(“King Lear” – 1605 – 1606)
Introduzione – Riassunto
Atto I
Atto II
Atto III
Atto IV
Atto V
Introduzione al teatro di Shakespeare
Elenco opere teatrali
ATTO QUARTO – SCENA PRIMA
(Brughiera.)
Entra Edgar.
EDGAR
Meglio così, tuttavia: sapere
d’essere disprezzato piuttosto che stare
ancora peggio, disprezzato senza saperlo.
La cosa più bassa e priva di fortuna
ha ancora una speranza, non vive in paura:
il mutamento più lamentevole è dal meglio:
il peggio torna al sorriso. E allora,
sii benvenuta, aria senza sostanza
che qui abbraccio. Lo sventurato che tu
hai soffiato nel peggio, non deve nulla
alle tue raffiche. Ma chi viene?
Entra Gloucester, condotto da un Vecchio.
Mio padre, con questa scorta? O mondo, mondo.
o mondo! Se non fosse che i tuoi strani mutamenti
ti fanno odiare da noi, la vita
non cederebbe alla vecchiaia.
VECCHIO
Mio buon signore, sono stato per ottant’anni
fittavolo vostro e di vostro padre.
GLOUCESTER
Via! Vattene! Vattene, buon amico,
a me il tuo conforto non può fare alcun bene,
a te può fare male.
VECCHIO
Ma voi non vedete la strada.
GLOUCESTER
Io non ho strada e perciò non ho bisogno
di occhi; quando vedevo ho inciampato.
Si osserva spesso che ciò che abbiamo
ci danneggia e ciò che ci manca si dimostra
utile. O caro figlio Edgar,
nutrimento dell’ira di tuo padre ingannato!
Potessi vivere tanto da vederti al tatto,
direi che ho di nuovo gli occhi.
VECCHIO
Ebbene? Chi è là?
EDGAR (a parte.)
O Dei! Chi può dire “Sono al peggio”?
Io sto peggio di come mai sia stato.
VECCHIO
È il povero Tom, il pazzo.
EDGAR (a parte.)
E posso stare ancora peggio;
non siamo al peggio finché possiamo dire
“questo è il peggio”.
VECCHIO
Dove vai, amico?
GLOUCESTER
È un mendicante?
VECCHIO
Mendicante, e anche pazzo.
GLOUCESTER
Un po’ deve ragionare, ché altrimenti
non potrebbe mendicare. Durante il temporale
della notte scorsa ho visto un tale
che mi ha fatto pensare all’uomo come
ad un verme. Mi è venuto in mente mio figlio;
eppure la mia mente, allora, non gli era
amica. Da allora ho imparato di più.
Noi siamo per gli Dei come le mosche per i monelli:
ci uccidono per il loro spasso.
EDGAR (a parte.)
Come può essere? Brutto mestiere,
quello di chi al dolore deve fare
da buffone, facendo adirare se stesso
e gli altri. (Ad alta voce.) Dio ti benedica, padrone!
GLOUCESTER
È l’uomo nudo?
VECCHIO
Sì, mio signore.
GLOUCESTER
Ti prego, allora, vattene. Se vorrai,
per amor mio, raggiungerci a un miglio o due
sulla strada di Dover, per l’antico affetto
porta qualche vestito per quest’anima nuda
alla quale chiederò di guidarmi.
VECCHIO
Ahimè, signore, è pazzo.
GLOUCESTER
È la piaga dei tempi quando i pazzi
guidano i ciechi. Fa’ come ti ho detto,
o, piuttosto, fa’ come vuoi.
Ma, soprattutto, vattene.
VECCHIO
Gli porterò i vestiti migliori che possiedo,
e vada come vada. (Esce.)
GLOUCESTER
Ehi, tu, uomo nudo!
EDGAR
Il povero Tom ha freddo. (A parte.) Non so più recitare questa parte.
GLOUCESTER
Vieni qui, amico.
EDGAR (a parte.)
Eppure devo. Benedetti i tuoi dolci occhi, sanguinano.
GLOUCESTER
Conosci la strada per Dover?
EDGAR
Ogni varco e porta, pista per cavalli e sentiero per uomini. Al povero Tom hanno fatto tanta paura che è andato fuor di senno: guardati, figlio di un uomo buono, dal turpe demonio. Cinque demoni sono entrati insieme nel povero Tom: quello della lussuria, Obidicut; Hoberdidance, principe del silenzio; Mahu, dei ladri; Modo, degli assassini; Flibbertigibbet, degli smorfiosi e dei damerini che da allora possiede cameriere e dame di compagnia. Perciò sii benedetto, padrone!
GLOUCESTER
Ecco, prendi questa borsa, tu
che le piaghe del cielo hanno umiliato
con tutti i loro colpi. Che io sia sventurato
rende te più felice. O cieli, fate
che l’uomo che ha il superfluo e si nutre
di lussuria, piegando a sé i vostri decreti,
e che non vede perché non sente,
senta subito il vostro potere.
Una giusta distribuzione dovrebbe in tal modo
porre fine agli eccessi e ogni uomo
avere abbastanza. Conosci Dover?
EDGAR
Sì, padrone.
GLOUCESTER
C’è una scogliera il cui alto capo
ricurvo guarda impaurito l’abisso
sottostante; basta che tu mi conduca
all’orlo e io riparerò la miseria
che sopporti con qualcosa di prezioso che ho
con me. Da lì non avrò bisogno di una guida.
