(“Romeo and Juliet” – 1594 – 1595)
Introduzione – Riassunto
Atto I
Atto II
Atto III
Atto IV
Atto V
Introduzione al teatro di Shakespeare
Elenco opere teatrali
ATTO TERZO – SCENA PRIMA
Entrano Mercuzio, Benvolio e dei servitori.
BENVOLIO
Ti prego, buon Mercuzio, ritiriamoci.
La giornata è calda, i Capuleti sono in giro,
se ci incontriamo non eviteremo uno scontro,
perché in queste giornate torride di sangue, insensato, ribolle.
MERCUZIO
Mi sembri uno di quei tizi che, non appena hanno oltrepassato la porta d’una taverna, sbattono la spada sul tavolo e dicono “Voglia Dio che non abbia bisogno di te!”, e poi, sotto l’effetto del secondo bicchiere, la puntano contro il cameriere senza che ce ne sia bisogno…
BENVOLIO
Assomiglio a un tipo del genere?
MERCUZIO
Su, su, che quando sei d’un certo umore hai una testa calda quali altre non ce n’è, in Italia; tanto facile al cattivo umore, quanto d’umor pronto a eccitarti subito.
BENVOLIO
E per che cosa?
MERCUZIO
Per niente: ci fossero al mondo due come te, in un attimo non ce ne sarebbero più nemmeno uno, perché l’uno ammazzerebbe l’altro. Tu? Che diamine, litigheresti con qualcuno solo perché ha un pelo in più o in meno di te nella barba. Tu litigheresti con qualcuno perché sta spaccando delle noccioline, e senza altra ragione se non che tu hai gli occhi nocciola. E quale occhio, se non il tuo, sarebbe capace di vedere un simile motivo di lite? Hai la testa così piena di litigiosità come un uovo di virtù nutritive, ma te l’hanno così sbattuta che è marcita come un uovo, con tutte le tue risse. Tu hai litigato con uno perché tossendo, per strada, aveva svegliato il tuo cane che se ne dormiva al sole. Non ti sei forse irritato con un sarto perché indossava una giubba nuova di Quaresima; e con un altro perché aveva messo stringhe vecchie alle scarpe nuove? E con tutto questo tu vorresti darmi consigli, tenermi lontano dalle liti!
BENVOLIO
Se io fossi così pronto a litigare come te, chiunque sarebbe disposto a comprare il feudo della mia esistenza pagandomi semplicemente per un’ora e un quarto di vita.
MERCUZIO
Semplicemente! Che semplicione!
Entrano Tebaldo, Petruccio ed altri.
BENVOLIO
Per la mia testa, ecco che arrivano i Capuleti.
MERCUZIO
Per i miei tacchi, non me ne frega niente!
TEBALDO
Statemi vicino, voglio parlar con loro.
Buona sera, signori: posso dire una parola a uno di voi?
MERCUZIO
Una parola sola a uno solo? Aggiungeteci qualcos’altro, fate una parola e un colpo.
TEBALDO
Mi troverete dispostissimo, signore, se me ne date l’occasione.
MERCUZIO
Non sapete prendervela da solo, senza che qualcuno ve la debba dare?
TEBALDO
Mercuzio, tu fai gruppo con Romeo.
MERCUZIO
Gruppo? Per chi ci hai preso, per dei suonatori? Prendici pure per dei suonatori, ma attento, sentirai solo stonature. Ecco qua l’archetto del mio violino, ecco quello che ti farà ballare. Per Dio, “gruppo”!
BENVOLIO
Stiamo parlando in un luogo pubblico.
O ci ritiriamo in qualche luogo appartato,
O ragioniamo con calma delle nostre lagnanze,
oppure separiamoci. Qui siamo sotto gli occhi di tutti.
MERCUZIO
Gli occhi degli uomini son fatti per guardare, guardino pure.
Non mi sposto certo per i begli occhi di nessuno, io.
Entra Romeo.
TEBALDO
Bene, la pace sia con voi, signore, ecco che arriva il mio uomo.
MERCUZIO
Mi possano impiccare, signore, se indossa la vostra livrea.
Su, forza, scendete per primo in campo, vedrete come vi seguirà.
Solo allora vostra signoria potrà chiamarlo davvero un suo “uomo”!
TEBALDO
Romeo, l’affetto che ti porto non mi permette di dirti
cosa più garbata di questa: sei un farabutto!
ROMEO
Tebaldo, i motivi che ho per amarti
attenuano molto la giusta rabbia suscitata
dal tuo saluto: non sono un farabutto, e perciò addio.
M’accorgo che non mi conosci bene.
TEBALDO
Ragazzo, questo non scusa le offese che mi hai fatto,
voltati ed estrai la spada.
ROMEO
Ti garantisco che non ti ho mai offeso,
anzi, ti voglio più bene di quanto tu possa immaginare
sinché non ne avrai saputo la ragione.
E così, buon Capuleti, il cui nome mi è caro quanto il mio,
ritienti soddisfatto.
MERCUZIO
Che fredda, disonorevole, ignobile resa:
Una stoccata può cancellarla! (Estrae la spada.)
Tebaldo, tu, acchiappatopi, mi vuoi seguire?
TEBALDO
Cosa vorresti da me?
MERCUZIO
Buon Re dei Gatti, mi basta una delle tue nove vite. Con quella intendo prendermi delle libertà, poi, a seconda di come ti sarai comportato, vedrò come picchiare le altre otto. Vuoi prendere la tua spada per le orecchie e farla uscire dal suo giaccone? Fai in fretta, o la mia ti farà ronzare le orecchie ancor prima che la tua sia fuori.
TEBALDO
A tua disposizione. (Sguaina la spada.)
ROMEO
Caro Mercuzio, metti via la spada.
MERCUZIO
Avanti, signore, il vostro affondo! (Combattono.)
ROMEO
Fuori la spada, Benvolio, facciamogli abbassare le armi.
Signori, vergognatevi, smettete questo scandalo! Tebaldo! Mercuzio!
Il Principe ha espressamente proibito questi scontri
per le strade di Verona. Fermati, Tebaldo! Buon Mercuzio!
Tebaldo colpisce Mercuzio passando sotto il braccio di Romeo.
UNO DEL SEGUITO
Fuggi, Tebaldo.
Tebaldo esce (col suo seguito).
MERCUZIO
Sono ferito.
Siano maledette le vostre due famiglie. Sono spacciato.
Lui se ne scappa così, illeso?
BENVOLIO
Come, sei ferito?
