(“Romeo and Juliet” – 1594 – 1595)
Introduzione – Riassunto
Atto I
Atto II
Atto III
Atto IV
Atto V
Introduzione al teatro di Shakespeare
Elenco opere teatrali
PROLOGO
(Entra) il Coro.
CORO
È adesso la passione antica sul suo letto di morte,
e un nuovo sentimento aspira ad esserne erede;
la bella per cui l’amante piangeva e voleva morire,
paragonata alla tenera Giulietta non è più bella.
Ora Romeo è amato e ama a sua volta,
incantati entrambi dai reciproci sguardi,
anche se lui deve lamentarsi con chi crede sua nemica,
e lei rubare la dolce esca dell’amore da ami terribili.
Creduto nemico, egli non può avvicinarla
per sussurrarle quelle promesse che gli amanti son soliti giurare,
e per lei, ugualmente innamorata, è ancor più difficile
incontrarsi in qualche posto col suo nuovo amore.
Ma la passione presta loro la forza, il tempo i mezzi, per incontrarsi,
mitigando disagi estremi con dolcezze estreme. (Esce.)
ATTO SECONDO – SCENA PRIMA
Entra Romeo da solo.
ROMEO
Come posso andare avanti, se il mio cuore è qui?
Torna indietro stupida argilla, e trova il tuo centro.
(Si ritira.)
Entrano Benvolio e Mercuzio.
BENVOLIO
Romeo! Cugino mio, Romeo! Romeo!
MERCUZIO
È un furbone, scommetto sulla mia vita
che se ne è scappato a casa ed è già a letto.
BENVOLIO
Correva da questa parte, e l’ho visto saltare il muro
di questo giardino. Chiamalo ancora, Mercuzio.
MERCUZIO
Farò di più, lo evocherò:
tu, Romeo, malinconico, pazzo innamorato,
appari sotto forma d’un sospiro,
di’ una rima soltanto, e sarò soddisfatto.
Esala un semplice “Ahimè”, accoppia un “cuore” con “amore”,
trova una dolce parola per comare Venere,
e un soprannome per il suo cieco figlio ed erede,
il nudo, vagabondo Cupido, giovane da secoli,
che fece centro quando il re Cofetua s’innamorò
della bella mendicante. Non sente, non si muove,
non risponde. Dev’essere morto quello scemo,
dovrò evocarlo davvero: ti prego,
per gli occhi luminosi di Rosalina, per la sua fronte alta
e le sue labbra scarlatte, per i suoi piedini,
per le sue lunghe gambe e le sue cosce eccitate,
per quei territori lì confinanti, ti prego,
riprendi le tue forme e compari davanti a noi!
BENVOLIO
Se ti sente lo farai arrabbiare.
MERCUZIO
Non può arrabbiarsi per quello che dico.
Avrebbe ragione se nel centro della sua amata
facessi drizzare un qualche spirito estraneo,
e lì lo lasciassi eretto finché lei l’avesse sfinito
ed esorcizzato, sgonfiandolo.
Allora potrebbe lamentarsi, non per la mia evocazione,
che è onesta e leale: ho invocato la sua donna, è vero,
ma per costringere lui a tirar fuori la lesta.
BENVOLIO
Vieni, si deve esser nascosto tra quegli alberi
per unirsi all’umida notte.
Il suo amore è cieco, gli si addice l’oscurità.
MERCUZIO
Se l’amore è cieco, non arriverà mai a bersaglio.
Romeo sarà seduto sotto un nespolo, a sognare
che la sua bella gli dia quel frutto che le fanciulle
quando sole ridono tra loro chiamano nespola:
oh, Romeo, fosse lei una nespola aperta e tu il suo cetriolo!
Buona notte Romeo, mi ritiro sulla mia branda.
Questo letto da campo è troppo freddo per dormirci.
Vieni, Benvolio, andiamocene!
BENVOLIO
Andiamocene pure, è inutile cercare
chi non vuol farsi trovare.
Escono (Benvolio e Mercuzio).
ATTO SECONDO – SCENA SECONDA
Romeo si fa avanti.
ROMEO
Ride delle cicatrici chi non è mai stato ferito.
(In alto appare Giulietta.)
Ma, piano, quale luce erompe da quella finestra?
È l’oriente, e Giulietta è il sole! Oh, sorgi bel sole,
e uccidi la luna invidiosa che è già malata e pallida di rabbia,
perché tu, sua ancella, di lei sei tanto più bella.
Non servirla più, quell’invidiosa: la sua vestale
porta il malsano costume verde indossato solo dai buffoni.
Gettalo via! Oh, se sapesse che è la mia donna,
il mio amore! Oh se lo sapesse!
Ella parla, pur senza dire parola. Com’è mai possibile?
Sono i suoi occhi a parlare, e io risponderò loro.
Sono troppo ardito. Non è a me che parla.
Due tra le stelle più luminose del cielo, dovendo assentarsi,
supplicano i suoi occhi di voler brillare
al loro posto sin che abbiano fatto ritorno.
E se i suoi occhi fossero in quelle sfere,
e le stelle sul suo volto? Le sue guance luminose
farebbero allora vergognare quelle stelle,
come il giorno fa impallidire la luce di una torcia.
