Riccardo II – Atto II

(“Richard II” – 1595)

Introduzione – Riassunto
Atto I
Atto II
Atto III
Atto IV
Atto V

Introduzione al teatro di Shakespeare
Elenco opere teatrali

Riccardo II - Atto II

ATTO SECONDO – SCENA PRIMA

Entrano Giovanni di Gaunt, infermo, con il Duca di York e altri.

GAUNT

Verrà il Re, ch’io possa esalare l’ultimo respiro

dando saggi consigli alla sua giovinezza incostante?

YORK

Non state a tormentarvi, e risparmiate il fiato,

ché ogni consiglio è sprecato per quelle orecchie.

GAUNT

Oh, ma dicono che le lingue dei moribondi

s’impongano all’attenzione come armonie dal profondo.

Dove si parla a fatica non si fa spreco di parole,

poiché chi parla soffrendo dice la verità.

Colui che mai più parlerà è sempre più ascoltato

di chi, giovane e spensierato, ha solo imparato a piacere.

È la fine di un uomo che lascia il segno, più che tutta una vita.

Il sole al tramonto, le ultime note di una melodia,

l’ultimo assaggio di un dolce – e l’ultimo è sempre il più dolce –

s’imprimono nel ricordo più di ogni cosa passata.

Anche se Riccardo non mi ascoltò mai da vivo,

il mesto sermone di un morituro può forse sturargli le orecchie.

YORK

No, esse son frastornate dalla lusinga di ben altri suoni:

lodi, da cui anche i saggi si lascian gratificare;

poemi voluttuosi, le cui cadenze corruttrici

trovano sempre attento e partecipe l’orecchio dei giovani;

pettegolezzi sulle mode della splendida Italia,

i cui costumi tuttora la nostra impacciata nazione

segue a pie’ zoppo e scimmiotta in basse imitazioni.

Esiste al mondo qualche futile novità

– non importa quanto futile, purché sia novità –

che non gli venga lì per lì insufflata all’orecchio?

Troppo tardi, allora, si fan sentire i consigli,

là dove il capriccio si ribella alla voce della ragione.

Non dar consigli a chi vuol fare di testa sua.

Ti manca il fiato. Non sprecare quello che ti resta.

GAUNT

Mi sento come un profeta nell’atto dell’ispirazione,

e questo, nell’atto di spirare, posso predire di lui:

la sua impetuosa, violenta vampata di eccessi non può durare,

ché più violento è l’incendio, più presto si spegne.

La pioggerella dura a lungo, non una bufera improvvisa.

Chi troppo dà di sproni è il primo a stancarsi,

e il troppo cibo strozza chi si dà alle abbuffate.

L’avidità di piaceri, cormorano insaziato,

a forza di divorare divora ben presto se stessa.

Questo superbo trono di re, quest’isola scettrata,

questa terra di sovrani, questo soglio di Marte,

novello Eden, quasi un paradiso,

questa fortezza che la natura si è costruita

contro ogni contagio o minaccia di guerra,

questa razza d’uomini fortunati, questo piccolo universo,

pietra preziosa incastonata nell’argenteo mare,

che la difende, quasi come un vallo

od un fossato circondano un maniero,

contro l’invidia di meno elette nazioni;

quest’aiuola beata, questa terra, questo reame d’Inghilterra

nutrice e fertile fattrice di grandi monarchi,

di una stirpe temuta, e di gloriosi natali,

famosi per le loro gesta anche in terre lontane,

da soldati di Cristo e cavalieri senza macchia,

quali il sepolcro – fra i refrattari Giudei –

di Chi ha redento il mondo, figlio di Maria benedetta;

questa patria di anime nobili, questa cara, cara terra,

il cui prestigio la rende amata nel mondo intero,

è oggi data in appalto – lo dico in punto di morte –

come un qualsiasi podere, o fattoria dissestata.

L’Inghilterra, accerchiata dalla marea montante,

le cui erte scogliere respingono l’ìnvido assedio

del signor delle acque, Nettuno, è ora sommersa di vergogna,

inzaccherata d’inchiostro, impastoiata da infami scartoffie.

Quell’Inghilterra usa a asservire gli altri,

è ignobilmente ridotta a asservire se stessa.

Ah, se almeno lo scandalo si spegnesse con me!

Con quanta letizia vivrei la mia morte imminente!

YORK

Arriva il Re. Usate riguardo alla sua giovane età:

i puledri focosi son tanto più ombrosi, se li trattano male.

Entrano il Re, la Regina, Aumerle, Bushy, Green, Bagot, Ross e Willoughby.

REGINA

Come sta il nostro, nobile zio Lancaster?

RICCARDO

Che si dice, amico? Che dice il buon vecchio Gaunt?

GAUNT

Oh, il mio nome si addice alla mia condizione!

Vecchio Gaunt davvero, un vecchio guanto malconcio!

Dentro di me il dolore si macera in ingrato digiuno,

e chi dalla carne si astiene non ne esce malconcio?

Per troppo tempo ho vegliato sull’Inghilterra dormiente:

le veglie ti fanno malconcio – come un guanto malconcio.