MERCUZIO
Sì, sì, un graffio, un graffio. Ma, per Dio, è quello che basta.
Dov’è il mio paggio? Corri, stupido, chiama un medico.
(Esce il paggio.)
ROMEO
Coraggio, amico mio, non può essere tanto grave.
MERCUZIO
No, non è profondo come un pozzo, e un portale d’una chiesa è più largo, però può bastare, non occorre altro. Chiedete di me domani, e vi risponderò dal profondo. Son già condito a puntino per questa terra, ve l’assicuro. Siano maledette le vostre famiglie! Per Dio, un cane, un topo, un sorcio, un gatto, ed ecco un uomo graffiato a morte. Un fanfarone, un furfante, un mascalzone, uno che combatte con in mano il manuale, – perché diavolo ti sei messo in mezzo? Mi ha colpito passando sotto il tuo braccio.
ROMEO
Pensavo d’agire per il meglio.
MERCUZIO
Benvolio, aiutami a trovare una casa,
altrimenti svengo. Maledette le vostre due famiglie,
mi hanno ridotto a carne per i vermi.
Me la son proprio beccata, e dura anche! Maledette le famiglie!
Escono (Mercuzio con Benvolio).
ROMEO
Questo gentiluomo, parente stretto del Principe
e mio caro amico, per colpa mia è stato ferito a morte.
Il mio onore è stato macchiato dall’offesa di Tebaldo,
da quel Tebaldo che da solo un’ora è mio parente.
O dolce Giulietta, la tua bellezza m’ha reso femmina
e ha indebolito nella mia tempra l’acciaio del coraggio.
Entra Benvolio.
BENVOLIO
Oh Romeo, Romeo, il bravo Mercuzio è morto,
il suo spirito generoso, che troppo immaturamente
aveva disprezzato la terra, è giunto tra le nuvole.
ROMEO
La nera sorte di questo giorno ne sovrasta molti altri,
segna l’inizio d’una sofferenza che altri giorni compiranno.
Entra Tebaldo.
BENVOLIO
Ecco il furioso Tebaldo che torna indietro.
ROMEO
Eccolo qui, trionfante, e Mercuzio è morto.
Tornatene in cielo rispettosa dolcezza, e guidami tu, ora,
furore dagli occhi infuocati! Su, Tebaldo,
riprenditi quel “vile” che mi hai dato poco fa,
l’anima di Mercuzio è ancora qui vicino, sopra le nostre teste;
aspetta che la tua vada a farle compagnia.
Tu o io, o tutti e due, dobbiamo raggiungerla presto.
TEBALDO
Tu, maledetto ragazzo, che facevi gruppo con lui qui,
andrai a farlo anche di là.
ROMEO
Questa deciderà.
Combattono. Tebaldo cade.
BENVOLIO
Fuggi, Romeo, scappa. Sta arrivando gente,
Tebaldo è morto! Non rimanere lì imbambolato.
Il Principe ti condannerà a morte,
se ti fai prendere. Su, fuggi, scappa!
ROMEO
Ah, sono il buffone del destino!
BENVOLIO
Perché ti attardi? Esce Romeo.
Entrano dei cittadini.
CITTADINO
Dov’è scappato chi ha ucciso Mercuzio?
Tebaldo, l’assassino, dov’è scappato?
BENVOLIO
Eccolo, è lì, steso per terra.
CITTADINO
Su, signore, venite con me.
In nome e per ordine del Principe, obbedite.
Entrano il Principe, Montecchi, Capuleti, le loro mogli e tutti.
PRINCIPE
Dove sono i vili che han dato inizio a questa rissa?
BENVOLIO
Oh nobile Principe, posso rivelarvi io
tutto il corso sciagurato di questo scontro fatale.
Ecco, lì, giace l’uomo, ucciso a sua volta dal giovane Romeo,
che ha ucciso il valoroso Mercuzio, vostro parente.
DONNA CAPULETI
Tebaldo, mio nipote! Il figlio di mio fratello!
O Principe, o marito, oh, ecco il sangue versato
del mio caro nipote. Principe, se sei giusto,
fa che per il sangue versato dai nostri
sia ora sparso il sangue dei Montecchi.
Nipote… nipote mio…
PRINCIPE
Benvolio, chi ha dato inizio a questa rissa sanguinosa?
BENVOLIO
Tebaldo, che è poi morto, ucciso dalla mano di Romeo,
di quel Romeo che gli stava parlando gentilmente,
e lo invitava a riflettere su che lite da nulla fosse,
ricordandogli quanto grande sarebbe stato il vostro dispiacere.
E tutto questo, detto con parole gentili, con sguardo calmo,
con le ginocchia umilmente piegate, non, riuscì a calmare
la rabbia sfrenata di Tebaldo che, sordo alla pace,
col suo acciaio tagliente mira al petto del coraggioso Mercuzio,
il quale, con uguale furore, risponde colpo su colpo mortale,
e, con sprezzo da soldato, con una mano svia da sé la fredda morte
mentre con l’altra la rimanda a Tebaldo,
la cui destrezza, a sua volta, la respinge.
Romeo grida ad alta voce “Fermi, amici, dividetevi”
e più veloce della lingua, il suo agile braccio
riesce a far abbassare le loro lame mortali,
passando in mezzo a loro.
Ma, sotto il suo braccio, un colpo maligno di Tebaldo
toglie la vita al coraggioso Mercuzio.
Tebaldo fugge, ma poco dopo torna indietro,
e punta su Romeo che aveva appena giurato vendetta.
E verso la vendetta si precipitano entrambi come fulmini:
prima ancora che potessi estrarre la spada per dividerli,
il forte Tebaldo è ucciso, e Romeo,
vistolo cadere, si volge e fugge.
Questa è la verità, o muoia Benvolio.
DONNA CAPULETI
Costui è un parente dei Montecchi. L’affetto lo rende falso.
Non dice la verità. Almeno venti dei loro uomini
devono aver lottato in questo scontro funesto,
tutti e venti per uccidere una sola vita.
Chiedo una giustizia che tu, Principe, devi darmi.
Romeo ha ucciso Tebaldo. Romeo non deve vivere.
PRINCIPE
Romeo lo ha ucciso, ma lui aveva ucciso Mercuzio.
Ora chi pagherà il prezzo del suo caro sangue?
MONTECCHI
Non certo Romeo, Principe, era amico di Mercuzio.
Il suo crimine ha solo concluso ciò che la giustizia
avrebbe dovuto finire, la vita di Tebaldo.