E i suoi occhi, in cielo, scorrerebbero nella regione dell’aria
con un tale splendore che gli uccelli,
credendo finita la notte, riprenderebbero a cantare.
Guarda come appoggia la guancia alla sua mano:
potessi essere io il guanto di quella mano,
e poter così toccare quella guancia!
GIULIETTA
Ahimè!
ROMEO
Ma parla…
Oh, dì ancora qualcosa, angelo splendente,
così glorioso in questa notte, lassù, sopra la mia testa,
come un messaggero alato del cielo quando abbaglia
gli occhi stupiti dei mortali, che si piegano all’indietro
per guardarlo varcare le nubi che si gonfiano pigre,
e alzare le vele nel grembo dell’aria.
GIULIETTA
Oh Romeo, Romeo, perché sei tu Romeo?
Rinnega tuo padre e rifiuta il tuo nome,
oppure, se non vuoi, giura che sei mio
e smetterò io d’essere una Capuleti.
ROMEO
Devo ascoltare ancora, o rispondere subito?
GIULIETTA
È solo il tuo nome che m’è nemico, e tu sei te stesso
anche senza chiamarti Montecchi. Cos’è Montecchi?
Non è una mano, un piede, un braccio, un volto,
o qualunque parte di un uomo. Prendi un altro nome!
Cos’è un nome? Ciò che chiamiamo rosa,
con qualsiasi altro nome avrebbe lo stesso profumo,
così Romeo, se non si chiamasse più Romeo,
conserverebbe quella cara perfezione che possiede
anche senza quel nome. Romeo, getta via il tuo nome,
e al suo posto, che non è parte di te, prendi tutta me stessa.
ROMEO
Ti prendo in parola.
Chiamami amore e sarà il mio nuovo battesimo:
ecco, non mi chiamo più Romeo.
GIULIETTA
Chi sei tu che così avvolto nella notte
inciampi nei miei pensieri?
ROMEO
Con un nome non so dirti chi sono:
il mio nome, sacra creatura, mi è odioso
in quanto tuo nemico.
L’avessi qui scritto, strapperei la parola.
GIULIETTA
Ancora le mie orecchie non hanno bevuto
cento parole della tua voce, e già ne riconoscono il suono.
Non sei tu Romeo, un Montecchi?
ROMEO
Né Romeo né Montecchi, amor mio, se ti dispiacciono.
GIULIETTA
Dimmi come sei arrivato qui, e perché?
I muri del giardino sono alti, difficili da scalare,
e questo posto, col nome che porti,
significa morte per te, se mai ti trovassero.
ROMEO
Sulle ali leggere dell’amore ho superato queste mura:
non ci sono limiti di pietra che possano impedire il passo all’amore,
e ciò che l’amore può fare, l’amore ossa tentarlo.
Ecco perché i tuoi parenti non mi possono fermare.
GIULIETTA
Se ti vedono ti uccideranno.
ROMEO
Ahimè, c’è più pericolo nei tuoi occhi
che in venti delle loro spade. Guardami con dolcezza
e sarò corazzato contro il loro odio.
GIULIETTA
Per tutto il mondo, non vorrei ti vedessero qui.
ROMEO
Ho il mantello della notte per nascondermi ai loro occhi,
ma se tu non mi ami, lascia pure che mi trovino qui.
Preferirei che la mia vita finisse per il loro odio
che prorogare la morte senza il tuo amore.
GIULIETTA
Come hai fatto a scoprire questo luogo?
ROMEO
È stato l’amore che per primo mi ha spinto a cercarlo.
Lui mi ha prestato consiglio, io gli ho prestato i miei occhi.
Non sono certo un pilota di nave, ma se tu fossi lontana da me
quanto quella vasta spiaggia bagnata dal mare più lontano,
io mi ci avventurerei per una merce così preziosa.
GIULIETTA
Sai che la maschera della notte è sul mio viso,
altrimenti un rossore verginale tingerebbe le mie guance
per ciò che m’hai sentito dire stanotte.
Davvero, vorrei rispettare le forme, davvero, davvero cancellare
ciò che mi è uscito di bocca, ma ormai, addio cerimonie!
Mi ami davvero? So che mi dirai di sì
e che io ti crederò.
Ma so che se anche giuri potresti ingannarmi.
Giove, dicono, sorride agli spergiuri degli amanti.
Perciò, dolce Romeo, se mi ami, dillo davvero,
oppure, se credi che con troppa facilità
mi sia lasciata vincere, farò la ritrosa e la cattiva,
dirò dei no, così tu potrai corteggiarmi;
ma non lo farei altrimenti, per niente al mondo.
In verità, bel Montecchi, sono troppo innamorata,
e tu pensa pure che io sia troppo leggera, ma vedrai, mio gentile,
mi dimosterò più sincera di quelle più esperte nel far le ritrose.
Avrei dovuto mostrarmi più cauta, lo ammetto,
ma d’altra parte, prima che me ne rendessi conto,
tu hai sentito la mia ardente confessione d’amore;
quindi, scusami, e non attribuire la mia troppo facile resa
alla leggerezza di questo amore che l’ombra della notte
ti ha rivelato.