EDGAR
Dammi il braccio. Il povero Tom ti guiderà. (Escono.)
ATTO QUARTO – SCENA SECONDA
(Davanti al Palazzo del Duca di Albany.)
Entrano Goneril e Edmund.
GONERIL
Benvenuto, mio signore. Mi stupisce che il nostro
mite marito non ci sia venuto incontro.
Entra Oswald.
Ebbene, dov’è il tuo padrone?
OSWALD
Dentro, signora: ma un uomo non è mai
cambiato tanto. Gli ho detto dell’esercito
ch’era sbarcato; ha sorriso. Gli ho detto
che voi stavate venendo. Ha risposto: “Tanto peggio”.
Quando l’ho informato del tradimento di Gloucester
e del servizio leale di suo figlio
mi ha chiamato sciocco e mi ha detto
che avevo frainteso tutto. Quello
che gli dovrebbe dispiacere sembra rallegrarlo;
quello che è giusto, offenderlo.
GONERIL (a Edmund.)
Voi allora non procedete oltre.
È il terrore codardo del suo animo
che non osa agire. Non sente i torti
che lo legano a una risposta. I desideri espressi da noi
lungo il cammino forse si compiranno.
Tornate, Edmund, da mio cognato.
Affrettate l’arruolamento e guidate le sue forze.
Io qui debbo cambiare le insegne
e mettere la conocchia nelle mani di mio marito.
Questo servo fidato sarà tramite tra noi;
se oserete rischiare a vostro vantaggio
è probabile che tra non molto sentirete
il richiamo d’una donna. Prendete questo. Non parlate.
(Dandogli un pegno.)
Piega il capo. Se osasse parlare,
questo bacio tenderebbe il tuo spirito al cielo.
Pensaci, e addio.
EDMUND
Vostro nei ranghi della morte.
GONERIL
Mio carissimo Gloucester! (Esce Edmund.)
Oh la differenza tra uomo e uomo!
A te sono dovuti i servigi di una donna:
il mio corpo è usurpato da un pagliaccio.
OSWALD
Signora, viene il Duca. (Esce.)
Entra Albany.
GONERIL
Forse valgo ancora un fischio.
ALBANY
O Goneril! Tu non vali la polvere che il vento
rude soffia sul tuo viso. Temo
le tue inclinazioni: la natura che disprezza
la propria origine non può essere frenata.
La pianta che strappa e sradica se stessa
dalla sua linfa materiale deve per forza avvizzire
e produrre frutti morti.
GONERIL
Basta – questa predica è insulsa.
ALBANY
Saggezza e bontà sembrano vili ai vili.
Gli immondi gustano solo se stessi. Che cosa
avete fatto? Tigri, non figlie,
che cosa avete compiuto? Un padre,
un vecchio gentile e buono la cui reverenza
persino l’orso tirato per il naso leccherebbe,
voi barbare, degeneri, l’avete fatto
impazzire. E il mio buon fratello ha potuto
sopportarlo? Un uomo, un principe da lui
tanto beneficato? Se i cieli non mandano presto
i loro spiriti visibili a punire queste
offese vili, l’umanità per forza
deve far preda di se stessa, come mostri dell’abisso.
GONERIL
Uomo dal fegato di latte, che porti
una guancia per gli schiaffi e una testa per le offese,
che sul viso non hai un occhio che distingua
il tuo onore dalla tua umiliazione, che non sai
che sono gli sciocchi ad avere pietà dei criminali
da punire prima che facciano danno.
Dov’è il tuo tamburo? Il re di Francia
dispiega le sue bandiere nella nostra terra
silenziosa, con elmo piumato prende
a minacciare il tuo stato, mentre tu, sciocco
moralista, te ne stai seduto ed esclami:
“Ahimè, perché mai fa così?”
ALBANY
Guardati, diavolo! La smorfia è meno orrenda
in un demonio che in una donna.
GONERIL
O inutile idiota!
ALBANY
Tu cosa mutata e travestita, per la vergogna
non rendere mostruosi i tuoi tratti. Se lasciassi
che queste mani obbedissero al mio sangue,
sarebbero tali da slogarti e lacerarti
le ossa e la carne. Per quanto demonio,
la tua forma di donna ti protegge.
GONERIL
Al diavolo la tua maschilità – miao!
Entra un Messaggero.
ALBANY
Che novità?
MESSAGGERO
Mio buon signore, il duca di Cornovaglia
è morto, ucciso dal suo servo mentre stava
cavando a Gloucester un occhio.
ALBANY
Gli occhi di Gloucester!
MESSAGGERO
Un servitore da lui allevato, scosso
dal rimorso si è opposto a quest’atto, minacciando
con la spada il suo grande padrone; il quale,
infuriato, si è gettato su di lui e insieme
alla moglie lo ha ucciso ma non senza ricevere
quel colpo mortale che dopo lo ha finito.
ALBANY
Ciò dimostra che voi ci siete, lassù,
giustizieri che potete vendicare così presto
i nostri delitti di quaggiù. Ma oh,
povero Gloucester, ha perduto un occhio?
MESSAGGERO
Tutt’e due, mio signore. Questa lettera, signora,
esige una pronta risposta. È di vostra sorella.
(Porge una lettera.)
GONERIL (a parte.)
Per un verso questo mi piace molto.