PRINCIPE
E per la sua colpa lo condanniamo immediatamente all’esilio.
Sono stato coinvolto io stesso nelle passioni dei vostri cuori,
Del mio sangue è stato sparso per le vostre crudeli contese.
Vi farò pagare le spese a un prezzo così salato
che vi dovrete tutti pentire per la mia grave perdita.
E sarò sordo a suppliche e a scuse,
lacrime o preghiere non potranno riscattare le trasgressioni.
Perciò non fatene uso. Romeo se ne vada subito;
se sarà trovato in giro, quella sarà la sua ultima ora.
Portate via questo corpo ed attenetevi ai miei voleri.
La pietà è assassina se perdona chi ha ucciso. Escono.
ATTO TERZO – SCENA SECONDA
Entra Giulietta, da sola.
GIULIETTA
Galoppate, destrieri dai piedi di fuoco,
verso la casa di Febo. Un cocchiere come Fetonte
vi avrebbe già frustato, spingendovi verso occidente,
per far calare di colpo una notte coperta di nubi.
E tu, notte, che metti in scena l’amore,
stendi il tuo fitto sipario,
che fa chiudere gli occhi anche ai vagabondi,
così che Romeo, senza che nessuno lo veda o ne parli,
possa saltare tra queste braccia.
Basta agli amanti la reciproca bellezza
per illuminare i riti d’amore;
o, se l’amore è cieco, meglio s’accorda alla notte.
Vieni, dunque, notte severa, signora dall’abito sobrio,
tutta in nero, e insegnami a perdere una partita già vinta,
là dove sono in palio due verginità immacolate.
Così col tuo mantello nero di sangue inesperto
che mi assale le guance, così che l’amore mai sperimentato
cresca in audacia, e senta il sincero atto d’amore
come semplice modestia. Vieni, notte!
E vieni, Romeo, vieni, giorno nella notte,
tu che giacerai sulle ali della notte
più bianco della neve fresca sulla groppa di un corvo.
Vieni, notte gentile, vieni notte amorosa dalle nere ciglia,
dammi il mio Romeo, e quando sarò morta
prendilo e taglialo in tante piccole stelle:
egli renderà così bello il volto del cielo
che tutti al mondo s’innamoreranno della notte
e non pregheranno più il sole chiassoso.
Oh, sono riuscita a comprare il palazzo dell’amore,
ma non ancora a venirne in possesso,
e sebbene venduta, non sono ancora stata goduta.
Mi è così noioso questo giorno,
come la sera di vigilia d’una festa a una bambina impaziente,
che ha già i vestiti nuovi ma non può ancora indossarli.
Ah, ecco che arriva la balia.
Entra la Nutrice con delle corde, torcendosi le mani.
E mi porta notizie: ogni lingua che dica
anche il solo nome di Romeo mi pare d’un’eloquenza divina.
E allora, balia, che notizie? Che cos’hai lì?
Le corde che Romeo t’ha detto di andare a prendere?
NUTRICE
Sì, sì, le corde.
GIULIETTA
Povera me, che notizie? Perché ti torci le mani?
NUTRICE
Ah, che giornata! È morto, è morto, è morto!
Siamo rovinate, signora mia, rovinate!
Giorno maledetto, se n’è andato, ucciso, morto!
GIULIETTA
Può il cielo essere così invidioso?
NUTRICE
Il cielo no, ma Romeo si. Oh Romeo, Romeo,
chi l’avrebbe mai pensato? Ah, Romeo!
GIULIETTA
Che demonio sei tu che mi tormenti così?
Questa tortura dovrebbe ruggire nello squallido inferno!
Si è ucciso Romeo? Dimmi solo un “sì”
e quel semplice suono sarà un veleno più potente
dell’occhio assassino d’un basilisco.
Non sarò più me stessa se ci sarà quel “sì”,
o se si sono chiusi quegli occhi che ti han fatto rispondere “sì”.
Se lui è morto, dì “sì”, altrimenti “no”:
questi brevi suoni decidano la mia gioia o il mio dolore.
NUTRICE
Io l’ho vista la ferita, l’ho vista coi miei occhi,
– Dio ci protegga! -, proprio lì, sul suo petto robusto.
Un cadavere da far pietà, un misero cadavere sanguinolento,
Livido, color cenere, lordo di sangue, un grumo rappreso.
Sono svenuta a vederlo!
GIULIETTA
Oh spezzati, cuore mio! Povero fallito,
spezzati subito! E voi, occhi miei, in prigione;
non vedrete mai più la libertà! Tu, povera terra,
ritorna alla terra; smetti qui ogni movimento,
e assieme a Romeo premi un’unica bara!
NUTRICE
Oh Tebaldo, Tebaldo, il miglior amico che avevo!
Oh cortese Tebaldo, onorevole gentiluomo!
Che io dovessi vivere per vedere te morto!
GIULIETTA
Che bufera è mai questa, che infuria con venti così contrari?
È stato assassinato Romeo e Tebaldo è morto?
II mio più caro cugino e il mio sposo ancor più caro?
La terribile tromba suoni allora il giudizio universale,
perché chi è più vivo, se son morti quei due?
NUTRICE
Tebaldo è morto, Romeo esiliato.
Romeo, che l’ha ucciso, è condannato all’esilio.
GIULIETTA
Oh Dio, è stato Romeo a spargere il sangue di Tebaldo?
NUTRICE
Sì, lui, lui! Maledetto questo giorno, lui!
GIULIETTA
Oh cuor di serpente nascosto sotto un volto fiorito.
Ebbe mai un drago una grotta così bella?
Stupendo tiranno! Angelico demonio!
Corvo con penne di colomba! Agnello vorace come un lupo!
Materia spregevole dall’aspetto divino!
Sei il giusto contrario di ciò che giustamente sembravi,
un santo dannato, un mascalzone onorato! Oh natura,
cosa facevi all’inferno, quando hai incastonato
lo spirito d’un demonio dentro il paradiso mortale
d’un corpo così dolce? C’è mai stato un libro pieno
di cose tanto vili, rilegato in modo così bello?
Ah, può dunque abitare l’inganno in un palazzo così sontuoso?
NUTRICE
Non c’è più lealtà, non c’è più fede né onore tra gli uomini:
tutti spergiuri, bugiardi, malvagi e ipocriti!
Ah, dov’è il mio servo? Dammi dell’acquavite.
