tu che pensi con giustizia
e giustamente hai parlato.
(A Goneril e Regan.) E possano le vostre azioni confermare
i vostri discorsi grandiosi, e le parole d’amore
produrre buoni effetti. Così, Principi,
Kent dice a tutti addio; in una terra nuova
seguirà la strada antica. (Esce.)
Trombe. Rientra Gloucester, con Francia, Borgogna e seguito.
GLOUCESTER
Ecco Francia e Borgogna, mio nobile signore.
LEAR
Mio signore di Borgogna, a voi per primo
ci indirizziamo, rivale di questo re
per nostra figlia. Qual è il minimo
che richiedete, con lei, come dote immediata
per non rinunciare alla proposta d’amore?
BORGOGNA
Regale Maestà, non chiedo più di quanto
ha offerto Vostra Altezza, la quale non vorrà
offrire di meno.
LEAR
Nobilissimo Borgogna,
quando lei ci era cara, tanto valeva:
ma ora il suo prezzo è calato. Signore,
eccola là: se c’è qualcosa in quella piccola
vacua sostanza, o tutto, che con l’aggiunta
del nostro sfavore e nulla più
possa piacere a Vostra Grazia, eccola, è vostra.
BORGOGNA
Non so che rispondere.
LEAR
Con tutte le mancanze che lei stessa ammette,
senza amici, appena nata al nostro odio,
con in dote la nostra maledizione e resa
straniera dal nostro giuramento, la volete
prendere o lasciare?
BORGOGNA
Perdonate, regale signore,
in queste condizioni non c’è scelta.
LEAR
E allora lasciatela, signore; per la potenza
che mi ha creato, vi ho detto quale sia
la sua ricchezza. (Al Francia.) In quanto a voi, grande Re,
non vorrei demeritare del vostro affetto al punto
da accoppiarvi a chi odio; perciò vi prego
di indirizzare il vostro favore ad un oggetto
più degno di una sciagurata che la Natura
quasi ha vergogna a riconoscere propria.
FRANCIA
È strano che colei che appena ora
era il vostro pezzo più pregiato, il tema
del vostro panegirico, il balsamo
della vostra vecchiaia, la migliore, la più cara,
abbia commesso, in questo briciolo di tempo,
un atto così mostruoso da scancellare
tanti segni di favore. La sua offesa
dev’essere certo innaturale al punto
da farne un mostro: ché altrimenti era guasto
l’affetto sbandierato prima. Ma credere
questo di lei dev’essere una fede
che la ragione, senza un miracolo, mai
pianterà in me.
CORDELIA
Supplico Vostra Maestà
(poiché mi manca l’arte loquace e untuosa
di dire senza intendere di fare, dato
che ciò che intendo lo faccio prima
di dirlo), vi supplico di render noto
che non è stata macchia odiosa, delitto
o turpitudine, azione impura o passo
disonorevole a privarmi della grazia vostra
e del vostro favore, ma proprio la mancanza
di quello per cui sono più ricca:
un occhio che seduce e una lingua che sono
felice di non avere, anche se il non averla
mi ha perduto nel vostro favore.
LEAR
Meglio se tu non fossi nata che non avermi
meglio compiaciuto.
FRANCIA
Tutto qui? Un ritegno di natura
che spesso lascia non detta la storia
di ciò che intende fare? Mio signore di Borgogna,
cosa dite alla fanciulla? L’amore non è amore
quando è mischiato a pregiudizi estranei
alla questione. La volete? È lei stessa una dote.
BORGOGNA
Regale Lear, datele quella parte
da voi stesso offerta, e io qui prendo per mano
Cordelia, Duchessa di Borgogna.
LEAR
Niente! Ho giurato. Non mi sposto.
BORGOGNA
Mi dispiace che, perduto un padre,
dobbiate perdere anche un marito.
CORDELIA
Il Duca di Borgogna vada in pace.
Poiché reputazione e fortune sono tutt’uno
col suo amore, io non sarò sua moglie.
FRANCIA
Bellissima Cordelia, tanto più ricca
essendo povera; più scelta perché ripudiata;
e più amata perché disprezzata! Di te
e delle tue virtù io prendo qui possesso.
Sia legittimo che io raccolga quello
che è stato gettato via. O Dei, Dei!
È strano che dal loro più freddo rifiuto
il mio amore s’infiammi a devozione ardente.
O Re, la figlia tua gettata senza dote
al mio destino, è ora Regina
di noi, dei nostri, e della bella Francia.
Tutti i duchi dell’acquosa Borgogna
non potranno ricomprare da me questa fanciulla
disprezzata e preziosa. Salutali, Cordelia,
pur se sono scortesi. Perdente qui,
tu vai in un altrove migliore.
LEAR
Prendila, Francia; sia tua perché noi
non abbiamo una simile figlia né mai
rivedremo il suo viso. Va’, dunque,
senza la nostra grazia, il nostro amore,
la nostra benedizione! Venite, nobile Borgogna!
(Trombe.) Escono Lear, Borgogna, Cornovaglia, Albany, Gloucester e il seguito.
FRANCIA
Congedatevi dalle vostre sorelle.
CORDELIA
Gioielli di nostro padre, con occhi
lavati Cordelia vi lascia. Io so
che cosa siete e, da sorella,
mi ripugna chiamare col loro nome
le vostre colpe. Amate vostro padre!