Ma diventata vedova, e il mio Gloucester con lei,
potrebbe far crollare sulla mia vita odiosa
tutto l’edificio delle mie fantasie.
Per altro verso, la notizia non è cattiva.
(Ad alta voce.) Leggo e rispondo. (Esce.)
ALBANY
Dov’era suo figlio mentre gli cavavano gli occhi?
MESSAGGERO
Era venuto qui con la mia signora.
ALBANY
Qui non c’è.
MESSAGGERO
No, mio buon signore; l’ho incontrato che tornava.
ALBANY
Sa di quest’infamia?
MESSAGGERO
Sì, mio buon signore. È stato lui a far la spia
contro di lui, e ha lasciato la casa
perché la loro punizione potesse avere
più libero corso.
ALBANY
Gloucester, io vivo per ringraziarti
dell’amore che hai mostrato al Re e per vendicare
i tuoi occhi. Vieni qui, amico, dimmi
che altro sai. (Escono.)
ATTO QUARTO – SCENA TERZA
(Il campo francese vicino Dover.)
Entrano Kent e un Gentiluomo.
KENT
Perché il Re di Francia è tornato indietro così all’improvviso? Ne conoscete il motivo?
GENTILUOMO
Qualcosa che ha lasciato in sospeso nel suo regno e cui ha pensato fin dal suo arrivo; qualcosa che implica tanti timori e pericoli per il regno da esigere e rendere necessario il suo ritorno di persona.
KENT
A chi ha lasciato il comando?
GENTILUOMO
Al Maresciallo di Francia, Monsieur La Far.
KENT
La vostra lettera ha spinto la Regina a manifestare un qualche dolore?
GENTILUOMO
Sì, signore: l’ha presa, l’ha letta
in mia presenza, e di tanto in tanto
una grande lacrima le scendeva lungo
la guancia delicata. Sembrava
regina d’una passione che, ribelle,
cercasse di diventare il suo re.
KENT
Dunque era commossa!
GENTILUOMO
Non fino all’ira: pazienza e dolore
lottavano per chi dovesse renderla più bella.
Avete visto sole e pioggia insieme:
così le sue lacrime e i suoi sorrisi,
ma con più grazia; quei sorrisetti lieti
che giocavano sul suo ricco labbro parevano
ignorare gli ospiti dei suoi occhi, che di lì
si congedavano come perle sgocciolate da diamanti.
In breve, il dolore sarebbe una rarità
da tutti amata, se a tutti si addicesse così.
KENT
Non ha parlato, non ha fatto domande?
GENTILUOMO
Sì, una volta o due ha esalato
la parola “padre”, ansimando, come se
le opprimesse il cuore. Ha gridato; “Sorelle!
Sorelle! Vergogna delle donne! Sorelle!
Kent! padre! sorelle! Come?
Nel temporale? Di notte? Più non si abbia
fede nella pietà!” E lì scosse
la sacra acqua dai suoi occhi celesti,
irrorando il grido. Poi si allontanò
per trattare col dolore da sola.
KENT
Sono le stelle, le stelle lassù,
a governare la nostra condizione. Altrimenti
la stessa coppia non potrebbe generare
frutti così diversi. Da allora
non le avete più parlato?
GENTILUOMO
No.
KENT
Fu prima che il Re tornasse?
GENTILUOMO
No, dopo.
KENT
Buon signore, il povero, tormentato
Lear è in città. A volte ricorda,
nei suoi momenti migliori, perché siamo qui
e in nessun modo vuole vedere sua figlia.
GENTILUOMO
Perché, buon signore?
KENT
Una sovrana vergogna lo trattiene; la crudeltà
che tolse a lei la sua benedizione,
la spinse verso pericoli stranieri, cedendo
i suoi diritti alle figlie dal cuore di cane –
tutto questo punge il suo animo
con tanto veleno che una vergogna cocente
lo tiene lontano da Cordelia.
GENTILUOMO
Ahimè, povero signore!
KENT
Avete notizia delle forze di Albany e Cornovaglia?
GENTILUOMO
Sì, sono in marcia.
KENT
Bene, signore, vi porterò dal nostro
padrone Lear, e vi lascerò al suo servizio.
Motivi importanti mi terranno nascosto
ancora un poco. Quando potrò rivelarmi
non vi pentirete di questa conoscenza.
Vi prego, venite con me. (Escono.)
ATTO QUARTO – SCENA QUARTA
(La stessa.)
Entrano, con tamburi e stendardi, Cordelia, un dottore e soldati.
CORDELIA
Ahimè, è lui! Proprio ora l’hanno incontrato,
pazzo come il mare in tempesta, che a piena voce
cantava, incoronato di fumaria marcia
e di malerba, lappole, cicuta, ortiche,
fior di cuculo, loglio, e d’ogni erbaccia
che cresce nel frumento che ci nutre. Mandate
una centuria – cercate in ogni acro
del campo erboso e portatelo davanti
ai nostri occhi. (Esce un ufficiale.)
Cosa può la sapienza dell’uomo per ridargli
il senso di cui fu privato? Chi l’aiuta
si prenda tutta la mia ricchezza.
DOTTORE
I mezzi ci sono, signora; la nutrice della natura
è il riposo, di cui egli manca, e per poterlo
provocare in lui esistono molte
erbe efficaci il cui potere chiude
gli occhi all’angoscia.