Tutti questi dolori, queste pene, queste disgrazie,
mi fanno invecchiare. La vergogna cada su Romeo!
GIULIETTA
Ti s’infetti la lingua per questo augurio!
Lui non è nato per la vergogna.
La vergogna si vergogna di stargli in fronte,
perché è un trono, quello, dove l’onore
può essere incoronato monarca assoluto
del mondo intero! Ah, che bestia sono stata
a imprecare contro di lui!
NUTRICE
Vuoi parlare bene di chi ha ucciso tuo cugino?
GIULIETTA
E dovrei parlar male di chi ho sposato?
Oh, povero mio signore, quale lingua carezzerà mai il tuo nome
se io, che t’ho sposato da sole tre ore, ne ho già fatto scempio?
Ma tu perché, cattivo, hai ucciso mio cugino?
Quel cattivo di mio cugino voleva uccidere il mio sposo.
Fermatevi allora, stupide lacrime, ritornate alla vostra sorgente!
Le vostre gocce sono una giusta offerta al dolore,
e voi, sbagliando, le offrite alla gioia. È vivo mio marito,
che Tebaldo avrebbe voluto uccidere, ed è morto Tebaldo,
che avrebbe voluto uccidere mio marito.
Tutto questo è conforto. E allora perché piango?
È stata detta una parola peggiore della morte di Tebaldo,
e mi ha ucciso. Vorrei dimenticarla, ma, ahimè,
pesa sulla mia memoria come un orrendo delitto
sull’anima del colpevole. Tebaldo è morto e Romeo… esiliato.
Quell'”esiliato”, quell’unica parola “esiliato”
ha ucciso diecimila Tebaldi. La morte di Tebaldo
sarebbe stata già un gran dolore, se tutto fosse finito lì.
O se l’amaro dolore si delizia d’aver compagnia,
e ha bisogno di trovarsi con altre pene,
perché allora, dopo aver detto “Tebaldo è morto”,
non ha continuato con “E tuo padre” e “tua madre”,
o “sono morti entrambi”?
Sarebbero seguite le lamentazioni d’obbligo;
ma se la morte di Tebaldo si tira dietro come retroguardia
un “Romeo è esiliato”, con questa sola parola
padre, madre, Tebaldo, Romeo e Giulietta
sono tutti uccisi, sono già morti. “Romeo è esiliato!”
Non c’è fine, non c’è limite, misura, confine,
alla morte che porta questa parola.
E non c’è parola che possa dire questo dolore.
Balia, dove sono mio padre e mia madre?
NUTRICE
A piangere e a lamentarsi sul corpo di Tebaldo.
Vuoi andar da loro? Ti ci accompagnerò io.
GIULIETTA
Lavano le sue ferite con le lacrime? Le mie lacrime
scorreranno ancora quando le loro saranno finite,
perché Romeo è stato mandato in esilio.
Raccogli quelle corde, poverette, son state illuse anche loro,
come me, perché Romeo è in esilio.
Vi ha fatte per servire da strada verso il mio letto:
ma io, ragazza, muoio vedova e vergine.
Venite, corde, vieni, balia, vado al mio letto nuziale
e la morte, non Romeo, prenderà la mia verginità.
NUTRICE
Corri in camera tua. Troverò io Romeo,
per consolarti. So bene dove trovarlo.
Ascoltami, il tuo Romeo sarà qui stanotte.
Vado da lui. t nascosto nella cella di Fra Lorenzo.
GIULIETTA
Oh, trovalo, dà questo anello al mio cavaliere fedele,
e ordinagli di venire a prendersi l’ultimo addio. Escono.
ATTO TERZO – SCENA TERZA
Entra il Frate (Lorenzo).
FRATE LORENZO
Romeo, vieni avanti, vieni avanti, tu, uomo fatale.
Il dolore s’è innamorato delle tue qualità,
e tu hai sposato la sventura.
Entra Romeo.
ROMEO
Padre, che notizie ci sono? Cos’ha deciso il Principe?
Quale dolore desidera stringermi la mano
che io non abbia già conosciuto?
FRATE LORENZO
Il mio caro figliuolo conosce fin troppo bene
tale trista compagnia.
Ti porto notizie della sentenza del Principe.
ROMEO
È forse il suo giudizio più lieve di quello universale?
FRATE LORENZO
Una sentenza più mite è uscita dalle sue labbra:
non la morte del corpo, ma l’esilio di un corpo.
ROMEO
Ah, l’esilio! Siate pietoso e dite “morte”.
Lo sguardo dell’esilio incute molto, molto più terrore
della morte stessa! Non dite “esilio”.
FRATE LORENZO
Ecco, da questo momento sei bandito da Verona.
Abbi pazienza, il mondo è grande, è vasto.
ROMEO
Non c’è mondo fuori dalle mura di Verona,
se non purgatorio, sofferenza, anzi, l’inferno stesso.
Essere bandito da qui significa esser bandito dal mondo,
ed esser bandito dal mondo significa morte.
Esilio è solo un altro nome per morte e tu,
chiamando la morte esilio, mi tagli la testa
con una scure d’oro per sorridere poi
al colpo che mi uccide.
FRATE LORENZO
Oh peccato mortale, oh nera ingratitudine!
La legge chiama morte la tua colpa,
ma il Principe, generoso, favorendoti, l’ha messa da parte,
e ha mutato quella nera parola “morte” in esilio.
Questa è affettuosa clemenza, e tu non lo vedi.
ROMEO
È tortura, non clemenza. Il cielo è qui,
dove vive Giulietta, e qualsiasi cane, gatto, minuscolo topo,
qualunque altra cosa insignificante, vive qui, in questo cielo,
e può vedere Giulietta, ma Romeo non può.
C’è più riguardo, più rispetto, più cortesia
per una mosca che vola intorno a un cadavere che per Romeo.
La mosca può toccare quella meraviglia bianca
che e la mano della cara Giulietta,
può rubare una gioia immortale da quelle sue labbra
Che, nella loro modestia virginale, la fanno ancora arrossire,
credendo il loro baciarsi un peccato.
Ma Romeo no, lui non può, è esiliato.
Le mosche possono far questo, io ne devo fuggire.
Loro sono creature libere, io sono esiliato.
E continui a dire che l’esilio non è morte?
Non hai un intruglio velenoso, un coltello ben affilato,
uno strumento veloce di morte, per quanto vile,
se non questo “esilio”, per uccidermi?
“Esiliato”? O Frate, è una parola che usano i dannati,
all’inferno. Urla strazianti l’accompagnano.