La gratificazione di cui si nutrono gli altri padri

a me è strettamente interdetta – intendo, la vista dei figli –

ed è con questa astinenza che tu mi hai reso malconcio.

Mi hai conciato per la tomba, che calza Gaunt come un guanto,

un vuoto ricettacolo, la pelle per queste mie ossa.

RICCARDO

Può mai un infermo fare arzigogoli sul proprio nome?

GAUNT

No, ma l’infelicità è felice di prendersi in giro.

Poiché tu vuoi assassinare, in me, il mio buon nome,

io prendo in giro il mio nome, gran Re, per farti piacere.

RICCARDO

Da quando in qua i morenti lusingano i vivi?

GAUNT

No, no, sono i vivi a compiacere i morenti.

RICCARDO

Ma tu, morente, dici che vuoi compiacermi.

GAUNT

Oh no! Sei tu il morente, anche se io sto peggio di te.

RICCARDO

Io sto bene, son vivo e vegeto. Ma te – ti vedo male.

GAUNT

Son io a vederti male, come ben sa il mio Creatore.

Sto male e non ti vedo bene, ma quel che in te vedo sta male.

Null’altro che il tuo paese è il tuo letto di morte,

ove tu giaci, menomato nell’onore.

E da infermo malconsigliato – ché tale tu sei –

il tuo corpo di re consacrato hai consegnato alle cure

di quegli stessi guaritori che, per primi, ti han reso infermo.

Mille adulatori allignano nella tua corona

– un cerchio non più grande del tuo capo –

eppure, ingabbiato in ambito sì circoscritto,

il guasto è esteso quanto l’intero paese.

Oh, se tuo nonno, con occhio di profeta,

avesse visto come il figlio di suo figlio distrugge i suoi figli,

avrebbe messo tanta ignominia fuori della tua portata,

ti avrebbe deposto, pur di non farti ereditar la corona

che ora hai ereditato, solo per farti deporre.

Ebbene, nipote mio, quand’anche tu fossi reggitore del mondo,

sarebbe un’ignominia – dar questa terra in appalto,

ma poiché del mondo non possiedi che questa terra

non è tanto più ignominiosa una tale ignominia?

Dell’Inghilterra non sei più il re, ma il proprietario;

sovrano della legge, sei oggi infeudato alla legge,

e per di più…

RICCARDO

Da lunatico, folle e rimbambito

forte dell’impunità dovuta al tuo stato febbrile,

tu osi, col brivido di morte delle tue prediche,

farci sbiancare in viso, cacciare il sangue del Re,

con furia, dalla sua sede naturale.

Ora, per la legittima reale maestà del mio trono,

se tu non fossi fratello del figlio del grande Edoardo,

la lingua che rotola insolente nella tua testa

te la farebbe rotolare, la testa, da quelle spalle insolenti.

GAUNT

Oh, non mi risparmiare, figlio di mio fratello Edoardo,

solo perché son figlio di suo padre Edoardo.

Quel sangue già, come fa il pellicano,

tu l’hai spillato, e tracannato da ebbro.

Mio fratello Gloucester, anima semplice e generosa,

– il cielo l’abbia in gloria tra le anime beate! –

può fare da precedente, e da buon testimone,

che non ti fai certo scrupolo di versare quel sangue.

Fa’ lega con il morbo che mi attanaglia,

e la tua crudeltà, come la curva falce della vecchiezza,

tronchi di colpo un fiore da tempo appassito.

Vivrai nella tua ignominia, ma l’ignominia non morrà con te.

Queste parole ti siano di sempiterna tortura!

Portatemi al mio letto, e di lì alla sepoltura.

Solo chi è amato e onorato può amare la vita. Esce.

RICCARDO

Chi è vecchio, e in più bisbetico, merita di morire:

tu sei vecchio e bisbetico, va’ a farti seppellire!

YORK

Scongiuro Vostra Maestà, considerate le sue parole

vaneggiamenti dell’età e dello stato febbrile.

Sulla mia vita, egli vi ama, e vi vuole bene:

come anche Harry, Duca di Hereford, se fosse qui.

RICCARDO

Giusto, ben detto. Se Hereford mi ama, anche lui, sì.

E il loro amore è ricambiato. Tanto meglio così.

Entra Nortbumberland.

NORTHUMBERLAND

Sire, il vecchio Gaunt saluta Vostra Maestà.

RICCARDO

Cos’ha ancora da dire?

NORTHUMBERLAND

Proprio nulla. È stato detto tutto.

La sua lingua è ora uno strumento senza corde.

Parole, vita e tutto ha speso il vecchio Lancaster.

YORK

Che una tal bancarotta venga adesso per York!

Benché povera, la morte fa cessare ogni male mortale.

RICCARDO

È il frutto maturo a cadere per primo: doveva andare così.

Il suo tempo è scaduto, il nostro pellegrinaggio comincia ora.

E questo è quanto. E ora, alla guerra d’Irlanda.