ROMEO
Giulietta, per quella sacra luna lassù, che copre
d’argento le cime del frutteto, ti giuro…
GIULIETTA
Oh, non giurare sulla luna, la luna incostante,
che ogni mese cambia la sua orbita
se no il tuo amore sarà altrettanto mutevole!
ROMEO
Su cosa dovrò giurare allora?
GIULIETTA
Non giurare per niente, o se vuoi, giura
su te stesso, il dio che il mio cuore idolatra,
e ti crederò.
ROMEO
Se il sacro amore del mio cuore…
GIULIETTA
No, non giurare. Anche se ho gioia di te,
questo patto, stanotte, non mi dà gioia:
è troppo rischioso, spericolato, improvviso,
troppo simile al lampo, già passato prima che uno
possa dire “lampeggia”. Mio caro, buona notte!
Questo bocciuolo d’amore, maturandosi al soffio dell’estate,
sarà forse un fiore stupendo quando ci rivedremo.
Buona notte, buona notte. Dolce riposo e pace
scendano sul tuo cuore, come quelli che ho nel petto.
ROMEO
Ah, mi lascerai così, insoddisfatto?
GIULIETTA
E che soddisfazione vorresti, stanotte?
ROMEO
Scambiarci la promessa d’un amore fedele.
GIULIETTA
Il mio amore te l’ho già dato prima che me lo chiedessi,
eppure vorrei dovertelo dare di nuovo.
ROMEO
Vorresti riaverlo indietro? E perché mai, amor mio?
GIULIETTA
Solo per esser generosa e dartelo un’altra volta;
in realtà desidero solo ciò che già possiedo.
La mia generosità è sconfinata come il mare,
e come lui è profondo il mio amore: più ne do a te
più ne possiedo, perché sono entrambi infiniti.
Ma sento qualche rumore in casa.
Caro amore, addio.
(La Nutrice chiama dall’interno.)
Subito, cara nutrice – Dolce Montecchi, sii fedele:
aspetta un poco, ritornerò. (Esce Giulietta.)
ROMEO
Oh notte benedetta, felice notte! Temo,
essendo notte, che tutto non sia che un sogno,
troppo dolce e lusinghiero per essere vero…
Giulietta si riaffaccia.
GIULIETTA
Tre parole, caro Romeo, e poi buona notte davvero.
Se l’intenzione del tuo amore è onorevole,
e mi vuoi come sposa, fammi sapere domani,
da qualcuno che cercherò di mandarti,
dove e quando vorrai celebrare il rito,
e io deporrò ai tuoi piedi la mia sorte
e ti seguirò mio signore, per tutto il mondo.
NUTRICE (Da dentro.)
Signora.
GIULIETTA
Arrivo, subito… ma se le tue intenzioni non sono serie,
ti supplico…
NUTRICE (Da dentro.)
Signora.
GIULIETTA
Sì, sì, vengo…
Smetti di tentarmi, e lasciami al mio dolore.
Domani ti manderò qualcuno.
ROMEO
Sull’anima mia!
GIULIETTA
Mille volte buona notte! (Giulietta esce.)
ROMEO
Mille volte cattiva, la notte, ora che manca la tua luce.
L’amore corre verso l’amore come gli scolari fuggono dai libri,
ma amore che lascia amore è andare a scuola con la faccia triste.
Si riaffaccia Giulietta.
GIULIETTA
Ehi, Romeo, ehi! Oh se avessi la voce del falconiere
per richiamare questo dolce falcone!
Chi è prigioniero è rauco e non può alzare la voce,
altrimenti saprei far crollare la caverna dove sta Eco
e far diventare più roca della mia la sua voce d’aria,
a furia di ripetere il nome del mio Romeo.
ROMEO
È la mia anima che chiama il mio nome.
Che dolce suono d’argento ha di notte la voce degli amanti,
come la più languida delle musiche
per l’orecchio che l’ascolta.
GIULIETTA
Romeo.
ROMEO
Mio piccolo falconetto.
GIULIETTA
A che ora domani
dovrò mandarti il mio messaggero?
ROMEO
Alle nove.
GIULIETTA
Ci sarà. Passeranno ventanni fino ad allora.
Non ricordo già più perché ti ho richiamato.
ROMEO
Lasciami aspettar qui, finché ti tornerà in mente.
GIULIETTA
Lo scorderei, per farti restare ancora qui,
ricordando come amo la tua presenza.
ROMEO
E io resterò qui, per farti ancora dimenticare,
dimenticando ogni altra casa che non sia questa.
GIULIETTA
È quasi mattina, vorrei che te ne andassi,
ma non più lontano del passerino che un ragazzo crudele
si lascia fuggire di mano per poi tirarlo indietro
con un filo di seta, povero prigioniero avvinto da ceppi ritorti,
tanto è geloso, amandolo, della sua libertà.
ROMEO
Sarei felice d’essere quel passero.
GIULIETTA
Anch’io, caro, ma ti ucciderei con le troppe carezze.
Buona notte, buona notte: separarci è un dolore così dolce
che dirò buona notte sino a domani.
(Esce Giulietta.)
ROMEO
Regni il sonno sui tuoi occhi, la pace nel tuo petto.
Fossi io il sonno e la pace per riposare così dolcemente.