CORDELIA
Voi tutti, segreti benedetti, voi tutte,
virtù sconosciute della terra, sgorgate
con le mie lacrime! Siate d’aiuto
e rimedio alla sventura di un uomo buono!
Cercatelo, cercatelo, affinché la sua furia
senza controllo non distrugga la vita
che manca dei mezzi per guidarla.
Entra un messaggero.
MESSAGGERO
Novità, signora. Le forze inglesi
marciano verso di noi.
CORDELIA
Lo sapevamo. Siamo preparati
ad affrontarle. O caro padre,
è per causa tua che sono qui. Per questo
il grande Francia ha avuto compassione
delle mie lacrime dolenti ed importune.
Nessuna gonfia ambizione spinge
le nostre armi, ma amore, amore vero,
e il diritto del nostro vecchio padre. Presto
possa io sentirlo e vederlo! (Escono.)
ATTO QUARTO – SCENA QUINTA
(Sala nel Castello di Gloucester.)
Entrano Regan e Oswald.
REGAN
Ma le forze di mio cognato sono in campo?
OSWALD
Sì, signora.
REGAN
E lui è lì in persona?
OSWALD
Molto a malincuore, signora. Tra i due,
vostra sorella è il soldato migliore.
REGAN
Il conte Edmund ha parlato, a casa,
col tuo signore?
OSWALD
No, signora.
REGAN
Cosa può esserci nella lettera di mia sorella a lui?
OSWALD
Non lo so, signora.
REGAN
Credimi, da qui è ripartito per ragioni
serie. È stato un grande errore,
cavati gli occhi a Gloucester, lasciarlo in vita.
Dovunque vada muove tutti i cuori
contro di noi. Edmund è andato,
per pietà, credo, della sua sventura, a finire
la sua vita di buio e a controllare, inoltre,
la forza del nemico.
OSWALD
Debbo seguirlo, signora, con la mia lettera.
REGAN
Le nostre truppe si mettono in marcia domani.
Resta con noi. C’è pericolo sulle strade.
OSWALD
Non posso, signora. La mia padrona
mi impegna a questo incarico.
REGAN
Perché scrivere a Edmund? Non potresti
comunicargli a voce le sue intenzioni?
Forse – certe cose – non so. Ti amerò molto,
fammi dissigillare la lettera.
OSWALD
Preferirei, signora –
REGAN
So che la tua padrona non ama
suo marito – ne sono certa – e l’ultima volta
che è stata qui lanciava occhiate
strane ed eloquenti al nobile Edmund.
So che ti ha nel cuore.
OSWALD
Me, signora?
REGAN
In confidenza, voglio dire. È così – lo so.
Perciò ti consiglio di riflettere su questo:
il mio signore è morto. Edmund e io
ci siamo parlati e lui è più adatto
alla mia mano che non a quella della tua
padrona. Il resto puoi immaginarlo.
Se lo trovi dagli questo, ti prego,
e quando parlerai con la tua padrona,
dille, ti prego, di usare saggezza.
Addio, intanto.
Se ti capita di sentire di quel cieco traditore,
sarà premiato chi saprà liquidarlo.
OSWALD
Vorrei poterlo incontrare, signora.
Mostrerei a quale partito appartengo.
REGAN
Addio. (Escono.)
ATTO QUARTO – SCENA SESTA
(Campagna nei pressi di Dover.)
Entra Gloucester, con Edgar vestito da contadino.
GLOUCESTER
Quando arriverò in cima alla montagna?
EDGAR
State già salendo. Che fatica!
GLOUCESTER
Mi sembra d’essere in pianura.
EDGAR
La strada è terribilmente ripida. Ascoltate!
Sentite il mare?
GLOUCESTER
Per la verità, no.
EDGAR
Gli altri vostri sensi sono resi imperfetti
dal dolore degli occhi.
GLOUCESTER
Può darsi che sia così. Mi sembra
che la tua voce sia mutata, e che tu parli
e ragioni meglio di prima.
EDGAR
Vi ingannate di molto. In nulla sono mutato
se non negli abiti.
GLOUCESTER
Mi sembra che tu parli meglio.
EDGAR
Avanti, signore, il posto è qui.
Fermatevi! Gettare gli occhi così in basso fa paura
e la testa gira! I corvi e le cornacchie
che volano a mezz’aria sembrano grandi appena
come scarafaggi. A mezza costa
spenzola uno che raccoglie finocchio –
mestiere orrendo! Mi sembra non più grande
della sua testa. I pescatori che camminano sulla riva
sembrano topi, e il grande bastimento
che sta all’ancora è come una scialuppa,
e la scialuppa una boa troppo piccola
per la vista. L’onda mormorante che s’abbatte
sugli innumerevoli immobili ciottoli
da quassù non si può udire. Non guardo più,
per paura che il cervello impazzisca e la vista
offuscata mi getti giù a capofitto.
GLOUCESTER
Mettimi dove stai tu.
EDGAR
Datemi la mano. Ora siete a un passo
dal limite estremo. Per tutto ciò che esiste
sotto la luna, da lì non salterei.
GLOUCESTER
Lascia la mano. Ecco, amico,
un’altra borsa. In essa c’è un gioiello
che a un povero conviene prendere: Dei e fate
te lo facciano fruttare. Vattene, ora.
Dimmi addio, e fammi sentire
che te ne vai.
EDGAR
Allora addio, buon signore.
GLOUCESTER
Con tutto il cuore.
EDGAR (a parte.)