Dobbiamo sradicare quei fanti rozzi e irsuti,

erbacce velenose di una terra ove ogni altro veleno è bandito

dove ad essi soltanto è consentito di vivere.

E poiché le grandi imprese esigono grandi spese,

a mo’ di contribuzione noi qui confischiamo

le argenterie, il contante, le rendite e i beni mobili

già appartenuti a nostro zio Gaunt.

YORK

Fino a quando dovrò portare pazienza? Fino a quando

la dedizione al dovere m’indurrà a tollerare il sopruso?

Non la morte di Gloucester, né l’esilio di Hereford,

né gli affronti a Gaunt o i torti fatti a sudditi inglesi,

né il veto opposto al povero Bolingbroke

per il suo matrimonio, né l’essere io stesso caduto in disgrazia,

han mai inasprito la bonomia del mio volto;

né ho mai fatto una piega, di fronte al mio sovrano.

Io sono l’ultimo nato del nobile Edoardo,

tuo padre, il Principe di Galles, era il primogenito.

Mai in guerra si vide leone più fiero e feroce,

o in pace agnello più dolce e mansueto

di quel giovane principe e cavaliere.

Tu hai di lui il volto, ché lui era proprio così

quando aveva esattamente l’età tua:

ma se lui faceva la faccia feroce, era contro i Francesi,

non contro i suoi compagni. La sua nobile mano

quel che spendeva se l’era guadagnato, e mai egli spese

quel che la mano vittoriosa del padre aveva conquistato.

Le sue mani non si macchiarono mai del sangue dei suoi cari:

solo del sangue dei nemici dei suoi cari.

Oh, Riccardo! York, sopraffatto dal dolore, ha perso la testa,

o mai altrimenti farebbe confronti del genere.

RICCARDO

Insomma, zio, che cosa vi prende?

YORK

Oh, mio Sire,

perdonatemi, v’imploro. Se non lo farete, contento

del mancato perdono, mi riterrò soddisfatto.

Non cercate di metter le mani con la confisca

sugli appannaggi e i diritti dell’esiliato Hereford?

Non è morto Gaunt? Non vive forse Hereford?

Non era un giusto, Gaunt? Ed Enrico, non vi è fedele?

Non meritava l’uno di avere un erede?

Non è il suo erede un figlio più che degno?

Spoglia Hereford dei suoi diritti, e avrai sottratto al tempo

ogni diritto e statuto sancito dalle consuetudini.

Fa’ che il domani non tenga dietro all’oggi,

non esser quel che sei: come puoi fare il re,

se non per chiara e diretta linea di successione?

Ora, davanti a Dio – Dio voglia che mi sbagli! –

se voi vi riprendete illegalmente i diritti di Hereford,

se revocate le lettere patenti che l’autorizzano,

a mezzo dei suoi procuratori, a rivendicare

la sua eredità, se respingete l’omaggio che vi offre,

vi attirerete sul capo mille pericoli,

vi alienerete le simpatie di mille cuori,

e istigherete la mia duttile pazienza a pensieri

che onore e fedeltà non osano intrattenere.

RICCARDO

Pensate quel che vi pare. Noi prendiamo possesso

dei suoi argenti, dei beni, del denaro e delle terre.

YORK

Io non intendo esserci. Addio, mio Sire.

Quello che avverrà dopo, nessuno lo può dire:

ma sia ben chiaro che le cattive azioni

dan sempre risultati men che buoni. Esce.

RICCARDO

Andate, Bushy, e subito, dal Conte di Wiltshire.

Ditegli di presentarsi da noi, a Ely House,

per questa faccenda. Domani mattina

partiamo per l’Irlanda: ed era tempo, credo.

E in assenza della nostra persona noi creiamo

Governatore d’Inghilterra nostro zio York:

è uomo d’onore, e ci ha sempre lealmente serviti.

Venite, o Regina: domani dovremo separarci.

Siate lieta: ben poco è il tempo che ci resta.

Fanfara. Escono il Re, la Regina [e gli altri] eccettuati Northumberland, Willoughby, e Ross.

NORTHUMBERLAND

Bene, signori: il Duca di Lancaster è morto.

ROSS

Ma pur sempre vivo: ora il Duca è suo figlio.

WILLOUGHBY

Duca sì e no di nome, perduti i suoi appannaggi.

NORTHUMBERLAND

Avrebbe l’uno e gli altri, se ci fosse giustizia.

ROSS

Ho il cuore gonfio. Il mio silenzio lo farà scoppiare,

prima che possa dare la stura alla mia loquela.

NORTHUMBERLAND

Ma no, di’ quel che pensi; e ammutolisca per sempre

chi riferirà le tue parole per farti del male.

WILLOUGHBY

Riguarda il Duca di Hereford quel che vorresti dire?

Se sì, fuori il rospo, amico: fatti coraggio!

Il mio orecchio è pronto ad ascoltare chi vuole il suo bene.

ROSS

Non c’è nulla ch’io possa fare per lui,

a meno di chiamare “bene” la pietà che ho per lui,

privato e mutilato così del suo patrimonio.