Lo affido ai cuori che gli avete promesso.
Ma ahimè, se io fossi nelle sue grazie,
vorrei che avesse un posto migliore.
Addio ad entrambe, allora.
REGAN
Non prescriverci il nostro dovere.
GONERIL
Preoccupati di accontentare il tuo signore
che ti ha preso come un’elemosina della Fortuna.
Hai scarseggiato di obbedienza e ti meriti
la miseria che hai voluto.
CORDELIA
Il tempo rivelerà ciò che l’astuzia
nasconde nelle sue pieghe; chi copre le colpe
alla fine deride e svergogna. Possiate prosperare!
FRANCIA
Venite, mia bella Cordelia. (Escono Francia e Cordelia.)
GONERIL
Sorella, non è poco ciò che ho da dire su quel che ci riguarda entrambe tanto da vicino. Credo che nostro padre se ne andrà da qui, stasera.
REGAN
Certo, e con te; il mese prossimo starà da noi.
GONERIL
Vedi com’è capricciosa la sua vecchiaia. Ne abbiamo avuto prova non piccola. Ha sempre amato nostra sorella più di tutte; e con che scarso giudizio l’abbia ora ripudiata è fin troppo evidente.
REGAN
È la malattia della sua età. Comunque ha sempre conosciuto poco se stesso.
GONERIL
Anche quand’era al suo meglio, è stato sempre impulsivo. Dalla sua vecchiaia dobbiamo allora aspettarci non solo i difetti radicati nella sua natura ma anche quella capricciosità incontrollabile che gli anni infermi e collerici portano con sé.
REGAN
È probabile che avremo da lui accessi improvvisi come questo della messa al bando di Kent.
GONERIL
Tra il Francia e lui ci sono ancora cerimonie di saluto. Ti prego, agiamo di conserva. Se nostro padre esercita l’autorità in questo modo, la sua recente rinuncia finirà col danneggiarci.
REGAN
Ci penseremo sopra.
GONERIL
Dobbiamo fare qualcosa, e a caldo. Escono.
ATTO PRIMO – SCENA SECONDA
(Castello del Conte di Gloucester.)
Entra Edmund con una lettera.
EDMUND
Sei tu, Natura, la mia dea;
i miei servigi sono legati alla tua legge.
Perché dovrei accettare la peste
dell’abitudine e consentire alle convenzioni del mondo
di impoverirmi solo perché ho
dodici o quattordici lune meno
d’un fratello? Perché bastardo? Perché
basso? Quando le mie proporzioni
sono altrettanto perfette, la mia mente
altrettanto generosa e la mia forma
genuina come il prodotto d’una donna onesta?
Perché ci marchiano con “basso”?
Con “bassezza”? “Bastardaggine”? Basso, basso!
Noi che dalla passione clandestina della natura
riceviamo più vigore e qualità più fiera
di quelli che in uno stanco, monotono letto
stantio servono a creare un’intera
tribù di babbei generati tra un sonno
e una veglia? Ebbene, allora, legittimo
Edgar, io debbo avere la tua terra.
Nostro padre ama il bastardo Edmund
quanto il legittimo (bella parola!).
Ebbene, mio “legittimo”, se questa lettera
va a segno e la mia trama agisce,
Edmund il basso soverchierà il legittimo.
Io cresco. Io prospero. Avanti, Dei,
schieratevi coi bastardi!
Entra Gloucester.
GLOUCESTER
Kent bandito così! E il Francia
partito in collera! E il Re andato via
stanotte! E ha rinunciato al suo potere!
S’è ridotto a un vitalizio! E tutto questo
in un batter d’occhio! – Che succede, Edmund?
Che novità?
EDMUND
Se non dispiace a Vostra Signoria, nessuna.
(Nascondendo la lettera.)
GLOUCESTER
Perché tanti sforzi per nascondere quella lettera?
EDMUND
Non so di nessuna novità, signore.
GLOUCESTER
Che foglio stavi leggendo?
EDMUND
Niente, signore.
GLOUCESTER
Niente? E allora perché questa terribile fretta di ficcartelo in tasca? Il niente non ha tutta questa necessità di nascondersi. Vediamo. Su, se non è niente non ho bisogno di occhiali.
EDMUND
Vi supplico, signore, perdonatemi È una lettera di mio fratello che non ho nemmeno letta tutta; e da quel tanto che ne ho scorso non mi sembra adatta al vostro sguardo.
GLOUCESTER
Datemi la lettera, signore.
EDMUND
Faccio male sia a trattenerla sia a darla. Il contenuto, a quel che in parte arguisco, è da condannare.
GLOUCESTER
Vediamo, vediamo!
EDMUND
Spero, a giustificazione di mio fratello, che l’abbia scritta solo per sondare o mettere alla prova la mia virtù.
GLOUCESTER (legge.)