E tu avresti il coraggio, tu che sei un sacerdote,
un confessore d’anime, un amico dichiarato,
di straziarmi con questa parola, “esiliato’?
FRATE LORENZO
Tu stupido pazzo, ascolta quel poco che ti dico.
ROMEO
Ah, riprenderai a parlar d’esilio.
FRATE LORENZO
Ti darò un’armatura per proteggerti da quella parola,
la filosofia, il dolce latte delle avversità,
per confortarti, anche se sei in esilio.
ROMEO
Ancora quella parola? Impiccala la tua filosofia!
A meno che non possa crearmi una Giulietta, sradicare una città,
capovolgere la sentenza di un Principe, non serve a niente,
non ha potere. Non parlare più.
FRATE LORENZO
Ah, vedo allora che i pazzi non hanno orecchie.
ROMEO
E come potrebbero, se i saggi non hanno occhi?
FRATE LORENZO
Lasciami discutere con te della tua situazione.
ROMEO
Non puoi parlare di quello che non provi.
Fossi tu giovane come me, fosse Giulietta il tuo amore,
fossi tu sposato da un’ora, uccisore di Tebaldo,
innamorato come me e come me esiliato,
allora potresti parlare, potresti strapparti i capelli,
gettarti a terra come faccio io adesso
per misurare la fossa da scavarmi. Bussano.
FRATE LORENZO
Alzati, qualcuno bussa… buon Romeo, nasconditi.
ROMEO
Non io, a meno che il fiato dei miei gemiti dolorosi,
come una nebbia, mi nasconda agli occhi di chi mi cerca.
Bussano.
FRATE LORENZO
Senti come picchiano… Chi è là?… Romeo, alzati,
ti prenderanno… Aspettate un momento… Alzati. Bussano.
Corri nel mio studio… Eccomi, eccomi… Dio santo,
che sciocchezza è questa?… Vengo, vengo!… Bussano.
Che c’è da picchiare così? Chi vi manda, che volete?
NUTRICE (Da fuori.)
Fatemi entrare, e conoscerete la mia ambasciata.
Vengo da parte della mia padrona Giulietta.
FRATE LORENZO
Allora, siate la benvenuta.
Entra la Nutrice.
NUTRICE
Oh santo Frate, oh, ditemi, santo Frate,
dov’è lo sposo della mia padrona, dov’è Romeo?
FRATE LORENZO
Eccolo lì, per terra, ubriaco delle sue lacrime.
NUTRICE
Ah, lui è proprio come la mia padroncina, proprio come lei.
Oh, che armonia di dolori, che pietosa situazione!
Anche lei giace così, singhiozzando e piangendo,
piangendo e singhiozzando. E voi, alzatevi, alzatevi,
tiratevi su, se siete un uomo. Per amor di Giulietta,
per amor suo, alzatevi, state dritto.
Perché cascare in un pozzo così profondo? Romeo si alza.
ROMEO
Balia.
NUTRICE
Ah, signore, signore, la morte è la fine di tutto.
ROMEO
Hai parlato di Giulietta? Come l’ha presa?
Non mi crederà un assassino abituale,
ora che ho macchiato l’infanzia della nostra gioia
con un sangue che è quasi il suo?
Dov’è? Come sta? Cosa dice la mia sposa segreta
del nostro amore cancellato?
NUTRICE
Ah, non dice niente, signore, ma non fa altro che piangere,
ora si getta sul letto, poi si tira su, e chiama Tebaldo,
e poi piange per Romeo, e poi di nuovo sul letto.
ROMEO
Ah, è come se quel nome,
sparato dalla bocca mortale d’un cannone,
la uccidesse, come la mano maledetta
di quel nome ha ucciso il suo parente.
Ma dimmi, Frate, dimmi,
in quale vile parte di questa anatomia
risiede il mio nome? Dimmelo,
ch’io possa saccheggiare l’odiosa residenza.
FRATE LORENZO
Ferma quella tua mano disperata! Sei un uomo?
Il tuo aspetto grida di sì, ma le tue lacrime sono da donna,
e le tue azioni selvagge mostrano la furia irrazionale
d’una bestia. Sei una donna che impropriamente indossa
le sembianze di un uomo, o una bestia incongrua,
che indossa l’apparenza d’entrambi?
Mi hai sbalordito! Sul mio sacro ordine,
pensavo il tuo carattere ben più temprato!
Hai ucciso Tebaldo? Ti vuoi suicidare,
e uccidere così la tua donna che vive della tua vita,
volgendo il tuo odio maledetto contro te stesso?
Perché maledici la tua nascita, il cielo e la terra?
Forse perché nascita, cielo e terra,
tutti e tre in un solo istante si sono incontrati in te,
tu in un solo istante tutti e tre li vuoi perdere?
Vergogna, vergogna, fai disonore al tuo corpo, al tuo amore,
al tuo spirito, tu, che come un usuraio, ricco di tutto,
non usi nulla in modo legittimo per adornare
il tuo corpo, il tuo amore, il tuo spirito.
Il tuo bel corpo è solo un manichino di cera
che si allontana dalle virtù di un uomo;
il caro amore che giuri è uno spergiuro
che uccide la donna che hai fatto voto d’amare;
e il tuo spirito, corona del corpo e dell’amore,
fallisce nel guidarli, come polvere da sparo
nella fiaschetta d’una recluta inesperta
per la tua ignoranza prende fuoco,
e sei fatto a pezzi da ciò che doveva difenderti.
Chi diamine, alzati ragazzo! La tua Giulietta,
per il cui amore un attimo fa eri morto,
è viva, e in questo sei fortunato.
Tebaldo voleva ucciderti, e invece l’hai ucciso tu.
E in questo sei fortunato.
La legge, che prometteva la morte,
ti si mostra amica e la cambia in esilio.
E in questo sei fortunato.
Un mucchio di benedizioni scende su di te,
la felicità ti corteggia col suo vestito più bello
e tu, come una ragazzetta stizzosa e testarda,
metti il broncio alla tua fortuna e al tuo amore.
Attento, attento, così si finisce male.
Adesso su, va’ dal tuo amore, com’era deciso,
sali in camera sua, va’ a consolarla.
Ma attento a non restare sino al turno di guardia,
perché allora non potresti più andare a Mantova,
dove vivrai finché troveremo il momento
per render pubblico il vostro matrimonio,
riconciliare gli amici, chieder perdono al Principe,
e farti tornare con una gioia milioni di volte più grande
del dolore col quale sei partito.