NORTHUMBERLAND

Davanti a Dio, è un’infamia che tali torti sian fatti

a lui, un principe del sangue, e a tanti altri

di nobile schiatta, in questo paese allo sbando.

E Re non è più lui, vilmente influenzato com’è

da adulatori; e quel che costoro gli vanno dicendo

per puro astio nei confronti di alcuno di noi,

quello il Re ce lo farà duramente scontare:

a noi, alle nostre vite, ai nostri figli ed eredi.

ROSS

Ha tartassato il popolo con tasse onerose

e perso il suo favore. I nobili li ha gravati di ammende

per vecchie cause perse, e se li è fatti nemici.

WILLOUGHBY

Ed ogni giorno s’inventano nuovi balzelli,

con mandati in bianco, prestiti forzosi e Dio solo sa cosa.

Che fine ha fatto, in nome di Dio, tutto questo denaro?

NORTHUMBERLAND

Non se lo son mangiato le guerre, ché non ne ha fatte,

sempre svendendo con vile compromesso

quello che i suoi antenati conquistarono sul campo.

Ha speso più lui in pace che loro in guerra.

ROSS

Il Conte di Wiltshire ha il reame in appalto.

WILLOUGHBY

E il Re fa bancarotta come un fallito qualunque.

NORTHUMBERLAND

Sulla sua testa incombono disonore e rovina.

ROSS

Non ha denaro per queste campagne in Irlanda,

con tutte le sue pesanti esazioni,

se non derubando il Duca in esilio!

NORTHUMBERLAND

Il suo nobile congiunto! O Re degenerato!

Signori, noialtri sentiamo l’urlo d’una tremenda tempesta,

eppure non cerchiamo riparo da questa bufera.

Vediamo la velatura flagellata dal vento,

e invece di ammainarla andiamo imperterriti a morte.

ROSS

Vediamo coi nostri occhi il naufragio imminente,

e ormai non scamperemo al disastro,

visto che ne abbiamo tollerato le cause.

NORTHUMBERLAND

No. Persino di tra le vuote occhiaie della morte

io intravedo segnali di vita; ma non oso dirvi

quanto è vicina la buona novella del nostro riscatto.

WILLOUGHBY

Suvvia, mettici a parte dei tuoi pensieri, come noi con te.

ROSS

Trova il coraggio di parlare, Northumberland.

Noi tre e tu siamo una cosa sola: se tu ci parli,

le tue parole resteranno soltanto pensate. Su, fatti coraggio.

NORTHUMBERLAND

Allora sentite: da Port-le-Blanc,

insenatura brettone, mi è giunta l’informazione

che Enrico Duca d’Hereford, Rinaldo Lord Cobham,

il figlio di Riccardo Conte di Arundel,

che tempo fa fuggì di casa dal Duca di Exeter,

il fratel suo, già Arcivescovo di Canterbury,

Sir Thomas Erpingham, Sir John Ramston,

Sir John Norbery, Sir Robert Waterton e Francis Quoint –

tutti costoro, ben equipaggiati dal Duca di Bretagna

con otto grossi vascelli e tremila armigeri,

puntano qui con la massima speditezza,

e contano di toccar terra tra breve nel nord del paese.

Anzi, sarebbero già sbarcati, ma preferiscono attendere

che prima il Re s’imbarchi per l’Irlanda.

Se allora vorremo scrollarci di dosso il giogo del servaggio,

sanare l’ala spezzata del nostro paese in declino,

riscattare dal monte dei pegni la corona avvilita,

nettare lo scettro dorato dalla polvere che lo offusca

e restituire al trono la maestà che fu sua,

via di corsa con me, venite a Ravenspurgh.

Ma se tentennate, se avete paura di fare in questo modo,

restate, e acqua in bocca: ci andrò io da solo.

ROSS

A cavallo, a cavallo! Bando alle esitazioni di chi osa tremare!

WILLOUGHBY

Se ce la fa il mio cavallo, sarò il primo a arrivare.

Escono.

ATTO SECONDO – SCENA SECONDA

Entrano la Regina, Bushy e Bagot.

BUSHY

Signora, la Vostra Maestà è troppo triste.

Avevate promesso, nel prender commiato dal Re,

di metter da parte la perniciosa mestizia

e di serbare la vostra letizia.

REGINA

Lo feci solo per compiacere il Re. Per me stessa

non saprei farlo. Del resto, non vedo il motivo

di far buon viso a un ospite come il dolore,

se non per dire addio a un ospite tanto gradito

quanto il mio dolce Riccardo. Eppure io sento

che un’afflizione non ancora nata, matura nel grembo della sorte,

mi si sta preparando, e nel fondo dell’anima,

tremo per un nonnulla. C’è un qualcosa che mi tormenta,

più ancora che il dire addio al Re mio signore.

BUSHY

La sostanza di un’afflizione ha venti ombre,

che di essa han tutta l’apparenza, ma non la realtà.