Il mattino dagli occhi grigi sorride alla notte accigliata
tingendo con strisce di luce le nubi d’oriente;
l’oscurità, rubizza come un ubriaco, s’allontana
a fatica dal sentiero del giorno percorso dalle ruote di Titano.
Da qui andrò alla cella del mio padre confessore,
per chiedergli aiuto e dirgli della mia cara fortuna. (Esce.)
ATTO SECONDO – SCENA TERZA
Entra il Frate (Lorenzo) solo con un cesto.
FRATE LORENZO
Adesso, prima che il sole avanzi il suo occhio fiammeggiante
a rallegrare il giorno e a seccare l’umida rugiada della notte,
devo riempire questo cesto di vimini con erbe velenose
e fiori dal succo prezioso.
Madre della natura è la terra, ma anche sua tomba:
quello che è il suo sepolcro è anche il suo grembo,
e da quel grembo nascono figli di diverso genere
che troviamo allattati dal suo seno naturale.
Molti, per varie virtù, eccellenti, nessuno
che non ne abbia qualcuna, eppure tutti diversi.
Oh, grande è la potente virtù
che risiede nelle piante, nelle erbe, nelle pietre,
e nelle loro genuine nature.
Non esiste niente sulla terra così vile
da non portare alla terra una sua qualche utilità:
né qualcosa di così prezioso che sviato dal suo uso
non si rivolti contro la sua origine e cada nell’abuso.
La virtù stessa, male esercitata, si trasforma in vizio
e il vizio può riuscire a volte a riscattarsi con l’azione.
Entra Romeo.
Sotto la tenera scorza di questo debole fiore
c’è insieme un veleno e un potente dottore:
per questo se l’odori, con l’odore ravviva ogni funzione;
se l’assaggi ti uccide, fermandoti i sensi e il cuore.
Anche nell’uomo, come nelle erbe, sono accampati due re
in lotta tra loro, la grazia e il desiderio,
e quando quest’ultimo, il peggiore, prevale,
presto il verme della morte tutta la pianta assale.
ROMEO
Buon giorno, padre.
FRATE LORENZO
Benedicite.
Di chi è questa voce mattiniera che con tanto rispetto
mi saluta? Aver abbandonato così presto il letto,
figlio mio, è segno d’un animo turbato.
L’inquietudine fa da sentinella agli occhi dei vecchi,
e dove veglia lei non s’avvicina il sonno,
ma dove invece innocente la gioventù stende
le sue membra intatte, lì regna un sonno dorato.
Per questo la tua visita, così mattutina,
m’induce a credere che qualcosa t’abbia turbato;
altrimenti, caro Romeo, dovrei pensare
che stanotte non ti sei neppure coricato.
ROMEO
Proprio così, eppure non son mai stato così riposato.
FRATE LORENZO
Dio ti salvi dal peccato! Sei stato con Rosalina?
ROMEO
Con Rosalina? No, mio padre spirituale,
ho dimenticato quel nome, e il male di quel nome.
FRATE LORENZO
Bravo figliolo, ma dove sei stato allora?
ROMEO
Te lo dirò, prima che me lo chieda ancora.
Sono stato a una festa, in casa del mio nemico,
e lì, all’improvviso, da chi ferivo sono stato ferito.
Il rimedio per tutti e due sta nel tuo aiuto e nelle tue cure.
Non odio nessuno, padre, anzi,
sono qui a intercedere anche per il mio nemico.
FRATE LORENZO
Sii chiaro, figlio mio, sii semplice nella tua confessione.
Un enunciato ambiguo trova un’ambigua assoluzione.
ROMEO
E allora sappi chiaramente che il più caro affetto
del mio cuore è riposto nella bella figlia del ricco Capuleti.
Come il mio cuore guarda a lei, così il suo guarda a me,
tutto è combinato, se non ciò che tocca a te combinare
col santo matrimonio. Quando, dove e come ci siamo incontrati,
corteggiati, e dichiarati, te lo dirò per strada,
ma di una cosa ti devo pregare, che tu ci voglia oggi sposare.
FRATE LORENZO
Oh, San Francesco! Questo è un cambiamento!
E Rosalina, che amavi così teneramente? Già dimenticata?
L’amore dei giovani, allora, non sta nel cuore, ma negli occhi!
Gesummaria! Che mare di lacrime ha lavato
le tue guance scavate per Rosalina!
Quant’acqua salmastra sprecata, per stagionare
un amore che ora non vuoi più assaggiare!
Il sole non ha ancora ripulito il cielo dai tuoi sospiri,
nelle mie anziane orecchie riecheggia ancora la tua vecchia lagna.
Guarda lì, com’è macchiata la tua guancia
d’una vecchia lacrima non ancora lavata:
se tu eri in te stesso, e i tuoi dolori erano tuoi,
tu e i tuoi dolori eravate tutti per Rosalina.
Sei cambiato? Ripeti allora questo proverbio:
Pecchino pure le donne, se negli uomini non c’è nerbo.
ROMEO
Quando amavo Rosalina, spesso m’hai rimproverato.
FRATE LORENZO
Perché facevi il pazzo, figlio mio, non l’innamorato.
ROMEO
E mi ordinavi di seppellire l’amore.
FRATE LORENZO
Non perché dalla tomba di uno ne tirassi fuori un altro.