Vai avanti tu, nutrice. Ricordami alla tua padrona
e dille di far andare tutti a letto presto,
come li avrà disposti la gran pena.
Romeo verrà subito.
NUTRICE
Oh signore, sarei rimasta qua tutta la notte
a sentirvi dare buoni consigli. Che gran cosa è la cultura!
Signor mio, dirò alla padrona che state per venire.
ROMEO
Diteglielo, e dite al mio amore
che si prepari a sgridarmi.
La Nutrice fa per uscire, ma si volta indietro.
NUTRICE
Ma ecco, signore, ho qui un anello che lei mi ha ordinato di darvi.
Su, fate presto, perché si sta facendo tardi. Esce.
ROMEO
Ah, la mia speranza torna a vivere con questo.
FRATE LORENZO
Va’ allora. Buona notte. E ricordati
che la tua sorte è legata a queste cose:
o parti prima che monti la guardia, o, all’alba,
dovrai andartene travestito. Fermati a Mantova.
Io troverò il tuo servo fidato e lui ti verrà a riferire
ogni volta che qui accadrà qualcosa di buono per te.
Dammi la mano, è tardi. Addio. Buona notte.
ROMEO
Se non mi chiamasse una gioia superiore ad ogni altra,
sarebbe per me un dolore separarmi così in fretta da te.
Addio. Escono.
ATTO TERZO – SCENA QUARTA
Entrano Capuleti, Donna Capuleti e Paride.
CAPULETI
Le cose hanno preso una piega tale, signore,
che non abbiamo avuto il tempo di convincere nostra figlia.
Vedete, amava molto suo cugino Tebaldo,
e così l’amavo io. Beh, siamo tutti nati per morire.
È ormai molto tardi. Non scenderà stasera.
E vi garantisco che se non fosse per la vostra compagnia,
sarei anch’io già a letto da più d’un’ora.
PARIDE
Questi tempi di dolore non ci lasciano il tempo
di parlare d’amore. Buona notte, signora.
Ricordatemi a vostra figlia.
DONNA CAPULETI
Lo farò, e domattina presto sonderò le sue intenzioni.
Questa sera è ancora troppo chiusa nel suo dolore.
Paride fa per andarsene, ma Capuleti lo richiama.
CAPULETI
Conte Paride, oso farvi sicura promessa dell’amore di mia figlia.
Penso che si farà guidare in ogni cosa da me, anzi, ne sono sicuro.
Moglie, và da lei prima di coricarti,
rendile noto l’amore del mio nuovo figlio, Paride,
e avvisala… mi ascolti?… che mercoledì prossimo…
un momento… che giorno è oggi?
PARIDE
Lunedì, signore.
CAPULETI
Lunedì! Ah ah! Bene, mercoledi è troppo presto,
facciamo giovedì, dille che giovedì prossimo
si sposerà con questo nobile conte.
Voi sarete pronto? Vi va bene questa fretta?
Non voglio una gran festa, un amico o due,
perché, rendetevene conto, con Tebaldo appena morto,
potrebbero pensare che c’importi poco di lui,
che era un nostro parente, se facciamo una gran festa.
Facciamo cinque o sei amici e fermiamoci li.
Cosa ne dite, allora, di giovedì?
PARIDE
Mio signore, vorrei che giovedì fosse domani.
CAPULETI
Bene. Andate pure. Restiamo intesi per giovedì.
E tu va da Giulietta prima d’andare a letto, moglie,
e preparala al matrimonio. Arrivederci, signor mio.
Su, fatemi luce sino alla mia stanza!
Perbacco, è così tardi che tra un po’ diremo che è presto.
Buona notte. Escono.
ATTO TERZO – SCENA QUINTA
Entra Romeo e Giulietta in alto, alla finestra.
GIULIETTA
Vuoi già andar via? Il giorno è ancora lontano.
È stato l’usignolo, non l’allodola,
che ha colpito l’incavo del tuo orecchio timoroso.
Canta ogni notte, laggiù, su quell’albero di melograno.
Credimi, amore, era l’usignolo.
ROMEO
Era l’allodola, la messaggera del mattino, non l’usignolo.
Guarda, amore, come quelle strisce di luce invidiose
coprono di merletti le nubi che si stanno aprendo, là, a oriente.
Le candele della notte si sono consumate,
e il giorno allegro si fa avanti in punta di piedi
sulle cime nebbiose dei monti.
Debbo andarmene e vivere, oppure restare e morire.
GIULIETTA
Quella luce non è l’alba, ne son sicura, io.
È una meteora, emanata dal sole per illuminarti la strada
e scortarti, stanotte, come un servo con la torcia,
sino a Mantova. Ecco perché puoi ancora restare:
non c’è bisogno che te ne vada.
ROMEO
Mi prendano pure, mi mettano a morte,
sono contento se è questo che tu vuoi.
Dirò che quel barlume grigio non è l’occhio del mattino,
ma il pallido riflesso del viso di Cinzia;
che non è l’allodola a percuotere con le sue note la volta del cielo,
così alta sulle nostre teste.
Ho più desiderio di restare che voglia d’andarmene.
Vieni pure morte, sii la benvenuta, Giulietta vuole così.
Che c’è, anima mia? Parliamo. Non è ancora giorno.
GIULIETTA
È giorno, è giorno. Via di qui, presto, fuggi.
È l’allodola che stona in questo modo,
sforzando la sua voce a dissonanze così aspre,
ad acuti così sgradevoli. Dicono
che l’allodola sa dividere con gran dolcezza gli accordi.
Questa non lo fa, visto come ci divide.
Dicono che l’allodola e il rospo schifoso
si scambiano gli occhi.
Ah, vorrei che ora si fossero scambiate anche le voci!
Questa che sentiamo ci spaventa,
strappandoci l’uno dalle braccia dell’altra,
e ti caccia via suonando la sveglia all’alba.
Oh, vattene, adesso: c’è sempre più luce.
ROMEO
Sempre più luce, sempre più buia la nostra sofferenza.
Entra in fretta la Nutrice.
NUTRICE
Signora.
GIULIETTA
Balia?
NUTRICE
La vostra signora madre sta per venire in camera vostra.
È spuntato il giorno, siate prudenti, in guardia. (Esce.)
GIULIETTA
Allora, finestra, fa entrare il giorno e uscire la vita.
ROMEO
Addio, addio, un ultimo bacio, e scendo. Scende.