L’occhio del dolore, col velo deformante delle lacrime,

in molti altri rifrange un unico oggetto:

come quei prismi che, a guardarci dentro,

mostrano solo immagini confuse; ma viste di scorcio,

forme chiare e distinte. Così la Vostra dolce Maestà,

vedendo come di scorcio la partenza del signor vostro,

in essa scopre, oltre a lui, l’immagine di altri dolori

che, visti per quello che sono, non son che fantasmi

di realtà inesistenti. E allora, tre volte graziosa Regina,

piangete pure la partenza del vostro signore: non altro, ché altro non c’è

o, se ci fosse, sarebbe distorto dall’occhio del dolore,

che lamenta realtà immaginate quasi fossero vere.

REGINA

Può darsi; eppure, in fondo all’anima mia,

sono convinta che così non è. Sia come sia,

non posso esser che triste: una tristezza sì greve

che, sebbene io mi sforzi di non pensare a nulla,

questo nulla mi pesa, mi fa venir meno, mi annulla.

BUSHY

Null’altro che una fantasia, mia graziosa sovrana.

REGINA

Tutt’altro. Una fantasia deriva pur sempre

da qualche dolore che l’ha generata. Non così questa mia,

poiché nulla ha generato questo mio strano tormento –

o qualcosa di strano, il nulla che mi tormenta,

che non è ancora mio, ma è in serbo nel mio futuro.

Che cosa sia – qualunque cosa esso sia – o come,

non posso dirlo: so solo ch’è un tormento senza nome.

Entra Green.

GREEN

Dio salvi Vostra Maestà. Salute a voi, signori.

Spero che il Re non sia già salpato per l’Irlanda.

REGINA

Perché lo speri? Meglio sperare di sì:

i suoi piani esigono prontezza, alla prontezza serve la speranza.

E allora perché speri che non sia salpato?

GREEN

Perché in tal caso lui, nostra speranza,

farebbe in tempo a richiamare i suoi,

e far disperata la speranza del nemico,

sbarcato in forze sulla nostra terra.

Il bandito Bolingbroke si è amnistiato da solo,

e senza intoppi, armato fino ai denti,

è giunto a Ravenspurgh.

REGINA

Oh, Dio non voglia!

GREEN

Ah, signora, è sin troppo vero! E quel ch’è peggio

il Conte di Northumberland, il suo giovane erede Enrico Percy,

i signori di Ross, Beaumont e Willoughby,

con tutti i loro potenti amici sono passati a lui.

BUSHY

Perché non li avete proclamati traditori,

Northumberland e il resto della banda di rivoltosi?

GREEN

Già fatto. E a questo punto il Conte di Worcester

ha spezzato il suo bastone, si è dimesso da Ciambellano,

e tutti gli addetti della real casa son fuggiti con lui

da Bolingbroke.

REGINA

Cosicché, Green, tu fai da levatrice al mio strazio,

e Bolingbroke è l’orrido parto delle mie ansietà.

Ora sì che la mia anima l’ha partorito, il mostro,

ed io, madre appena sgravata, ancora ansimante,

ho aggiunto doglia a doglia, affanno ad affanno.

BUSHY

Non disperate, signora.

REGINA

Chi me lo può vietare?

Io voglio disperare, ed esser nemica

dell’insidiosa speranza. È un’adulatrice, costei:

una parassita che tiene a bada la morte,

la quale disfa dolcemente l’ordito di quella vita

che la speranza mendace prolunga sino all’estremo.

Entra York.

GREEN

Ecco il Duca di York.

REGINA

Le sue spalle di veterano armate di segni di guerra!

Oh, di quante ansietà si è gravato il suo sguardo!

Zio, per amor del cielo, diteci parole di conforto.

YORK

Se lo facessi, direi il contrario di ciò che penso.

Il conforto è in cielo, e noi siamo in terra,

dove la vita è fatta solo di tribolazioni, dolori e ansietà.

Vostro marito se ne va a vincere in terre lontane,

mentre altri vengono a farlo perdere in casa,

e io son rimasto qui a puntellare il suo regno,

io che, prostrato dagli anni, a malapena sto in piedi.

Questa è l’ora del vomito, dopo la grande abbuffata:

ora li metterà alla prova, gli amici che l’hanno adulato.

Entra un servitore.

SERVITORE

Mio signore, vostro figlio non c’era più, quando sono arrivato.

YORK

Davvero? Ebbene, che tutto vada come deve andare!

I nobili sono fuggiti. E popolo è ostile:

pronto ad insorgere, temo, al fianco di Hereford.

Giovanotto, va’ a Plashy da mia cognata Gloucester.

Dille di farmi avere d’urgenza un migliaio di sterline.

Aspetta: prendi il mio anello.

SERVITORE

Signore, dimenticavo di dire a Vossignoria:

oggi, passando di lì, mi ci sono fermato…

Ma se vi dico tutto vi darò un dispiacere.

YORK

Che altro c’è, malandrino?

SERVITORE

Un’ora prima del mio arrivo la Duchessa è spirata.

YORK

Misericordia divina! Che marea di sventure

si sta abbattendo, di colpo, su questo disgraziato paese!

Io non so cosa fare. Volesse il cielo che il Re –

sia pur non per colpa di mia infedeltà –

ci avesse fatto decapitare, a me e mio fratello.