ROMEO
Ti prego, non rimproverarmi. Quella che ora amo
mi rende grazia per grazia, amore per amore.
L’altra non faceva così.
FRATE LORENZO
Si vede che aveva capito che il tuo amore
non sapendo leggere, recitava a memoria.
Ma vieni, mia banderuola, vieni con me,
solo per una cosa ti aiuterò:
questo matrimonio potrebbe trasformare
la vecchia guerra tra le due famiglie in una pace.
ROMEO
Andiamo, allora; insisto: bisogna fare in fretta.
FRATE LORENZO
Calma e giudizio. Chi corre troppo, inciampa. Escono.
ATTO SECONDO – SCENA QUARTA
Entrano Benvolio e Mercuzio.
MERCUZIO
Dove diavolo sarà questo Romeo? È tornato a casa stanotte?
BENVOLIO
Non a casa di suo padre. Ho parlato col servo.
MERCUZIO
Eh, quella ragazzina pallida dal cuore di pietra, quella Rosalina, finirà per renderlo pazzo coi suoi tormenti.
BENVOLIO
Tebaldo, il parente del vecchio Capuleti, ha mandato una lettera a casa di suo padre.
MERCUZIO
Per l’anima mia, una sfida.
BENVOLIO
Romeo risponderà.
MERCUZIO
Chiunque sappia scrivere sa anche rispondere a una lettera.
BENVOLIO
Voglio dire: rispondere al proprietario della lettera. Sfidato, sfiderà.
MERCUZIO
Ahimè, povero Romeo, è già morto, trafitto dagli occhi neri d’una ragazza pallida, ferito negli orecchi da un canto d’amore, col centro del cuore spezzato in due dalla freccia appuntita del piccolo arciere cieco. È forse questo l’uomo adatto ad affrontare Tebaldo?
BENVOLIO
Perché? Chi è Tebaldo.
MERCUZIO
È più del Principe dei Gatti. Oh, lui è il coraggioso capitano dei complimenti, capace di combattere come tu di cantare uno spartito mantenendo tempo, intervallo e misura. Indugia sulle minime, e poi, un, due e tre, ti è già entrato in petto. Un vero macellaio dei bottoni di seta. Uno spadaccino, un vero spadaccino, un gentiluomo da scuola, un vero maestro di prime e seconde cause. Ah, la sua passata immortale, il suo punto riverso, le sue toccate…
BENVOLIO
Le sue cosa?
MERCUZIO
Un canchero a tutti questi grotteschi balbuzienti affettati, quest’importatori di parole straniere. Per Dio, una bella lama, una bella statura, una bella puttana se li porti! Insomma non è una cosa deplorevole questa, nonnino mio, che si debba essere afflitti da questi moscardini stranieri, da questi modaioli sfrenati, questi pardonnez moi, che tengono tanto alle nuove forme da non poter più sedersi sulle vecchie panche? Ah, le loro ossa, le loro ossa!
Entra Romeo.
BENVOLIO
Ecco, arriva Romeo, arriva Romeo!
MERCUZIO
Non ha più midollo, pare un’aringa secca. Oh, carne, carne, come ti sei fatta pesce! Adesso è tutto per quelle rime in cui sguazzava Petrarca. Laura paragonata alla sua donna era una sguattera – accidenti, aveva un amante molto più bravo a cantarla, però – Didone una sempliciotta, Cleopatra una zingara, Elena ed Ero due puttane buone a niente, Tisbe aveva un occhio grigio o giù di lì, ma lasciamo perdere. Signor Romeo, bonjour. Ecco un saluto francese per le tue braghe francesi. Ci hai dato una bella fregata stanotte.
ROMEO
Buon giorno a tutti e due. Cosa vi ho dato?
MERCUZIO
Moneta falsa, caro Romeo, fuori corso. Non capisci?
ROMEO
Pardon, mio buon Mercuzio, avevo un affare urgente, e, in casi simili, ci si dimentica delle buone maniere.
MERCUZIO
Cioè a dire, un caso simile obbliga un uomo a sforzare le chiappe.
ROMEO
Vuoi dire a fare un inchino?
MERCUZIO
L’hai azzeccata con grazia.
ROMEO
Tu esponi con gran cortesia.
MERCUZIO
Sono la rosa stessa della cortesia, io.
ROMEO
Forse con rosa vuoi dire il fior fiore?
MERCUZIO
Sì.
ROMEO
Beh, io ho un fior fiore di scarpe.
MERCUZIO
Questa è buona, ma su questo tono devi ora continuare finché la scarpa non sia rosa, perché quando l’unica suola sarà rosa, lo scherzo, portato una volta, sarà da far risuolare.
ROMEO
Che freddura pedestre, sta in piedi solo perché è fatta coi piedi.
MERCUZIO
Vieni a dividerci, buon Benvolio, il mio spirito si esaurisce.
ROMEO
Frusta e sproni, frusta e sproni, o dirò d’aver vinto.
MERCUZIO
Per Dio, se i nostri spiriti si sfidano alla caccia dell’oca, sono perduto. C’è più dell’oca in uno dei tuoi motti di spirito che in tutti i miei cinque spiriti messi assieme. Non ho già fatto un punto, dandoti dell’oca?