GIULIETTA
Te ne vai così? Amore, mio signore, sposo mio,
amico e amante, voglio tue notizie
per ogni giorno che sta in un’ora,
ché in ogni minuto stanno tanti giorni!
Oh, a contare così il tempo, sarò carica d’anni
prima di rivedere il mio Romeo.
ROMEO
Addio, non perderò occasione per farti avere mie notizie,
amore mio.
GIULIETTA
Oh, pensi che ci rivedremo ancora?
ROMEO
Non ho dubbi. E tutti questi dolori
saranno in futuro materia di dolci racconti.
GIULIETTA
Oh Dio, la mia anima ha brutti presagi!
Mi pare di vederti, adesso, che sei così giù in basso,
come un morto, in fondo a una tomba.
E se la mia vista non m’inganna, sei pallido.
ROMEO
Credimi, amore, anche tu, ai miei occhi, sei pallida.
Il nostro dolore, assetato, ci beve il sangue. Addio, addio. Esce.
GIULIETTA
Oh fortuna, fortuna! Tutti ti chiamano incostante:
se sei incostante, cosa te ne farai di lui,
che è famoso per la sua fedeltà?
Sii incostante, fortuna, così potrò sperare
che non lo terrai a lungo ma lo rimanderai indietro.
Entra Donna Capuleti.
DONNA CAPULETI
Ehi, figlia mia, sei già sveglia?
GIULIETTA
Chi è che mi chiama? È mia madre.
Non è ancora andata a letto o si è già alzata?
Quale strana ragione la porta qui? Si ritira dalla finestra.
DONNA CAPULETI
Ehi, come va, Giulietta?
Entra Giulietta.
GIULIETTA
Non sto bene, signora.
DONNA CAPULETI
Sempre a piangere per la morte di tuo cugino?
E che, vuoi forse riempire la sua tomba di lacrime,
e farlo galleggiar fuori? Se anche ci riuscissi,
non potresti riportarlo in vita. Smettila quindi:
un dolore ragionevole è indice di molto affetto,
ma un dolore esagerato è segno di poca saggezza.
GIULIETTA
E tuttavia lasciatemi piangere una perdita così sentita.
DONNA CAPULETI
Così facendo sentirai la perdita,
non l’amico che tanto piangi.
GIULIETTA
Sentendo la perdita, non ho scelta
se non piangere eternamente per l’amico.
DONNA CAPULETI
Via ragazza, tu piangi così non per la sua morte,
ma perché è ancora vivo quel vile che l’ha ucciso.
GIULIETTA
Quale vile, signora?
DONNA CAPULETI
Quel vile di Romeo.
GIULIETTA
Tra la viltà e lui ci sono mille miglia di distanza.
Dio lo perdoni. Io lo perdono con tutto il cuore.
Eppure, nessun altro, come lui, fa soffrire il mio cuore.
DONNA CAPULETI
È perché quel traditore assassino vive ancora.
GIULIETTA
Sì, signora, lontano dalla portata di queste mani.
Potessi io sola vendicare la morte di mio cugino.
DONNA CAPULETI
Non temere, ci vendicheremo prima o poi,
non piangere più. Manderò qualcuno a Mantova,
dove adesso vive in esilio quel rinnegato,
a dargli una tale dose inusitata di veleno
da mandarlo subito a far compagnia a Tebaldo.
Allora, spero, sarai soddisfatta.
GIULIETTA
In verità non sarò mai soddisfatta di Romeo
finché non l’avrò visto – morto –
tanto è straziato il mio povero cuore per un parente.
Signora, se voi riusciste a trovare un uomo
per portargli il veleno, vorrei prepararlo io stessa:
sarebbe tale che Romeo, dopo averlo ricevuto,
dormirebbe presto in pace.
Ah, come soffre il mio cuore a sentire quel nome
senza potergli correre incontro
per sfogare sul suo corpo d’assassino tutto l’amore
che nutrivo per mio cugino.
DONNA CAPULETI
Tu trova ciò che serve, io troverò l’uomo.
Ma adesso, ragazza, ti dirò novità gioiose.
GIULIETTA
La gioia sarebbe benvenuta, in simili circostanze.
Che novità ci sono, vi prego signora.
DONNA CAPULETI
Ecco, ecco, tu hai un padre premuroso,
bambina, uno che per tirarti fuori dalla tua oppressione
si è inventato un’improvvisa giornata d’allegria
che tu non t’aspettavi, come non potevo prevederlo io.
GIULIETTA
Signora, ben venga. E cos’è questa giornata?
DONNA CAPULETI
Allegra, figliola, che il prossimo giovedì mattina
il prode, giovane e nobile gentiluomo, il conte Paride,
nella chiesa di S. Pietro, con letizia
farà di te la sua moglie felice.
GIULIETTA
Ah, per la chiesa di S. Pietro e per S. Pietro stesso,
non farà di me la sua moglie felice.
Mi meraviglio di tutta questa fretta,
che mi vorrebbe sposata prima che corteggiata
da chi si candida alla mia mano.
Vi prego, signora, dite al mio signore e padre
che non voglio ancora sposarmi,
e quando lo volessi, giuro che sposerò Romeo,
e voi sapete che l’odio, piuttosto che Paride.
Queste sono davvero novità.
DONNA CAPULETI
Ecco che arriva vostro padre; diteglielo voi stessa,
e vedremo come la prenderà.
Entrano Capuleti e la Nutrice.
CAPULETI
Quando il sole tramonta, la terra stilla rugiada,
ma per il tramonto del figlio di mio cognato piove a dirotto.
Ragazza, che c’è, sei diventata una grondaia?
Ancora in lacrime? Sempre a diluviare?
In un piccolo corpo fingi d’essere
barca, mare e vento.
Nei tuoi occhi, che chiamerò il mare,
c’è ancora flusso e riflusso di lacrime.
Il tuo corpo è la barca, che veleggia in questo mare salato,
e i tuoi sospiri sono i venti,
che infuriando con le tue lacrime, e queste contro i venti,
travolgeranno il tuo corpo scosso dalla tempesta
senza un’improvvisa bonaccia.
E allora, moglie mia, le avete comunicato le mie decisioni?
DONNA CAPULETI
Sì, signor mio, ma, pur ringraziandovi, non le accetta.
Le starebbe bene, a questa sciocca, di sposarsi con la sua tomba!
CAPULETI
Piano. Fatemi capire, fatemi capire bene, moglie.
Come? Non accetta? Non ci ringrazia? Non ne è orgogliosa?