Questa pratica di riverire la vecchiaia ci rende il mondo amaro nell’età migliore; tiene le ricchezze lontane da noi fino a quando la nostra decrepitezza ci impedisce di gustarle. Comincio a sentire come un legame inutile e sciocco questa opprimente tirannia della vecchiaia, che domina non in quanto ha il potere ma in quanto noi la subiamo. Passa da me; ti dirò di più su questo. Se nostro padre si addormentasse e dovessi essere io a svegliarlo, tu godresti per sempre di metà delle sue rendite, e vivresti amato da tuo fratello EDGAR. – Uh! Cospirazione! “… si addormentasse e dovessi essere io a svegliarlo… tu godresti per sempre di metà delle sue rendite”. Mio figlio Edgar! Ha avuto mano a scrivere questo? Cuore e mente per concepirlo? Quando l’hai ricevuta? Chi l’ha portata?
EDMUND
Non mi è stata portata, signore. Qui è l’astuzia. È stata gettata nella mia stanza dalla finestra.
GLOUCESTER
La calligrafia la riconosci per quella di tuo fratello?
EDMUND
Se si trattasse di cosa buona, signore, oserei giurare che è la sua; ma in questo caso preferirei pensare di no.
GLOUCESTER
È la sua?
EDMUND
È la sua mano, signore; ma spero che nel contenuto non ci sia il suo cuore.
GLOUCESTER
Ti ha mai sondato su questa faccenda, prima?
EDMUND
Mai, signore. Ma gli ho spesso sentito dire che quando i figli hanno raggiunto la piena maturità e i padri sono in declino, sarebbe giusto che il padre venisse messo sotto la tutela del figlio e il figlio amministrasse i suoi beni.
GLOUCESTER
Ah, canaglia, canaglia! È l’opinione espressa nella lettera! Delinquente odioso! Delinquente snaturato, detestabile, bestiale! Peggio che bestiale! Tu va’ a cercarlo. lo farò arrestare. Delinquente abominevole! Dov’è?
EDMUND
Di preciso non lo so, signore. Se vi vorrete compiacere di sospendere il vostro sdegno nei confronti di mio fratello finché non otteniate da lui una migliore testimonianza delle sue intenzioni, seguirete la strada giusta, mentre, se agiste con violenza contro di lui, fraintendendo i suoi propositi, ciò aprirebbe una grande breccia nel vostro onore e farebbe a pezzi il cuore stesso della sua obbedienza. Mi giocherei la vita che ha scritto questo per saggiare la mia devozione a Vostro Onore senza nessun altro fine delittuoso.
GLOUCESTER
Lo credi?
EDMUND
Se Vostro Onore lo giudica opportuno, vi farò mettere dove potrete sentirci parlare di questo e aver così soddisfazione in base a una testimonianza auricolare; e ciò non più tardi di questa stessa sera.
GLOUCESTER
Non può essere un tale mostro…
EDMUND
E certo non lo è.
GLOUCESTER
… verso suo padre, che lo ama in modo così tenero e totale. Cielo e terra! Scovalo, Edmund! Penetra per me dentro di lui, ti prego: vedi tu come è meglio fare. Mi priverei del mio rango pur di avere una qualche certezza.
EDMUND
Lo cerco subito, signore. Porterò avanti la cosa a seconda dei mezzi che avrò e vi terrò informato.
GLOUCESTER
Queste recenti eclissi del sole e della luna non ci promettono niente di buono. Sebbene la scienza della natura possa farle apparire, in un modo o nell’altro, razionali, tuttavia la natura si vede colpita dai seguenti effetti: l’amore si raffredda, l’amicizia si interrompe, i fratelli si dividono. Nelle città, sommosse; nelle nazioni, discordia; nei palazzi, tradimento; e si spezza il vincolo tra figlio e padre. Questo mio malfattore rientra nella predizione; il figlio contro il padre. Il Re abbandona la traiettoria naturale; e abbiamo il padre contro il figlio. Il meglio dei nostri anni lo abbiamo visto. Macchinazioni, vuoto, tradimento e ogni sorta di disordini rovinosi ci accompagnano, senza requie, alle nostre tombe. Scova questa canaglia, Edmund! Non ci perderai niente. Fallo con prudenza. E il nobile e fedele Kent bandito! Il suo delitto? L’onestà. È strano. Esce.
EDMUND
Ecco la mirabile stupidità del mondo: quando le nostre fortune decadono – spesso per gli eccessi del nostro stesso comportamento – rendiamo colpevoli dei nostri disastri il sole, la luna e le stelle, come se fossimo delinquenti per necessità, sciocchi per coercizione celeste, furfanti, ladri e traditori per il movimento delle sfere, ubriaconi, bugiardi e adulteri per obbedienza forzata all’influsso dei pianeti – e tutto il male che facciamo è dovuto all’imperativo divino. Magnifica trovata dell’uomo puttaniere, quella di mettere i suoi istinti da caprone a carico d’una stella. Mio padre si accoppiò con mia madre sotto la coda del Drago e la mia natività ebbe luogo sotto la Ursa major: ne consegue che io sono sensuale e lascivo. Cristo! Sarei stato quello che sono anche se a far l’occhiolino alla mia bastardaggine fosse stata la stella più virginale del firmamento. Edgar –
Entra Edgar.
eccolo che viene, puntuale come la catastrofe nella commedia antica. Il mio ruolo è quello del furfante malinconico, con un sospiro da manicomio alla Tom di Bedlam. – Oh! queste eclissi annunciano discordanze. Fa, sol, la, mi.
EDGAR
Ehi, fratello Edmund! In quale profonda contemplazione sei immerso?