Se scherzo con la sua disperazione
è solo per guarirla.
GLOUCESTER (inginocchiandosi.)
O Dei potenti!
Rinuncio a questo mondo e davanti ai vostri occhi
mi scuoto con pazienza di dosso la mia
grande afflizione. Se potessi sopportarla
ancora e non scontrarmi con le vostre
immense volontà dominatrici, il lucignolo
e la parte odiata della mia natura
brucerebbero fino a consumarsi. Edgar,
se vive, beneditelo! E ora addio, amico.
EDGAR
Vado, signore, addio. (Gloucester si getta in avanti e cade.)
E però può darsi che il pensiero lo derubi
del tesoro della vita, se la vita stessa
cede al furto. Fosse stato
dove pensava, ora il pensiero
sarebbe passato. Vivo o morto?
Signore! Amico! Mi sentite, signore?
Parlate – potrebbe morire davvero.
Ma rinviene. Chi siete, signore?
GLOUCESTER
Via, e lasciami morire.
EDGAR
Se fossi stato altro che ragnatela,
piume, aria, precipitando giù per tante
tese, ti saresti rotto come un uovo.
Ma tu respiri, hai una sostanza dura,
non sanguini, parli, sei intero. Dieci
alberi maestri uno sull’altro
non fanno l’altezza da cui tu a perpendicolo
sei caduto. La tua vita è un miracolo.
Parla di nuovo.
GLOUCESTER
Ma sono caduto o no?
EDGAR
Dalla cima paurosa di questo bastione di gesso.
Guarda lassù! L’allodola stridente
non si può più né vedere né sentire. Guarda su.
GLOUCESTER
Ahimè, io non ho occhi.
La sventura è dunque privata del beneficio
di finire se stessa con la morte? Era un conforto,
quando l’infelice poteva ingannare
l’ira del tiranno e deluderne
la volontà superba.
EDGAR
Datemi il braccio.
Su, così. Come va? Vi sentite le gambe?
State in piedi.
GLOUCESTER
Troppo bene, troppo bene.
EDGAR
Questo è al di là di ogni prodigio. Cos’era
che in cima alla scogliera si staccava da voi?
GLOUCESTER
Un povero mendicante sfortunato.
EDGAR
Stando quaggiù mi pareva che i suoi occhi
fossero due lune piene; aveva
mille nasi, corna ritorte
e ondulate come il mare increspato. Era
un qualche demonio. Padre felice,
pensa perciò che gli Dei purissimi,
onore dei quali sono gli atti
impossibili agli uomini, ti hanno salvato.
GLOUCESTER
Ricordo, adesso. D’ora in avanti
sopporterò l’afflizione finché essa stessa non gridi
“basta, basta!”, e muoia. La cosa
di cui tu parli la presi per un uomo;
spesso diceva “il demonio, il demonio!”:
mi ha condotto lassù.
EDGAR
Abbi pensieri liberi e pazienti. Ma chi viene?
Entra Lear, fantasticamente vestito di fiori selvatici.
Una mente sana non consentirebbe
a chi la possedesse di vestirsi così.
LEAR
No, non possono accusarmi di battere moneta falsa: io sono il Re.
EDGAR
O vista che spezza il cuore!
LEAR
La natura è al di sopra dell’arte, su quel punto. Ecco il denaro per le reclute. Quel tipo maneggia l’arco come uno spaventapasseri. Tendimene un metro da sarto. Guarda, guarda! un topo. Zitti, zitti, questo pezzo di formaggio tostato basterà. Ecco il mio guanto: mi batterò con un gigante. Fate avanzare gli alabardieri. Bel volo, uccello! A bersaglio, a bersaglio! Iuuh! La parola d’ordine.
EDGAR
Dolce maggiorana.
LEAR
Passate.
GLOUCESTER
Quella voce la conosco.
LEAR
Ah! Goneril con la barba bianca! Mi hanno lisciato come un cane e mi hanno detto che avevo peli bianchi nella barba prima che ci fossero quelli neri. Dire “sì” e “no” a tutto quello che dicevo. “Sì” e insieme “no” non era buona teologia. Quando la pioggia è venuta a bagnarmi e il vento a farmi battere i denti, quando il tuono non ha taciuto al mio comando: allora li ho scoperti, allora li ho stanati. Via, non sono uomini di parola; mi hanno detto che ero tutto. È una menzogna. Non sono a prova di febbre.
GLOUCESTER
Il tono di quella voce lo ricordo bene.
Non è il Re?
LEAR
Sì, il Re, ogni pollice un Re.
Se lo fisso, guarda come il suddito trema.
A quell’uomo faccio grazia della vita.
Qual era la sua colpa? L’adulterio?
Non morirai. Morire per adulterio?
No, lo compie lo scricciolo, e la minuscola
mosca dorata pecca di lussuria
alla mia vista. Prosperi la copula!
Il figlio bastardo di Gloucester fu più buono
verso suo padre delle mie figlie generate
tra lenzuola legittime. Avanti, lussuria, in mucchio!
Mi mancano soldati. Guardate quella dama civettuola
il cui viso tra le sue forche fa presagire neve,
che biascica virtù e scuote la testa
nell’udire il nome del piacere – nemmeno
la puzzola e lo stallone ingrassato vi si danno
con appetito più sfrenato del suo. Dalla vita in giù
sono Centauri, anche se sopra sono donne.