Non ha capito che è una fortuna, indegna com’è,
essere riusciti a convincere
un così degno gentiluomo a essere suo sposo?
GIULIETTA
Non ne sono orgogliosa, no, al più, riconoscente;
non potrei mai essere orgogliosa d’una cosa che detesto;
ma riconoscente sì, anche per ciò che detesto,
se è conseguenza del vostro affetto.
CAPULETI
Come, come, come? Fai la sofista? Che vuoi dire?
“Sono orgogliosa”, “vi ringrazio”, e “non vi ringrazio”,
e tuttavia “non lo sono”? Ehi tu, madamigella,
non darmi a bere grazie e non grazie, orgogli e non orgogli,
ma prepara i tuoi bei piedini per giovedì mattina,
per andare con Paride alla chiesa di S. Pietro,
o ti ci trascino io su una carretta.
Via, carogna anemica! Via, puttana! Faccia smunta!
DONNA CAPULETI
Via, via. E che, siete impazzito?
GIULIETTA
Buon padre, vi prego in ginocchio. Si inginocchia.
Siate così paziente da lasciarmi dire una parola.
CAPULETI
Alla forca, puttana, disgraziata ribelle!
Ascoltami bene: o vai in chiesa giovedì,
o non mi vedrai più in faccia. Non parlare,
non replicare, non osare rispondermi,
che mi prudono già le mani.
E noi, moglie, che credevamo Dio ci avesse puniti
dandoci solo questa figlia! Adesso vedo che una così
è già troppo, e che averla è stato il vero castigo!
Levati dai piedi, sgualdrina!
NUTRICE
Che Dio in cielo la protegga!
Siete da biasimare, mio signore, a trattarla così.
CAPULETI
E perché, mia Signora Saggezza? Statevi zitta,
buona Prudenza! Andate a spettegolare con le comari, via.
NUTRICE
Non ho detto niente di male…
CAPULETI
Ah, buonasera!
NUTRICE
Non si può più parlare?
CAPULETI
Zitta, stupida d’una brontolona!
Andate a dire le vostre saggezze attorno a un bicchiere
tra un pettegolezzo e l’altro, qui non ne sentiamo il bisogno.
DONNA CAPULETI
Vi scaldate troppo.
CAPULETI
Ostia! Questa mi farà impazzire! Di giorno e di notte,
sul lavoro e nel riposo, da solo e in compagnia,
ho sempre avuto un solo pensiero, trovarle marito!
E ora che ho trovato un vero gentiluomo, nobile,
proprietario terriero, giovane, con una gran famiglia dietro,
pieno, come si suol dire, delle migliori qualità,
e nella proporzione che uno si augurerebbe in ogni uomo,
ecco che trovo una stupida, pazza piagnona,
una bambola lamentosa, che quando la fortuna le si offre,
risponde “non mi sposerò”, “non riesco ad amare”,
“son troppo giovane”, “vi prego di perdonarmi”!
Ma se non ti vuoi sposare, ti perdono io!
Via, a pascolare dove vuoi, ma non in casa mia!
Attenta, pensaci bene, non scherzo, io. Giovedì è vicino!
Mettiti una mano sul cuore e riflettici sopra.
Se mi ubbidirai, ti darò in moglie a un amico;
altrimenti, impiccati! Chiedi la carità, muori di fame,
crepa in mezzo a una strada, perché,
per l’anima mia, non ti riconoscerò più,
né ciò che è mio ti sarà mai d’aiuto.
Contaci e ripensaci. Manterrò la parola. Esce.
GIULIETTA
Non siede più nessuna pietà tra le nuvole,
che veda sino in fondo alla mia disperazione?
Oh dolce madre mia, non scacciatemi,
fate rinviare queste nozze d’un mese, d’una settimana,
o, se no, fate preparare il mio letto nuziale
nell’oscura tomba in cui giace Tebaldo.
DONNA CAPULETI
Non rivolgerti a me, perché io non dirò più una parola.
Fai come vuoi, tra me e te è tutto finito. Esce.
GIULIETTA
Oh Dio, oh balia, come farò a evitare tutto questo?
Il mio sposo è qui, sulla terra, e la mia fede in cielo.
Come potrà la mia fede tornare sulla terra,
a meno che non me la rimandi mio marito dal cielo,
dopo aver lasciato questa terra?
Fammi coraggio, dammi un consiglio. Ahimè!
Ahimè! È possibile che il cielo tenda inganni
a una creatura inerme come me? Cosa dici?
Non hai una parola di gioia?
Un po’ di conforto, balia.
NUTRICE
In fede mia, ecco qui.
Romeo è in esilio, e scommetto tutto contro niente
che non avrà il coraggio di tornare qui a reclamarvi.
O, se lo farà, dovrà farlo di nascosto.
Quindi, stando le cose come stanno, il meglio da farsi
è che voi vi sposiate il Conte.
È un così bel signore! Al suo confronto,
Romeo è uno strofinaccio. Neanche un’aquila,
signora mia, ha degli occhi così verdi, così belli, così acuti,
come quelli di Paride. Sia dannato il mio cuore,
penso che siate fortunata in questo secondo matrimonio;
è ancora meglio del primo; e se anche non lo fosse,
il vostro primo marito è morto, o tanto varrebbe che lo fosse,
visto che, anche se è vivo, non te lo puoi godere.
GIULIETTA
Parli col cuore?
NUTRICE
Sì, e anche con l’anima! o siano maledetti tutti e due!
GIULIETTA
Amen.
NUTRICE
Cosa?
GIULIETTA
Beh, mi hai proprio consolata, a meraviglia!
Torna dentro, e di’ a mia madre che, avendo dato un dispiacere
a mio padre, sono andata da Fra Lorenzo,
a confessarmi per ricevere l’assoluzione.
NUTRICE
Per la Vergine, vado: questa è una saggia azione. Esce.
GIULIETTA
Vecchia maledetta! Perfido demonio!
Pecca di più spingendomi così a giurare il falso,
o quando calunnia mio marito
con quella stessa lingua che l’aveva esaltato mille volte
al di sopra di ogni confronto?
Vattene, consigliere! Da questo istante
tu e il mio cuore non vi conoscerete più!
Andrò dal Frate, a sapere se ha qualche rimedio.
Se tutto andasse male, posso sempre uccidermi. Esce.
Romeo e Giulietta
(“Romeo and Juliet” – 1594 – 1595)
Introduzione – Riassunto
Atto I
Atto II
Atto III
Atto IV
Atto V