EDMUND
Sto pensando, fratello, a una predizione che ho letto l’altro giorno su ciò che dovrebbe seguire a queste eclissi.
EDGAR
Ti occupi di queste cose?
EDMUND
Credimi, gli effetti di cui scrive costui sono tremendi. odio innaturale tra il figlio e il padre; morte, carestia, rottura di antiche amicizie, divisioni nello stato, minacce e maledizioni contro re e nobili, diffidenze infondate, messa al bando di amici, dissoluzione di eserciti, rottura di matrimoni e non so che altro.
EDGAR
Da quando appartieni alla setta degli astronomi?
EDMUND
Quand’è che hai visto mio padre l’ultima volta?
EDGAR
Ieri sera.
EDMUND
Gli hai parlato?
EDGAR
Sì, per due ore di seguito.
EDMUND
Vi siete lasciati in buona armonia? Hai notato qualche segno di risentimento nelle sue parole o nei suoi modi?
EDGAR
Nessuno.
EDMUND
Pensa in che cosa puoi averlo offeso e, ti prego, sta’ lontano da lui finché non passi un po’ di tempo e si attenui così il fuoco della sua irritazione, che in questo momento infuria a tal punto, in lui, che nemmeno aggredendoti riuscirebbe a calmarsi.
EDGAR
È l’opera di qualche canaglia
EDMUND
È ciò che temo. Ti prego, sopporta con pazienza finché la corsa della sua ira non rallenti. Poi vieni nel mio alloggio, da dove troverò il modo di farti ascoltare le parole di Sua Signoria. Ora va’, ti prego. Ecco la chiave. Se esci, gira armato.
EDGAR
Armato, fratello?
EDMUND
Fratello, ti consiglio per il meglio. Che io non sia un uomo onesto se nei tuoi confronti spirano intenzioni buone. Ti ho detto ciò che ho visto e sentito; ma è niente rispetto all’orrore della cosa. Ti prego, va’.
EDGAR
Ti farai sentire presto?
EDMUND
Sono al tuo servizio, in questa storia. (Esce Edgar.)
Un padre credulo e un nobile fratello
la cui natura è così lontana
dal fare il male, che nemmeno sospetta.
Sulla sua sciocca onestà cavalcano con agio
le mie trame! Vedo la cosa.
Se non per nascita, avrò le terre
grazie alla fantasia; per me va bene tutto
purché ai miei fini sappia renderlo adatto. (Esce.)
ATTO PRIMO – SCENA TERZA
(Sala nel Palazzo del Duca di Albany.)
Entrano Goneril e Oswald, suo maggiordomo.
GONERIL
E dunque mio padre ha picchiato uno del mio seguito perché aveva sgridato il suo Matto?
OSWALD
Sì, signora.
GONERIL
Mi perseguita giorno e notte, non c’è ora
in cui non compia azioni dissennate
che ci mettono tutti in difficoltà. Non lo sopporto!
I suoi cavalieri si fanno rissosi
e lui stesso ci sgrida per ogni sciocchezza.
Quando torna dalla caccia, rifiuterò di parlargli:
digli che sto male. E se sarai
meno zelante di prima farai bene:
rispondo io della colpa.
OSWALD
Sta arrivando, signora: lo sento. (Corni all’interno.)
GONERIL
Assumete tutta l’aria negligente che volete,
tu e i tuoi colleghi. Bisogna
arrivare al punto. Se non gli piace,
se ne vada da mia sorella che su questo,
lo so, ha le mie stesse idee, di non farsi
sopraffare. Vecchio rimbambito che vorrebbe
esercitare ancora il potere al quale
ha rinunciato! Ora, per la mia vita,
i vecchi sciocchi ridiventano bambini
e vanno trattati non solo con le carezze
ma coi rimproveri, quando appaiono viziati.
Ricorda quel che ho detto.
OSWALD
Bene, signora.
GONERIL
E che i suoi cavalieri trovino tra voi
sguardi più freddi. Quel che ne seguirà,
non ha importanza. Avverti i tuoi colleghi.
Da questo vorrei cogliere l’occasione per parlare,
e lo farò. Scrivo subito a mia sorella
di seguire la mia linea. Preparate il pranzo. (Escono.)
ATTO PRIMO – SCENA QUARTA
(Salone nello stesso Palazzo.)
Entra Kent, travestito.
KENT
Se riesco a indossare accenti con i quali
travestire il mio linguaggio, forse potrò
realizzare pienamente il buon intento
per cui ho scancellato la mia fisionomia.
Ora, esiliato Kent, se riesci
a servire dove sei stato condannato, può darsi
che il signore che tu ami s’accorga dei tuoi sforzi.
(Corni all’interno.) Entrano Lear, Cavalieri e seguito.
LEAR
Non fatemi aspettare il pranzo nemmeno un secondo! Avanti, andate a prepararlo. (Esce un servo.) E tu chi sei?
KENT
Un uomo, signore.
LEAR
Che professi? Che vuoi da noi?
KENT
Professo di non essere nulla di meno di quel che sembro: di servire fedelmente chi avrà fiducia in me, di amare chi è onesto, di conversare con chi è saggio e parla poco, di temere il giudizio, di battermi quando non posso farne a meno e di non mangiare pesce.