Ma la proprietà degli Dei arriva alla cintura:
sotto è tutto del demonio: lì è l’inferno,
lì le tenebre, lì il pozzo
di zolfo – consumazione che brucia,
ferisce, puzza. Via, via, via! puah, puah!
Dammi un’oncia di zibetto, buon farmacista,
per profumare la mia immaginazione.
Ecco del denaro per te.
GLOUCESTER
Oh, lasciatemi baciare quella mano!
LEAR
Fammela pulire, prima: puzza
di mortalità.
GLOUCESTER
O capolavoro in rovina della Natura!
Questo grande mondo si consumerà nel nulla.
Mi riconoscete?
LEAR
I tuoi occhi li ricordo abbastanza bene.
Mi guardi storto? No, fa del tuo peggio,
cieco Cupido: io non m’innamoro.
Leggi questa sfida: osserva la calligrafia.
GLOUCESTER
Se tutte le tue lettere fossero soli,
non li potrei vedere.
EDGAR (a parte.)
Se me lo dicessero, non ci crederei.
Ma è così; e il mio cuore si spezza.
LEAR
Leggi.
GLOUCESTER
Come? Con le occhiaie?
LEAR
Oh, sei anche tu come me? Niente occhi nella testa, niente denaro nella borsa? I tuoi occhi sono in una custodia pesante, la tua borsa in una leggera; eppure, vedi come va il mondo.
GLOUCESTER
Lo vedo a tentoni.
LEAR
Cosa? Sei pazzo? Come va questo mondo si può vederlo senza occhi. Guarda con le orecchie. Vedi come quel giudice rampogna quel ladruncolo? Porgi l’orecchio: cambiamo posto e, hoplà, qual è il giudice e qual è il ladro? Hai mai visto il cane di un contadino abbaiare a un mendicante?
GLOUCESTER
Sì, signore.
LEAR
E la creatura umana che scappava davanti alla bestia?
Lì potresti vedere
la grande immagine dell’Autorità:
un cane in carica viene obbedito.
Tu, maledetto aguzzino, ferma
la mano sanguinaria! Perché frusti
quella puttana? Scopriti la schiena:
tu ardi dal desiderio di fare con lei
quello per cui la frusti. L’usuraio
impicca l’imbroglione. I vestiti stracciati
fanno vedere i più piccoli vizi:
i mantelli e le pellicce nascondono tutto.
Rivesti il peccato d’una corazza d’oro
e la forte lancia della giustizia si spezza
senza far danno; armalo di stracci
e la paglia d’un pigmeo basta a trapassarlo.
Nessuno è colpevole, nessuno, dico,
nessuno: li assolvo io. Credimi,
amico mio, io ho il potere
di sigillare le labbra di chi accusa. Procurati
occhi di vetro e, da furbo politicante,
fa finta di vedere le cose che non vedi.
Su, su, su, su!
Toglietemi gli stivali! Più forte, più forte – così.
EDGAR (a parte.)
Buon senso e assurdità mischiati insieme,
ragione nella pazzia!
LEAR
Se vuoi piangere le mie fortune, prenditi
i miei occhi. Ti conosco abbastanza bene;
il tuo nome è Gloucester. Devi aver pazienza:
qui siamo venuti piangendo. Tu sai
che la prima volta che annusiamo l’aria
gridiamo e piangiamo. Ti faccio la predica:
attento!
GLOUCESTER
Ahimè, ahimè, giorno di dolore!
LEAR
Nascendo piangiamo perché siamo venuti
su questo grande palcoscenico di pazzi. Questo
è un buon cappello! Che stratagemma sottile,
ferrare di feltro uno squadrone di cavalli.
Farò la prova, e quando di nascosto
piomberò alle spalle di questi miei generi,
allora ammazza, ammazza, ammazza, ammazza,
ammazza, ammazza!
Entra un Gentiluomo con dei servi.
GENTILUOMO
Oh, eccolo! Prendetelo. Signore,
la vostra amatissima figlia –
LEAR
Nessun aiuto? Cosa? Prigioniero?
Sono proprio lo zimbello della Fortuna.
Trattatemi bene – avrete il riscatto.
Voglio dei chirurghi: sono ferito al cervello.
GENTILUOMO
Avrete qualsiasi cosa.
LEAR
Nessun soccorso? Tutto da solo?
Questo farebbe di un uomo un uomo di sale,
con gli occhi da usare per innaffiare le piante,
sì, e per bagnare la polvere dell’autunno.
Morirò bravamente come uno sposo novello.
Sì! Sarò allegro! Andiamo, andiamo.
Io sono un Re, signori, lo sapete?
GENTILUOMO
Siete regale, e noi vi obbediamo.
LEAR
Allora c’è ancora vita. Avanti, se lo volete dovete prendervelo di corsa. Za, za, za, za.
(Esce di corsa. I servi lo seguono.)
GENTILUOMO
Spettacolo pietoso nel più umile sventurato,
al di là d’ogni dire in un Re.
Tu hai una figlia che riscatta la natura
dalla maledizione universale cui le altre due
l’hanno portata.
EDGAR
Salve, gentile signore.
GENTILUOMO
Salute a voi, che volete?
EDGAR
Avete sentito d’una battaglia vicina?
GENTILUOMO
Certo, e da tutti. La sente chiunque
sappia distinguerne il suono.
EDGAR
Ma, per favore, quanto è lontano
l’altro esercito?