ROMEO
Non hai fatto un bel niente, comportandoti da oca.
MERCUZIO
Ti morderò l’orecchio, per questa battuta.
ROMEO
No, buona oca, non beccarmi.
MERCUZIO
Il tuo spirito è agrodolce, una vera salsa piccante.
ROMEO
Non è forse il giusto condimento della dolce oca?
MERCUZIO
Oh, riecco dello spirito di pelle di capretto, lungo un palmo lo puoi tirare sino a un braccio.
ROMEO
Lo tirerò sino alla parola “enorme”, che aggiunta all’oca, dimostra quale enorme oca tu sia in lungo e in largo.
MERCUZIO
Non è forse meglio giocare, che spasimare d’amore? Adesso sei socievole, adesso sei Romeo, ora sei quello che sei, come natura ed arte t’han fatto; perché questo amore farneticante è come uno scherzo di natura che, con la lingua penzoloni, corre avanti e indietro cercando un buco dove nascondere il suo balocco.
BENVOLIO
Fermati lì, fermati lì.
MERCUZIO
Tu vuoi che fermi la mia storia prima d’arrivare al pelo?
BENVOLIO
Sennò la coda della tua storia arriverebbe anche più in là.
MERCUZIO
Ti sbagli, mi mancava poco, ero già arrivato sin quasi in fondo, e, a dire il vero, stavo per venir fuori da quel soggetto.
ROMEO
Ecco un bel soggetto!
Entrano la Nutrice e un suo servo (Pietro).
Una vela, una vela!
MERCUZIO
Due, due: una camicetta e un camicione.
NUTRICE
Pietro.
PIETRO
Sì?
NUTRICE
Il mio ventaglio, Pietro.
MERCUZIO
Per nascondersi la faccia, buon Pietro, quella del ventaglio è più bella.
NUTRICE
Dio vi conceda una buona giornata, signori.
MERCUZIO
E a voi conceda una buona serata, bella signora.
NUTRICE
È già l’ora della buona sera?
MERCUZIO
Ve lo garantisco: la mano ardita della meridiana ha già afferrato l’asta del mezzogiorno.
NUTRICE
Vergognatevi! Che uomo siete?
ROMEO
Un uomo, mia signora, che Dio ha fatto a parodia di se stesso.
NUTRICE
Ben detto, parola mia! “A parodia di se stesso” dici? Signori, qualcuno di voi sa dirmi dove potrei trovare il giovane Romeo?
ROMEO
Io ve lo posso dire. Ma quando l’avrete trovato non sarà più giovane come quando lo cercavate. Io sono il più giovane di questo nome, in mancanza di peggio.
NUTRICE
Ben detto!
MERCUZIO
Come, va bene il peggio? Ben trovato, in verità. Che saggezza, che intelligenza.
NUTRICE
Se voi siete lui, signore, vorrei confidenziarmi con voi.
BENVOLIO
Vorrà senz’altro evitarlo a cena.
MERCUZIO
È una ruffiana, una ruffiana! Attenti! Ecco!
ROMEO
Che cos’hai trovato?
MERCUZIO
Non certo una lepre, caro mio, a meno che non sia un pasticcio quaresimale, che puzza prima ancora d’essere consumato.
Gira intorno cantando.
Puzza la vecchia lepre,
la vecchia lepre puzza,
è roba da quaresima!
Ma se la lepre è vecchia,
l’appetito non s’aguzza,
che quella puzza da troppa pezza!
Romeo, andiamo a casa da tuo padre? Andiamo tutti lì a mangiare.
ROMEO
Ti seguo.
MERCUZIO
Addio, mia antica signora, addio, “addio mia bella signora…”
Escono Mercuzio e Benvolio.
NUTRICE
Ditemi, di grazia, signore, che osceno mercante era costui, così pieno di quella sua merce da forca?
ROMEO
È un gentiluomo, nutrice, che ama sentirsi parlare, capace di dire più parole in un minuto di quante è disposto ad ascoltarne in un mese.
NUTRICE
Se crede di sparlare di me, lo rimetterò al suo posto, fosse anche più forte di quello che si crede, e di altri venti sbruffoni come lui. E se non son buona io, troverò qualcun altro. Volgare furfante, non sono una delle sue sgualdrine, io, non sono uno della sua banda!
Si volta verso Pietro, il servo.
E tu, te ne stai lì, e lasci che ogni farabutto mi maltratti a piacer suo!
PIETRO
Non ho visto nessuno trattarti per il suo piacere; se l’avessi visto avrei tirato fuori la spada. Vi garantisco che so estrarre anch’io come gli altri, se capita l’occasione giusta e con la legge dalla mia.
NUTRICE
Dio m’è testimone, sono così arrabbiata che mi sento tremar tutta quanta. Farabutto, villano. Vi prego, signore, una parola – come vi ho già detto, la mia padroncina mi aveva mandata a cercarvi: quello che mi aveva detto di dirvi non ve lo posso dire, ma lasciate che vi dica subito una cosa: se avete intenzione di condurla, come si dice, in un paradiso di matti, vi comportereste, come dire, da vero mascalzone, perché lei è ancora una bambina. E perciò, essere doppi con lei, sarebbe trattar male una vera signora, e vi comportereste in modo davvero vigliacco.