LEAR
Che cosa sei?
KENT
Uno dal cuore molto onesto e povero come il Re.
LEAR
Se come suddito sei povero quanto lo è lui come Re, sei povero abbastanza. Che vuoi?
KENT
Servire.
LEAR
E chi vuoi servire?
KENT
Voi.
LEAR
Mi conosci, amico?
KENT
No, signore, ma avete qualcosa nell’aspetto per cui volentieri vi chiamerei padrone.
LEAR
Che cos’è?
KENT
L’autorità.
LEAR
Quali servigi sai prestare?
KENT
So tenere un segreto onesto, cavalcare, correre, rovinare raccontandola una storia infiocchettata e riferire francamente un messaggio franco. Sono qualificato per tutto ciò cui sono adatti gli uomini semplici, e la mia dote migliore è la diligenza.
LEAR
Quanti anni hai?
KENT
Non sono così giovane, signore, da innamorarmi di una donna perché sa cantare, né così vecchio da rimbambirmi per lei come che sia. Sul groppone ho quarantotto anni.
LEAR
Seguimi; mi servirai. Se dopo pranzo non mi piacerai di meno non mi separerò da te. Ehi, il pranzo! Il pranzo! Dov’è il mio furfante? il mio Matto? Ehi, tu, va’ a chiamare il mio Matto. (Esce un servo.)
Entra Oswald.
Ehi, tu, dov’è mia figlia?
OSWALD
Se non vi dispiace – (Esce.)
LEAR
Che dice quello? Richiamate quella testa di rapa.
(Esce un Cavaliere.)
Dov’è il mio Matto? L’universo mondo è addormentato!
Rientra il Cavaliere.
Ehi! Dov’è quel cane bastardo?
CAVALIERE
Dice, signore, che vostra figlia non sta bene.
LEAR
E perché quello zotico non è tornato indietro quando l’ho chiamato?
CAVALIERE
Signore, mi ha risposto senza cerimonie che non ne aveva voglia.
LEAR
Non ne aveva voglia!
CAVALIERE
Mio signore, io non so che cosa stia succedendo ma a mio parere Vostra Altezza non viene trattata con la devozione rispettosa cui eravate abituato. C’è una forte diminuzione di cortesia nei dipendenti in genere ma anche nello stesso Duca e in vostra figlia.
LEAR
Ah! È così, secondo te?
CAVALIERE
Se sbaglio vi prego di perdonarmi, signore; ma il mio dovere non può tacere quando ritengo che si faccia torto a Vostra Altezza.
LEAR
Tu non fai che ricordarmi idee che avevo nutrito anch’io. Ultimamente ho osservato una certa trascuratezza, ma l’ho attribuita alla mia eccessiva permalosità piuttosto che ad una vera e propria intenzione di essere scortesi. Approfondirò la cosa. Ma dov’è il mio Matto? Sono due giorni che non lo vedo.
CAVALIERE
Da quando la mia giovane signora è andata in Francia, Maestà, il Matto è molto in pena.
LEAR
Basta così, l’ho notato. Va’ a dire a mia figlia che voglio parlare con lei. (Esce un servo.)
E tu va’ a chiamare il mio Matto. (Esce un servo.)
Rientra Oswald.
Ehi, voi, signore, voi! Venite qui, signore. Chi sono io, signore?
OSWALD
Il padre della mia signora.
LEAR
“Il padre della mia signora”, tu furfante del mio signore! Figlio di puttana, zotico, cane bastardo!
OSWALD
Io non sono nessuna di queste cose, signore. Vogliate perdonarmi.
LEAR
Mi ribatti i colpi, mascalzone? (Lo colpisce.)
OSWALD
Non mi farò picchiare, signore.
KENT
E nemmeno sgambettare, volgare giocatore di pallone. (Lo sgambetta.)
LEAR
Ti ringrazio, amico; tu mi servi e io ti avrò caro.
KENT
Avanti, alzati e vattene. Ti insegnerò io le differenze. Via, via! Se vuoi misurare di nuovo la lunghezza della tua carcassa, fermati pure. Ma vattene, vattene via! Non ce l’hai un po’ di buon senso? (Esce Oswald.) Bravo.
LEAR
Amico mio furfante, ti ringrazio. Ecco un anticipo per i tuoi servizi. (Dà del denaro a Kent.)
Entra il Matto.
MATTO
Lasciate che lo assuma anch’io. Ecco il mio berretto a sonagli. (Offre a Kent il suo berretto.)
LEAR
Oh, furfantello mio grazioso, come stai?
MATTO
Ehi, amico, faresti meglio a prendertelo tu il mio berretto a sonagli.
KENT
Perché, Matto?
MATTO
Perché? Per aver preso le parti di uno che è in disgrazia. Se non sai sorridere secondo il vento che tira ti acchiappi subito un bel raffreddore! Su, prenditi il mio berretto. Costui ha messo al bando due delle sue figlie e alla terza ha dato una benedizione contro la sua volontà! Se segui lui, devi per forza metterti il mio berretto. E allora, Zietto? Magari potessi avere due berretti e due figlie.
LEAR
Perché, ragazzo mio?
MATTO
Se dessi loro tutti i miei beni, almeno mi terrei due berretti. Eccoti il mio. Chiedine un altro alle tue figlie.