GENTILUOMO
È vicino, e cammina veloce. Il grosso
sarà qui da un’ora all’altra.
EDGAR
Grazie, signore. È tutto.
GENTILUOMO
Sebbene, per motivi speciali, la Regina sia qui,
il suo esercito è in marcia.
EDGAR
Grazie, signore. (Esce il Gentiluomo.)
GLOUCESTER
Voi Dei benigni, toglietemi il respiro.
Non lasciate che il mio spirito peggiore
mi tenti di nuovo a morire prima
che piaccia a voi!
EDGAR
Pregate bene, padre.
GLOUCESTER
Dite, mio buon signore, chi siete?
EDGAR
Un pover’uomo domato dai colpi della Fortuna,
che, grazie ai dolori che ha conosciuto
e provato, è incline alla pietà.
Datemi la mano, vi guiderò a un rifugio.
GLOUCESTER
Grazie di cuore, e vi si aggiungano
la ricompensa e generosità del cielo.
Entra Oswald.
OSWALD
Il fuggiasco con la taglia! Che fortuna!
Quella tua testa senza occhi s’è fatta carne
per accrescere le mie sostanze. Vecchio
traditore disgraziato, ripensa a te stesso
al più presto; è già sguainata la spada
che ti deve distruggere.
GLOUCESTER
Possa la tua mano amica metterci
abbastanza forza. (S’interpone Edgar.)
OSWALD
Come osi, tu, villano sfrontato,
aiutare un pubblico traditore? Via di qui,
se non vuoi che l’infezione della sua sorte
afferri anche te. Lasciagli il braccio!
EDGAR
Non lo farò, signore, senza una ragione.
OSWALD
Lascialo andare, schiavo, o muori!
EDGAR
Buon signore, andate per la vostra strada e lasciate passare la povera gente. Se dovessi aver paura d’un fanfarone, sarei morto da due settimane. Ehi, non ti avvicinare al vecchio o proverò se è più dura la tua mela o il mio bastone. Te lo dico chiaro.
OSWALD
Via, letame!
EDGAR
Vi stuzzico i denti, signore. Avanti, dei vostri colpi non m’importa. (Combattono, e Edgar lo abbatte.)
OSWALD
Mi hai ucciso, schiavo. Prendi la mia borsa, villano.
Se mai ti vada bene seppellisci il mio corpo
e consegna la lettera che mi trovi addosso
a Edmund, conte di Gloucester. Cercalo
nel campo inglese. O morte, morte
troppo precoce. (Muore.)
EDGAR
Ti conosco bene: una canaglia servizievole,
fedele ai vizi della tua padrona
quanto il male può desiderare.
GLOUCESTER
Cosa? È morto?
EDGAR
Sedetevi, padre, riposatevi.
Vediamo queste tasche: la lettera di cui parla
può essermi amica. È morto.
Mi dispiace soltanto che non avesse un altro boia.
Vediamo. Con permesso, cera gentile,
e non ci biasimi la buona educazione.
Per conoscere l’animo dei nostri nemici
strappiamo loro il cuore: strapparne le carte
è più legale. (Legge.)
Ricordiamo i nostri reciproci voti. Tu hai molte occasioni per liquidarlo. Se non ti manca la volontà, il tempo e il luogo si offriranno con vantaggio. Se torna vincitore non si è concluso niente; io sarò la prigioniera e il suo letto il mio carcere. Liberami dal suo calore odioso e per le tue fatiche prendi il suo posto.
La tua – moglie, vorrei dire – serva affezionata,
GONERIL.
O spazio smisurato delle voglie delle donne!
Un complotto contro la vita del suo virtuoso marito,
e mio fratello in cambio! Qui nella sabbia
ti seppellirò, nel posto sconsacrato
di assassini lussuriosi. E quando il tempo
sarà maturo, con questo foglio scellerato
colpirò la vista del Duca minacciato
dalla morte. Per lui è un bene che io
possa dire della tua morte e dei tuoi atti.
GLOUCESTER
Il Re è pazzo: i miei sensi sono tesi
al punto che ho chiara la percezione
dei miei dolori enormi! Meglio sarebbe
se fossi folle: i miei pensieri
sarebbero separati dai miei mali
e i mali, grazie all’illusione, perderebbero
la coscienza di sé. (Tamburi in lontananza.)
EDGAR
Datemi la mano.
Da lontano mi pare di sentire il rullo
del tamburo. Venite, padre, vi affiderò a un amico.
(Escono.)
ATTO QUARTO – SCENA SETTIMA
(Tenda nel campo francese.)
Entrano Cordelia, Kent, il dottore e un gentiluomo.
CORDELIA
O tu buon Kent, come posso vivere
e operare per eguagliare la tua bontà?
La mia vita sarà troppo breve
e ogni misura mi mancherà.
KENT
Il riconoscimento, signora, è più che pagamento.
Ogni notizia su di me sia la modesta
verità, né più né meno.
CORDELIA
Vestiti meglio. Questi stracci
sono i ricordi delle tue ore peggiori.
Ti prego, mettili via.
KENT
Perdonate, cara signora, ma venir riconosciuto
guasterebbe il mio piano. Vi chiedo il dono
di non riconoscermi finché il momento
e io non lo riterremo opportuno.
CORDELIA
E allora sia così, mio buon signore. (Al dottore.)
Come sta il Re?
DOTTORE
Dorme ancora, signora.