Come, neppure un corriere da spedire in Irlanda?

E dove lo prendiamo il denaro per queste campagne?

Suvvia, sorella – dovrei dire, cugina – vi prego, perdonatemi.

Va’, brav’uomo, fila a casa, procura dei carri,

rastrella ogni arma che troverai in giro. [Esce il servitore.]

Signori, che cosa aspettate ad adunare la truppa?

Se vi dico che so come, in che modo sistemare le cose

che mi han gettato tra capo e collo così alla rinfusa,

rifiutate di credermi. Son tutti e due miei congiunti.

L’uno è il mio sovrano, che il giuramento

e il senso dei dovere m’impongono di difendere. L’altro

è pur sempre un congiunto, cui il Re ha fatto un torto

che la coscienza e la voce del sangue mi dicon di raddrizzare.

Bene, qualcosa dovremo pur fare. Venite, cugina,

mi occuperò io di voi. Signori, andate ad adunare gli uomini,

e ritroviamoci senza indugio al castello di Berkeley.

Dovrei anche correre a Plashy,

ma me ne manca il tempo. Tutto è allo sbando,

le cose si van proprio ingarbugliando.

Escono il Duca e la Regina. Restano Bushy, [Bagot e] Green.

BUSHY

Filari col vento in poppa, i dispacci per l’Irlanda:

tutti senza risposta. Arruolare una forza

che possa misurarsi col nemico

è compito impossibile.

GREEN

E poi, l’affetto che portiamo al Re

ci porta l’odio di chi il Re non lo ama.

BAGOT

Volete dire, del popolo incostante, che il cuore

tien nella borsa: chiunque gliela vuoti,

glielo riempie, in proporzione, di odio mortale.

BUSHY

Quand’è così il Re è condannato da tutti.

BAGOT

Se tocca al popolo giudicare, lo siamo anche noi,

visto che al Re fummo sempre legati.

GREEN

Bene, io corro subito a rifugiarmi nel castello di Bristol.

Il Conte di Wiltshire si trova già lì.

BUSHY

Anch’io vengo con voi: ben pochi riguardi

ci useranno le turbe cariche d’odio,

che ci farebbero tutti a pezzi da quei cani che sono.

E voi? non verrete con noi?

BAGOT

No, io andrò in Irlanda da Sua Maestà.

Addio. Se i presagi del cuore non sono vani,

noi tre ci separiamo per non rivederci mai più.

BUSHY

Dipende dalle fortune di York. Se respinge Bolingbroke…

GREEN

Ahilui, povero Duca! Sì è accollato l’impresa

di contare i granelli di sabbia e vuotare gli oceani a sorsate.

Per uno che si batte con lui, mille scappano a gambe levate.

Addio ancora, una volta per tutte e per sempre.

BUSHY

Chissà, potremmo ritrovarci ancora.

BAGOT

O mai più, temo.

Escono.

ATTO SECONDO – SCENA TERZA

Entrano [Bolingbroke] Duca di Hereford, e Northumberland.

BOLINGBROKE

Quanto c’è di qui a Berkeley, signore?

NORTHUMBERLAND

Credetemi, nobile Duca,

io non mi ci ritrovo, in questa contea di Gloucester.

Queste alture ripide e selvose, i sentieri accidentati

ci allungano ogni miglio, e ce lo fanno sudare.

Pure, i vostri amabili discorsi, come zolle di zucchero,

han reso dolce e piacevole l’aspro cammino.

Però io penso a quella dura marcia

da Ravenspurgh a Cotshall, a quel che sarà stata

per Ross e Willoughby, senza la vostra compagnia

che, vi assicuro, ha di molto alleviato

l’interminabile lunghezza del tragitto.

Per loro essa è addolcita dalla speranza di avere

lo stesso privilegio di cui ora godo:

e la speranza di un piacere è appena meno piacevole

del piacere sperato. Così, quegli stanchi signori

abbrevieranno il loro cammino come è stato per me

grazie a quel che mi tocca: la vostra eletta compagnia.

BOLINGBROKE

La mia compagnia vale assai meno

delle vostre gentili parole. Ma chi arriva adesso?

Entra Harry Percy.

NORTHUMBERLAND

È mio figlio, il giovane Harry Percy,

mandato da mio fratello Worcester, chissà da dove.

Harry, come sta lo zio?

PERCY

Pensavo, mio signore, di aver sue notizie da voi.

NORTHUMBERLAND

Ma come, non è con la Regina?

PERCY

No, mio buon signore. Lui ha abbandonato la corte,

spezzato il bastone di comando, e licenziato

i servi della real casa.

NORTHUMBERLAND

E per quale motivo?

L’ultima volta che ci siamo parlati non era deciso a tanto.

PERCY

Perché Vostra Signoria è stato proclamato traditore.

Ma lui, signore, è andato a Ravenspurgh

a offrire i suoi servigi al Duca di Hereford,

e mi manda ora a Berkeley a scoprire

quanti soldati il Duca di York ha colà arruolati;

con l’ordine di rientrar poi a Ravenspurgh.