LEAR
Attento alla frusta, briccone.
MATTO
La verità è un cane che deve stare nel canile. Lui dev’essere cacciato di casa con la frusta mentre la Levriera di Madama se ne può stare accanto al fuoco e puzzare.
LEAR
Che veleno per me!
MATTO
Ehi, ti insegno un discorso.
LEAR
Avanti.
MATTO
Attento, Zietto:
Abbi più di quel che mostri,
parla men di quel che sai,
presta men di ciò che devi,
va’ a cavallo più che a piedi,
impara più di quel che credi,
punta men di quel che vinci,
lascia il bere e le puttane
e stattene a casa. Così
avrai più di due dieci
per ogni ventina.
KENT
Questo è niente, Matto.
MATTO
Allora è come il fiato di un avvocato non pagato: tu non mi hai dato niente. Sai far uso di niente, Zietto?
LEAR
Eh no, ragazzo mio. Da niente non nasce niente.
MATTO (a Kent.)
Ti prego, diglielo tu che a questo ammonta tutta la rendita della sua terra. Lui a un Matto non ci crede.
LEAR
Un Matto amaro!
MATTO
Ragazzo mio, conosci la differenza tra un Matto amaro e uno dolce?
LEAR
No, ragazzo, insegnamela.
MATTO
Il signore che ti ha consigliato
di dar via la tua terra,
mettilo qui accanto a me
e tu mettiti al posto suo.
Il Matto dolce e quello amaro
subito appariranno:
uno ha il vestito a colori,
l’altro si trova – lì.
LEAR
Mi dai del Matto, ragazzo?
MATTO
Tutti gli altri tuoi titoli li hai dati via. Con quello ci sei nato.
KENT
Costui non è del tutto matto, mio signore.
MATTO
No davvero. i signori e i potenti non me lo permettono. Se ne avessi il monopolio, loro ne vorrebbero una parte. E anche le dame – non vogliono che abbia il Matto tutto per me ma ci vogliono mettere le mani sopra. Zietto, dammi un uovo e io ti do due corone.
LEAR
Che corone possono essere?
MATTO
Dopo che ho spaccato l’uovo nel mezzo e mangiato il tuorlo ecco le due corone dell’uovo. Quando tu hai spaccato la tua corona a metà dando via tutt’e due le parti, ti sei caricato l’asino sulla schiena per fargli attraversare lo sporco. Avevi poco cervello nella tua corona pelata quando hai dato via quella d’oro. Se parlo come il Matto che sono, sia frustato chi s’accorge per primo che è così.
I matti non sono mai stati peggio,
perché i savi son diventati sciocchi,
non sanno più come portare il cervello,
si sono trasformati in scimmiotti.
LEAR
Da quand’è che sei così pieno di canzoni, furfante?
MATTO
Da quando, Zietto, hai fatto delle tue figlie le tue madri; perché quando hai dato loro la verga e ti sei calato le brache,
Loro piangevano per la contentezza
e io cantavo per la tristezza
che un simile re a mosca cieca giocasse,
e in mezzo ai matti se ne andasse.
Ti prego, Zietto, assumi un maestro di scuola che sappia insegnare al tuo Matto a mentire. Imparare a mentire mi piacerebbe proprio.
LEAR
Se menti, canaglia, ti faremo frustare.
MATTO
Mi domando che razza di parenti siete, tu e le tue figlie. Loro mi vogliono far frustare perché dico la verità, tu perché mento: e certe volte vengo frustato perché sto zitto. Preferirei essere qualsiasi cosa piuttosto che un Matto. Eppure non vorrei essere te, Zietto. Tu ti sei rasato il cervello da tutt’e due le parti e non hai lasciato niente in mezzo. Ecco che viene una delle tue rasature.
Entra Goneril.
LEAR
Ebbene, figlia? Perché quella fronte aggrottata? Ultimamente sei troppo spesso di questo umore.
MATTO
Tu eri un bel tipo quando non avevi nessun bisogno di preoccuparti per i suoi aggrottamenti. Ora sei uno zero senza cifre davanti. Sono meglio io di te, ora; io sono un Matto: tu non sei niente. (A Goneril.) Sì, sì, terrò la lingua a posto. Me lo comanda la tua faccia, anche se tu non dici niente.
Uhm, uhm,
chi non ha più una briciola o una crosta,
stanco di tutto, ne vorrebbe un po’.
Quello è un baccello svuotato. (Indicando Lear.)
GONERIL
Non solo, signore, questo vostro Matto
patentato, ma altri del vostro seguito insolente
ogni ora si lagnano e litigano, provocando
tumulti pestiferi che non si possono tollerare.
Signore, rendendovi noto tutto questo
pensavo d’aver trovato un rimedio sicuro;
ma ora, da quanto voi stesso ultimamente
avete detto e fatto, comincio a temere
che voi proteggiate questo andazzo, incoraggiandolo
col vostro consenso. Se così fosse, la colpa
non sfuggirebbe alla censura, né la punizione
dormirebbe. La quale per la salvezza dello stato
potrebbe arrecarvi qualche offesa
che sarebbe vergognosa se a sancirne la correttezza
non fosse la necessità.