ROMEO
Nutrice, raccomandami alla tua signora e padrona. E ti assicuro…
NUTRICE
Che buon cuore, vi garantisco che le dirò tutto. Mio Dio, mio Dio, sarà una donna felice!
ROMEO
Cosa le dirai, balia? Non mi stai a sentire.
NUTRICE
Le dirò, signor mio, che assicurate – il che, immagino, è promessa di gentiluomo.
ROMEO
Dille che trovi un qualche mezzo per recarsi nel pomeriggio da Fra Lorenzo, per confessarsi, e lui, nella sua cella, la confesserà e ci sposerà. Ecco, tieni, per il tuo disturbo.
NUTRICE
No, signore, davvero, neanche un soldo.
ROMEO
Su, tieni ti dico.
NUTRICE
Questo pomeriggio, allora? Sarà lì.
ROMEO
E tu, buona nutrice, piazzati dietro il muro del convento.
Tra un’ora ci sarà un mio uomo, con una scala di corda,
e su quella gomena salendo, nel segreto della notte,
arriverò al pennone della mia gioia.
Addio, sii fedele, e ricompenserò le tue fatiche.
Addio, ricordami alla tua padrona.
NUTRICE
Che Dio in cielo vi benedica. Ancora una parola.
ROMEO
Cosa c’è ancora, mia cara nutrice?
NUTRICE
È fidato il vostro uomo? Non avete mai sentito
che due san tenere un segreto, se ne togli uno?
ROMEO
Vi assicuro, il mio uomo è sicuro come l’acciaio.
NUTRICE
Bene, signore, perché la mia padroncina è la più dolce delle ragazze. Mio Dio, bisogna averla vista quando biascicava le sue prime parole… – Ah, c’è un gentiluomo, in città, un certo Paride, che per lei tirerebbe subito fuori il coltello, ma lei, poverina, preferirebbe aver davanti un rospo, davvero, un rospo, piuttosto che lui. A volte la faccio andare in bestia, che le dico che Paride è il partito migliore, ma vi assicuro che quando le dico così lei mi si sbianca tutta, mi diventa come un lenzuolo. Non è che Romeo e Rosmarino cominciano con la stessa lettera?
ROMEO
Certo, cominciano tutt’e due con la “r”. E allora?
NUTRICE
Ah, birbante, quello è il verso del can che ringhia, e can che abbaia non morde il cu… No, no, quello comincia con un’altra lettera… Ah, lei è bravissima nei giochi, ha messo insieme voi e il rosmarino… vi piacerebbe tanto sentirla.
ROMEO
Ricordami alla tua signora. (Esce Romeo.)
NUTRICE
Sì, mille volte. Ehi, Pietro!
PIETRO
Eccomi.
NUTRICE
Su, fai strada, muoviti. Escono.
ATTO SECONDO – SCENA QUINTA
Entra Giulietta.
GIULIETTA
Battevano le nove quando ho mandato la nutrice.
Aveva promesso di tornare in mezzora.
Forse non l’ha trovato. No, non è possibile.
È una povera zoppa!
I pensieri dovrebbero essere messaggeri d’amore,
loro che scivolano dieci volte più rapidi dei raggi del sole
quando cacciano le ombre sui fianchi delle colline.
Perciò Amore è tirato da colombe dalle ali veloci,
perciò Cupido, veloce come il vento, possiede le ali.
Il sole è adesso sul più alto colle del suo percorso,
dalle nove alle dodici tre lunghe ore sono passate,
e lei non torna. Avesse gli affetti e il sangue caldo della gioventù,
si muoverebbe veloce come una palla:
le mie parole la lancerebbero al mio dolce amore,
e le sue la ribatterebbero a me. Ma ai vecchi, molte volte,
piace apparire morti, incerti, lenti, pesanti,
lividi come il piombo.
Entrano la Nutrice (e Pietro).
Oh Dio, eccola che arriva! Oh, dolce balia, che notizie mi porti?
L’hai trovato? Manda via quell’uomo.
NUTRICE
Pietro, aspettami fuori. (Esce Pietro.)
GIULIETTA
E ora, dolce, cara balia, … oh Dio, ma perché hai quell’aria triste?
Anche se le notizie sono tristi,
dammele almeno con un volto allegro!
E se sono belle, tu sciupi la loro dolce musica
suonandomela con quella faccia.
NUTRICE
Non ne posso più, lasciami tirare il fiato, accidenti!
Le mie ossa son tutte un dolore! Che trottata!
GIULIETTA
Ti darei le mie ossa, se tu mi dessi le tue notizie.
Su, da brava, parla, ti prego, buona, buona balia.
NUTRICE
Gesù, che fretta! Non puoi aspettare un momento?
Non vedi che mi manca il fiato?
GIULIETTA
Come fa a mancarti il fiato, se hai fiato abbastanza
per dirmi che sei senza fiato? Le scuse per i tuoi indugi
sono più lunghe di quello che ti scusi di non potermi dire.
Le notizie son buone o cattive? Dì una parola soltanto, sì o no,
e poi potrò aspettare i particolari. Contentami:
buone o cattive?