NORTHUMBERLAND

Ragazzo, te lo ricordi, il Duca di Hereford?

PERCY

No, mio buon signore. Come si fa a ricordare

chi non si è mai incontrato? Per quel che so,

mai in vita mia gli ho messo gli occhi addosso.

NORTHUMBERLAND

Allora impara a conoscerlo: questo è il Duca.

PERCY

Mio nobile Duca, vi offro i miei servigi

per quel che valgono, da giovane acerbo e inesperto.

Il tempo e l’età mi faran più maturo, e degno

di servirvi in prove più degne e meritorie.

BOLINGBROKE

Ti ringrazio, nobile Percy. Stai pur certo

che nulla al mondo mi fa tanto felice

quanto il ricordo dei buoni amici che serbo in cuore.

E se il tuo affetto maturerà con le mie fortune,

saranno queste il premio del tuo affetto leale.

È il cuore a dettare il patto che questa mia mano suggella.

NORTHUMBERLAND

Quanto c’è da qui a Berkeley, e cosa mi combina

laggiù il buon vecchio York con i suoi armati?

PERCY

Eccolo là il castello, presso quel ciuffo d’alberi,

difeso da trecento uomini, a quanto si dice.

Dentro ci sono il Duca di York, Berkeley e Seymour,

ma nessun altro di tale rango o prestigio.

Entrano Ross e Willoughby.

NORTHUMBERLAND

Ecco i signori di Ross e Willoughby,

a sproni insanguinati, paonazzi per la gran corsa.

BOLINGBROKE

Benvenuti, miei Pari. Il vostro affetto insegue

un traditore e un bandito. Tutte le mie sostanze

sono oggi un “grazie” senza sostanza; ma se avrò fortuna

basterà a premiare il vostro affetto e le vostre fatiche.

ROSS

La vostra presenza è la nostra fortuna, nobilissimo Duca.

WILLOUGHBY

E vale assai più della fatica fatta per raggiungervi.

BOLINGBROKE

Ringraziamenti a non finire: l’erario del nullatenente,

che sino a che la mia fortuna bambina non sarà adulta,

dovrà passare per munificenza. Ma chi sta arrivando?

Entra Berkeley.

NORTHUMBERLAND

Sbaglio, o è Lord Berkeley?

BERKELEY

Mio Duca di Hereford, ho un messaggio per voi.

BOLINGBROKE

Signore, rispondo solo al nome di Lancaster:

un nome che son venuto a riprendermi in Inghilterra,

un titolo che intendo sentire dalle vostre labbra,

prima di rispondere a qualsiasi cosa abbiate da dirmi.

BERKELEY

Non fraintendete, mio Duca. Non è mia intenzione

sottrarre un solo titolo a quelli di Vostro Onore.

Vengo da voi, mio Duca di… Duca di quel che volete,

da parte dell’eccellentissimo reggente di questo reame,

il Duca di York, per sapere che cosa vi spinga

a profittare di questo interregno di assenza,

ed a turbare la pace inglese con armi inglesi.

Entra York.

BOLINGBROKE

Non occorre che riportiate le mie parole.

Ecco che arriva Sua Grazia in persona. Mio nobile zio!

[S’inginocchia.]

YORK

Mostrami un cuore devoto, e non un ginocchio,

l’omaggio del quale è ingannevole e falso.

BOLINGBROKE

Vostra Grazia mio zio…

YORK

Ssst, ssst! Fammi grazia della grazia, lascia stare lo zio.

Non faccio da zio ai traditori, e la parola “grazia”

in una bocca disgraziata mi sa di bestemmia.

Come hanno osato quelle gambe bandite e proscritte

sfiorare, sia pur per un attimo, la polvere inglese?

Ci son ben altri perché: perché hanno osato marciare

per miglia e miglia sul placido cuore dell’Inghilterra,

terrorizzandone i pavidi villaggi con atti di guerra

e ostentazione di armi esecrande?

Vieni perché il Re consacrato non c’è?

Sappi, pivello che sei, che il Re è ancora qui:

il suo potere è insediato nel mio petto leale.

Se fossi tuttora signore della mia ardente gioventù,

quando io e tuo padre, il valoroso Gaunt,

salvammo il Principe Nero, quel giovane Marte,

dall’incalzare di mille e mille Francesi,

oh, allora farebbe presto a punirti questo mio braccio,

oggi tremante ostaggio della paralisi,

e ad infliggerti il giusto castigo della tua colpa!

BOLINGBROKE

Vostra Grazia mio zio mi dica qual è la mia colpa,

in che cosa consiste, che cosa può averla causata?

YORK

Consiste nel più nefando di tutti i delitti:

una brutale ribellione e un tradimento odioso.

Tu sei stato esiliato, ma sei tornato qui

prima dello scadere della tua sentenza,

sfidando il tuo sovrano colle armi in pugno.

BOLINGBROKE

Quando fui messo al bando, mi chiamavo Hereford.

Ora che torno, torno come Lancaster.

Nobile zio, io supplico Vostra Grazia

di guardare ai torti da me subìti con occhio imparziale.