MATTO
Perché lo sai, Zietto,
il passero nutrì il cuculo così a lungo
che i suoi piccoli gli mangiarono la testa.
Così la candela si spense e noi
restammo al buio.
LEAR
Siete nostra figlia?
GONERIL
Su, signore, vorrei che usaste
il buonsenso di cui vi so provvisto e rinunciaste
a questi umori che ultimamente
vi trasportano lontano da ciò che siete.
MATTO
Perché un asino non dovrebbe saperlo, quando è il carro che tira il cavallo? Corri, corri, Jug, ti voglio bene.
LEAR
C’è qualcuno qui che mi conosce? Questo
non è Lear. Cammina Lear così,
parla così? Dove sono i suoi occhi?
Forse il suo cervello è indebolito, la sua ragione
in letargo. Oh! È sveglio. Non è vero.
Chi può dirmi chi sono?
MATTO
L’ombra di Lear.
LEAR
Vorrei saperlo. Perché i segni della sovranità, la conoscenza e la ragione, vorrebbero a torto persuadermi che avevo delle figlie.
MATTO
Che faranno di te un padre obbediente.
LEAR
Il vostro nome, bella signora?
GONERIL
Questo vaneggiamento, signore, sa molto
delle altre vostre recenti bizzarrie.
Vi scongiuro di intendere al giusto i miei propositi:
poiché siete vecchio e venerando dovreste
essere savio. Voi tenete qui
cento cavalieri e scudieri, uomini
così rissosi, debosciati e tracotanti
che questa nostra corte, infettata
dalle loro maniere, somiglia a una locanda
malfamata: gozzoviglie e lussuria la rendono
più simile a una bettola o a un bordello
che non a un nobile palazzo. È la vergogna
a esigere un pronto rimedio. E dunque
fatevi persuadere da colei che altrimenti
si prenderà ciò che chiede, a ridurre un poco
il vostro seguito, e a far sì che coloro
che resteranno con voi siano uomini
adatti alla vostra vecchiaia e tali
da conoscere se stessi e voi.
LEAR
Tenebra e demoni!
Sellate i miei cavalli; radunate il mio seguito!
Bastarda degenere, non ti disturbo più:
ma ho ancora un’altra figlia.
GONERIL
Voi picchiate la mia gente, e la vostra
marmaglia rissosa tratta da servo
chi le è superiore.
Entra Albany.
LEAR
Guai a chi si pente troppo tardi. – Signore,
siete venuto? Sono ordini vostri? Parlate,
signore. – Preparate i miei cavalli. Ingratitudine,
demonio dal cuore di marmo, più odioso,
quando appari in un figlio, del mostro marino.
ALBANY
Vi prego, signore, abbiate pazienza.
LEAR (a Goneril.)
Nibbio maledetto, tu menti! Il mio seguito
è fatto di uomini scelti e dalle doti
più rare, che conoscono ogni aspetto del dovere
e col massimo scrupolo sostengono l’onore
del loro nome. O colpa minuscola,
come mi apparisti brutta in Cordelia,
sì da svellere, come una macchina da guerra,
la struttura del mio essere dal suo luogo fisso,
togliendo ogni affetto dal mio cuore e aggiungendo
al fiele. O Lear, Lear, Lear!
Bussa alla porta che ha fatto entrare (Battendosi il capo.)
la tua follia, e uscire il tuo senno prezioso!
Andiamo, andiamo, gente mia.
(Escono Kent e i Cavalieri.)
ALBANY
Mio signore, sono tanto incolpevole
quanto ignorante di ciò che vi ha turbato.
LEAR
Può darsi, signore. Ascolta, Natura,
ascolta! Ascolta, amata dea!
Sospendi il tuo proposito se mai intendevi
rendere questa creatura feconda! Versa
la sterilità nel suo ventre, dissecca in lei
gli organi della generazione, e dal suo corpo degradato
mai non venga un bimbo ad onorarla!
Se deve generare, fa’ che suo figlio
sia fatto di bile, sì che viva
solo per esserle tormento crudele
e snaturato! Stampi rughe sulla sua
giovane fronte, scavi con le lacrime
canali nelle sue guance, e tutte le sue pene
e gioie di madre le volga in riso
e disprezzo, sì che senta
quant’è più aspro del dente del serpente
avere un figlio ingrato! Via, via! (Esce.)
ALBANY
Per gli Dei che adoriamo, da dove viene
tutto questo?
GONERIL
Non curatevi di saperne di più
ma lasciate che il suo umore abbia lo sfogo
che gli offre il rimbambimento.
Rientra Lear.
LEAR
Come! cinquanta dei miei uomini in un colpo?
Entro due settimane?
ALBANY
Di che si tratta, signore?
LEAR
Ve lo dirò. (A Goneril.) Vita e morte! Mi vergogno
che tu abbia il potere di scuotere così
la mia virilità, che queste lacrime cocenti
che sgorgano a forza da me ti rendano
degna di loro. Bufere e nebbie
su di te! La maledizione di un padre
penetri tutti i tuoi sensi con ferite
senza rimedio. Vecchi stupidi occhi,
piangete ancora per questo, e io
vi strapperò gettandovi con l’acqua che versate
a temperare la calce. Ah! Siamo a questo?
E sia così. Ho un’altra figlia,
la quale, ne son certo, è buona e premurosa.