CORDELIA
O Dei benigni, sanate
questa grande breccia nella sua natura
offesa. Oh riaccordate i sensi
stonati e stridenti di questo padre
ridotto a bimbo.
DOTTORE
Vostra Maestà vuole
che destiamo il Re? Ha dormito a lungo.
CORDELIA
Fatevi guidare dalla vostra sapienza
e procedete come volete. È vestito?
Entra Lear in una poltrona portata da servi.
GENTILUOMO
Sì, signora, nella pesantezza del suo sonno
gli abbiamo messo addosso abiti freschi.
DOTTORE
Rimanete qui, buona signora, mentre
lo risvegliamo. So che starà calmo.
CORDELIA
Benissimo. (Musica.)
DOTTORE
Vi prego, avvicinatevi. Quella musica, più forte!
CORDELIA
O caro padre! il ristoro deponga
la tua medicina sulle mie labbra
e questo bacio ripari il male crudele
che le mie due sorelle hanno fatto
alla tua riverenza.
KENT
Buona e cara Principessa!
CORDELIA
Anche se tu non fossi stato loro padre,
questi fiocchi bianchi avrebbero richiesto
la loro misericordia. Era un volto, questo,
con cui sfidare i venti tra loro in guerra?
Da opporre al cupo terrore del tuono
lampeggiante? Al colpo terribile e improvviso
del fulmine veloce? E fargli fare la guardia –
povero disperso – con quest’elmo sottile?
Il cane del mio nemico, quella notte,
sarebbe stato al mio focolare
anche se mi avesse morso. E tu,
povero padre, dovevi rifugiarti
in un capanno coi porci e gli sbandati
sulla paglia mozzata ed ammuffita? Ahimè,
ahimè! È un miracolo che la tua vita
non sia finita insieme alla tua mente.
Si sveglia. Parlategli.
DOTTORE
Signora, fatelo voi; è meglio.
CORDELIA
Come sta il mio regale signore? Come si sente
Vostra Maestà?
LEAR
Mi fate torto a tirarmi fuori dalla tomba.
Tu sei un’anima in estasi, ma io
sono legato a una ruota di fuoco, e le mie lacrime
scottano come piombo fuso.
CORDELIA
Mi conoscete, signore?
LEAR
Sei uno spirito, lo so. Dov’è che sei morto?
CORDELIA
È ancora lontano, lontano.
DOTTORE
S’è appena svegliato; lasciatelo stare per un poco.
LEAR
Dove sono stato? Dove sono?
La luce del giorno? Che confusione tremenda.
Morirei di pietà vedendo un altro
in questo stato. Non so che dire.
Non giurerei che queste sono le mie mani.
Vediamo. Sento questa puntura di spillo.
Vorrei esser sicuro della mia condizione.
CORDELIA
Oh! guardatemi, signore, e alzate la mano
per benedirmi. No, signore,
non dovete inginocchiarvi.
LEAR
Vi prego, non burlatevi di me. Io
sono un vecchio svanito e molto sciocco.
Ottant’anni e oltre, nemmeno un’ora
di più o di meno. E, per parlar chiaro,
temo di non avere la testa a posto.
Mi pare che dovrei conoscere voi
e conoscere quest’uomo; eppure sono in dubbio,
soprattutto perché non so che posto è questo
e tutta l’abilità che ho non rammenta
questi abiti; né so
dove ho alloggiato la notte scorsa.
Non ridete di me, perché, quanto è vero
che sono un uomo, credo che questa signora
sia mia figlia Cordelia.
CORDELIA
Lo sono, lo sono!
LEAR
Le vostre lacrime sono bagnate?
Sì, davvero! Vi prego, non piangete.
Se avete veleno per me, lo berrò.
So che non mi amate perché le vostre sorelle
mi hanno, a quel che ricordo, fatto torto.
Voi ne avete qualche motivo, loro no.
CORDELIA
Nessun motivo, nessun motivo.
LEAR
Sono in Francia?
KENT
Nel vostro regno, signore.
LEAR
Non ingannatemi.
DOTTORE
Consolatevi, buona signora. Vedete,
in lui la grande furia è stata uccisa.
E tuttavia è pericoloso ricordargli
il tempo che ha perduto. Fatelo ritirare.
Non turbatelo, finché non sia più calmo.
CORDELIA
L’Altezza Vostra si sente di camminare?
LEAR
Dovete aver pazienza, con me. Vi prego, ora dimenticate e perdonate. Sono vecchio e svanito.
(Escono Lear, Cordelia, il dottore e servi.)
GENTILUOMO
È vero, signore, che il Duca di Cornovaglia è stato ucciso in quel modo?
KENT
È certo, signore.
GENTILUOMO
Chi comanda la sua gente?
KENT
Si dice che sia il figlio bastardo di Gloucester.
GENTILUOMO
E dicono che Edgar, il figlio messo al bando, sia in Germania con il conte di Kent.
KENT
Le notizie variano. È tempo di stare in guardia. Le forze del regno si avvicinano in fretta.
GENTILUOMO
È probabile che l’esito sia sanguinoso. Addio, signore. (Esce.)
KENT
Combattuta questa battaglia, nel bene o nel male,
Metterò un punto fermo alla mia frase. (Esce.)
Re Lear
(“King Lear” – 1605 – 1606)
Introduzione – Riassunto
Atto I
Atto II
Atto III
Atto IV
Atto V