NUTRICE
La fai semplice, tu, colle tue scelte. Non sei nean-che buona a sceglierti un uomo! Romeo? No, no, non è per te! La faccia, sì, è bella, più di quella di tanti altri, e anche le gambe, son più dritte, e quanto poi alle mani, i piedi, il corpo tutto, anche se non se ne dovrebbe parlare, sono senza paragone. Certo non è il fior fiore della cortesia, anche se, posso garantirlo, è docile come un agnello. Va’ pur per la tua strada, bambina, per far piacere a dio, …ma avete già mangiato in questa casa?
GIULIETTA
No, no! Ma tutte queste cose le sapevo già.
Che ha detto del matrimonio? Su, cos’ha detto?
NUTRICE
Oh Dio, la mia testa! Che male! Mi martella tutta dentro
come se si dovesse rompere in mille pezzi!
E la schiena, poi, ahi, la mia schiena! La schiena!
Ci vuole un bel cuore a mandarmi in giro così,
a morire a forza di correre su e giù!
GIULIETTA
Mi spiace, davvero, che tu non stia bene.
Mia dolce, dolce, dolcissima balia, dimmi,
su, cosa dice il mio amore?
NUTRICE
Il tuo amore, da vero gentiluomo, dice,
come s’addice a un uomo cortese, gentile, bello
e, posso garantirlo, virtuoso,… dov’è tua madre?
GIULIETTA
Mia madre? È in casa, dove dovrebbe essere?
Perché dai queste risposte strane? “Il tuo amore,
da vero gentiluomo, dice dov’è tua madre?”
NUTRICE
O cara madre di Dio, come vi scaldate!
Abbiate pazienza, su!
Sarebbe questo il balsamo per le mie ossa doloranti?
D’ora in avanti, i messaggi, te li porterai da sola!
GIULIETTA
Quante storie fai! Su, cosa dice Romeo?
NUTRICE
Avete avuto il permesso oggi d’andare a confessarvi?
GIULIETTA
Sì.
NUTRICE
Allora andate in fretta alla cella di Fra Lorenzo.
Li c’è un marito che vuole farvi sua sposa.
Ecco, il sangue caldo vi sale alle guance.
Diventano scarlatte a qualsiasi notizia. Correte in chiesa, su,
io devo andare da un’altra parte, a trovare una scala,
così che il tuo amore, appena buio, potrà arrampicarsi
nel nido di passera. E io faccio il facchino
che si spezza in due per farvi divertire.
Ma stanotte il peso ce l’avrai tu addosso!
Va, io vado a mangiare qualcosa, tu corri in chiesa.
GIULIETTA
Corro verso la felicità! Onesta balia, addio! Escono.
ATTO SECONDO – SCENA SESTA
Entrano il Frate (Lorenzo) e Romeo.
FRATE LORENZO
Sorrida il cielo a questa sacra cerimonia, e che le ore future
non debbano rimproverarci con qualche dolore.
ROMEO
Amen, amen. Venga pure qualsiasi dolore,
conterà meno della gioia
che mi dà un solo minuto della sua presenza.
Tu unisci con parole sacre le nostre mani,
poi la morte, che divora gli amori,
faccia pure ciò che vuole:
mi basta poterla chiamare mia.
FRATE LORENZO
Queste gioie violente hanno fini violente.
Muoiono nel loro trionfo, come la polvere da sparo e il fuoco,
che si consumano al primo bacio.
Il miele più dolce diventa insopportabile
per la sua eccessiva dolcezza: assaggiato una volta,
ne passa per sempre la voglia.
Amatevi dunque moderatamente, così dura l’amore.
Chi ha troppa fretta arriva tardi come chi va troppo piano.
Entra Giulietta un po’ in fretta e abbraccia Romeo.
Ecco la sposa. Oh, un piede così leggero non consumerà mai
la pietra che dura per sempre.
Chi ama riesce a cavalcare il filo d’una ragnatela oscillante
nella gioiosa aria d’estate, senza mai cadere:
leggera è la vanità!
GIULIETTA
Buona sera al mio padre spirituale!
FRATE LORENZO
Figliola, Romeo ti ringrazierà anche per me!
GIULIETTA
Ed io ringrazio lui, se no avrà troppo da ringraziare.
ROMEO
Ah, Giulietta, se la misura della tua gioia è colma come la mia,
ma con più arte di me sai esprimerla a parole,
allora rendi dolce col tuo fiato l’aria che ci circonda,
e lascia che la tua lingua, ricca di musica,
sveli quale felicità fantastica riceviamo
l’uno dall’altro in questo caro incontro.
GIULIETTA
L’immaginazione, più ricca di cose che di parole,
va orgogliosa della sua sostanza, non degli ornamenti.
Solo i pezzenti sono in grado di contare le loro ricchezze,
il mio amore sincero è invece così cresciuto a dismisura
che non arrivo a contare neanche la metà del mio tesoro.
FRATE LORENZO
Su, su, venite con me, dobbiamo fare in fretta,
non vi dispiaccia, ma non posso lasciarvi soli
finché la Santa Chiesa non abbia fatto, di due, una persona.
(Escono.)
Romeo e Giulietta
(“Romeo and Juliet” – 1594 – 1595)
Introduzione – Riassunto
Atto I
Atto II
Atto III
Atto IV
Atto V