Quando saprà di questo, con le unghie
lacererà il tuo viso di lupa. Scoprirai
che saprò riprendere la forma che tu credi
abbia gettato per sempre via.
(Escono Lear, Kent e seguito.)
GONERIL
Avete visto?
ALBANY
Non posso essere così parziale, Goneril,
verso il grande amore che vi porto –
GONERIL
Tacete, vi prego. Ehi, Oswald!
(Al Matto.) E tu, più canaglia che matto, segui il tuo padrone!
MATTO
Zietto Lear, Zietto Lear, aspetta, e prendi il Matto con te.
Una volpe catturata
e una figlia come questa
debbono finire ammazzate
se col berretto un capestro
riesco a comprare. Intanto
il Matto ti viene dietro. (Esce.)
GONERIL
Quest’uomo è stato proprio consigliato bene.
Cento cavalieri! Vi pare politico e sicuro
che tenga pronti cento cavalieri?
Sì, perché ad ogni sogno, ogni sussurro,
capriccio, lamento, antipatia possa
difendere con la loro forza la sua demenza
e mettere alla sua mercé le nostre vite!
Oswald, dico!
ALBANY
Mah, forse temete troppo.
GONERIL
È più sicuro che essere troppo fiduciosi.
Lasciate che liquidi i mali che temo
piuttosto che temere d’essere liquidata io.
Conosco il suo cuore. Ciò che ha detto
l’ho scritto a mia sorella: se lei mantiene
lui e i suoi cento cavalieri dopo che io
le ho dimostrato quanto sia pericoloso –
Rientra Oswald.
Ebbene, Oswald! hai scritto
quella lettera a mia sorella?
OSWALD
Sì, signora.
GONERIL
Prenditi qualcuno e via a cavallo.
Informala esattamente del mio particolare timore
e a ciò aggiungi di tuo le ragioni
che possono meglio ribadirlo. Va’,
e torna in fretta. (Esce Oswald.)
No, no, mio signore, questa vostra
lattea tolleranza, che io pure non condanno,
vi rende, perdonatemi, più da criticare
per mancanza di saggezza che non da lodare
per una mitezza dannosa.
ALBANY
Non so fino a che punto vedano i vostri occhi.
Cercando il meglio, spesso guastiamo il bene.
GONERIL
E allora –
ALBANY
Bene, bene – aspettiamo. (Escono.)
ATTO PRIMO – SCENA QUINTA
(Cortile davanti al Palazzo di Albany.)
Entrano Lear, Kent e Matto.
LEAR
Precedimi da Gloucester con questa lettera. A mia figlia comunica, di quel che sai, solo ciò che nascerà dalle sue domande, dopo che l’avrà letta. Se non ti affretti sarò lì prima di te.
KENT
Non dormirò, signore, finché non avrò consegnato la vostra lettera. Esce.
MATTO
Se un uomo avesse il cervello nei calcagni, non rischierebbe che gli venissero i geloni?
LEAR
Sì, ragazzo.
MATTO
Allora sta’ allegro, per piacere. Il tuo non andrà in pantofole.
LEAR
Ah, ah, ah!
MATTO
Vedrai come ti tratterà bene l’altra figlia; perché sebbene somigli a questa come una mela selvatica a una ranetta, tuttavia, ti dico io quel che ti dico.
LEAR
E che puoi dirmi, ragazzo?
MATTO
Che avrà il sapore di questa come la mela selvatica ha quello della ranetta. Sai dirmi perché il naso sta in mezzo alla faccia?
LEAR
No.
MATTO
Ebbene, per tenere gli occhi da tutt’e due le parti del naso, così che quello che non si odora si può vedere.
LEAR
Le ho fatto torto –
MATTO
E sai dire in che modo l’ostrica fa il guscio?
LEAR
No.
MATTO
Nemmeno io. Ma so perché la lumaca ha la casa.
LEAR
Perché?
MATTO
Ma per metterci dentro la testa. Per non darla alle sue figlie e lasciare le corna allo scoperto.
LEAR
Scorderò la mia natura. Un padre così buono! Sono pronti i miei cavalli?
MATTO
Sono andati a prenderli i tuoi somari. La ragione per cui le sette stelle non sono più di sette è una ragione sottile.
LEAR
Perché non sono otto?
MATTO
Giusto! Faresti il Matto molto bene.
LEAR
Riprenderlo a forza! Mostro di ingratitudine!
MATTO
Se tu fossi il mio Matto, Zietto, ti farei picchiare perché sei vecchio prima del tempo.
LEAR
Che vuoi dire?
MATTO
Prima di diventare vecchio avresti dovuto aspettare d’essere savio.
LEAR
Non farmi diventare pazzo, pazzo,
dolce Cielo! Fammi conservare
la ragione: non voglio essere pazzo.
Entra un Gentiluomo.
E allora? Sono pronti i miei cavalli?
GENTILUOMO
Pronti, mio signore.
LEAR
Vieni, ragazzo.
MATTO
Chi è ancora fanciulla
e ride alla mia partenza
fanciulla a lungo non resta
se la cosa non s’accorcia. (Escono.)
Re Lear
(“King Lear” – 1605 – 1606)
Introduzione – Riassunto
Atto I
Atto II
Atto III
Atto IV
Atto V