Voi siete un padre per me: quando vi guardo

mi par di rivedere il vecchio Gaunt redivivo. E allora, padre,

permetterete ch’io resti condannato

a vagabondare in perpetuo, diritti e privilegi

strappati a forza dalle mie insegne, e regalati

a gente dissipata, che viene dal nulla? Son forse nato per questo?

Se il Re mio cugino è il Re d’Inghilterra,

ne consegue che io sono il Duca di Lancaster.

Voi avete un figlio, il mio nobile cugino Aumerle:

se foste morto per primo, e fosse lui il calpestato,

in suo zio Gaunt avrebbe trovato un padre

per denunciare l’ingiustizia e vendicarla fino in fondo.

Mi si nega di rivendicare quel ch’è mio legalmente,

a cui le mie lettere patenti mi danno diritto;

i beni di mio padre son tutti confiscati e venduti

e, come tutto il resto, vengono sperperati.

Cosa fareste al mio posto? Io sono un suddito,

e mi appello alla legge. Mi si negano avvocati,

ed io pertanto, in prima persona, vengo a reclamare

la mia eredità di legittimo discendente.

NORTHUMBERLAND

Troppo grande è il sopruso subìto dal nobile Duca.

ROSS

Spetta a Vostra Grazia di rendergli giustizia.

WILLOUGHBY

Tanta gentaglia si è ingrassata sulle sue spoglie.

YORK

Miei Pari d’Inghilterra, lasciatemi dire una cosa:

mi rendo conto dei torti subìti da mio nipote,

e mi son prodigato a fondo per rendergli giustizia.

Ma venire in tal guisa, armato fino ai denti,

a fare il castigamatti, facendosi largo a fendenti,

in cerca di una giustizia imposta con l’ingiustizia – no, non va.

E voi che in quest’impresa gli tenete bordone,

favorite la ribellione, e siete voi stessi ribelli.

NORTHUMBERLAND

E nobile Duca giura che viene soltanto

per riprendersi il suo, e per questo suo diritto

abbiamo tutti solennemente giurato di dargli aiuto:

e possa mai ritrovare la gioia chi viola il giuramento.

YORK

E va bene: vedo già l’esito di questo conflitto.

Non posso oppormi, devo confessarlo,

ché le mie forze son deboli e male in arnese.

Ma se potessi, per Colui che mi ha dato la vita,

vi farei mettere ai ferri, per affidarvi a capo chino

alla sovrana clemenza del Re.

Poiché non posso, è bene che voi sappiate

che mi asterrò da ogni azione. E fate buon viaggio:

se non volete entrar nel castello

e riposarvi, almeno per questa notte.

BOLINGBROKE

Un’offerta, zio, che siam lieti di accettare.

Ma intendiamo convincere Vostra Grazia a venire con noi

al castello di Bristol, che mi dicono in mano

di Bushy, Bagot e dei bruchi loro compari,

divoratori della cosa pubblica,

che ho giurato di estirpare e far fuori per sempre.

YORK

Può darsi che venga con voi, ma ci devo pensare,

ché mi ripugna violare le leggi del paese.

Né amici, né nemici, ben volentieri io vi accolgo:

dei mali senza rimedio, ormai più non mi dolgo. Escono.

ATTO SECONDO – SCENA QUARTA

Entrano il Conte di Salisbury e un capitano gallese.

CAPITANO

Mio conte di Salisbury, son dieci giorni che aspettiamo,

e i miei gallesi è stato difficile tenerli a bada;

ma non sapendo che fine ha fatto il Re,

a questo punto ce ne torniamo a casa. Addio.

SALISBURY

Resta qui ancora un giorno, mio fidato gallese.

Il Re ripone in te tutta la sua fiducia.

CAPITANO

Dicono che il Re è morto. Non resteremo qui.

Le piante di lauro, nel nostro paese, si sono seccate,

meteore fanno tremare le stelle fisse del cielo,

la pallida luna appare in terra rossa come il sangue,

e allampanati indovini mormorano di tragici mutamenti.

I ricchi han l’aria mesta, i ribaldi ballano e saltan di gioia,

gli uni per tema di perdere le ricchezze che hanno,

gli altri perché acquisteranno ricchezze, fra guerre e razzie.

Questi presagi annunciano la morte o caduta dei re.

Addio. I miei conterranei si son tutti squagliati,

ché Re Riccardo è morto: così li hanno informati. Esce.

SALISBURY

Ah Riccardo! Con gli occhi di una mente turbata,

vedo la tua gloria, come una stella cadente,

precipitare dal firmamento sull’ignobile terra.

Il tuo sole tramonta in lacrime in un plumbeo occidente,

presagio d’incombenti tempeste, di torbidi e lutti.

I tuoi amici son corsi a dar man forte ai nemici,

e la fortuna ostile ti nega i suoi benefici. Esce.

Riccardo II
(“Richard II” – 1595)
Introduzione – Riassunto
Atto I
Atto II
Atto III
Atto IV
Atto V

Introduzione al teatro di Shakespeare
Elenco opere teatrali

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