Le opere teatrali di Shakespeare si possono dividere in:
a) commedie eufuistiche: La bisbetica domata, La commedia degli equivoci, I due gentiluomini di Verona, Pene d’amore perdute, Sogno di una notte di mezza estate;
b) commedie romantiche: Il mercante di Venezia, Molto rumore su nulla, Come vi piace, La dodicesima notte, Le allegre comari di Windsor;
c) drammi dialettici: Amleto, Troilus e Cressida, Tutto è bene quel che finisce bene, Misura per misura;
d) tragedie: Romeo e Giulietta, Otello, Re Lear, Macbeth;
e) drammi classici: Titus Andronicus, Julius Caesar, Antony e Cleopatra, Coriolanus, Timon d’Atene;
f) drammi romanzeschi: Pericles principe di Tiro, Cymbelline, Il racconto d’inverno, La tempesta, I due nobili congiunti;
g) drammi storici: Richard II, Henry IV, Henry V, Henry VI, Richard III, Re John, Edward III, Sir Thomas More, Henry VIII.
Le opere di Shakespeare ci sono pervenute in varie edizioni in quarto, in volumi separati e in anni diversi, e in un in-folio chiamato “First folio” pubblicato nel 1623 a cura di J. Heminge e H. Condell, due attori dei King’s Men, che con i suoi 36 drammi costituisce la base del canone shakespeariano. Nel 1619, alla morte di Shakespeare, solo 16 suoi testi teatrali erano stati pubblicati separatamente in volumi in-quarto.
Tre anni dopo, nel 1621, l’editore William Jaggard volle pubblicare in-quarto un gruppo di opere senza assicurarsene i diritti e includendo sotto il nome di Shakespeare quattro opere di altri autori (del resto lo stesso Jaggard aveva pubblicato nel 1599 la raccolta spuria “The passionate pilgrim”): per evitare fastidi di legge mise in circolazione tali drammi in volumi separati con datazioni retrodatate e l’attribuzione a altri editori. Alla fine del 1623 (dopo la morte della vedova di Shakespeare), gli editori Isaac Jaggard (figlio di William) e Edward Blount si assicurano i diritti e pubblicano l’in-folio, che reca il titolo: Commedie, drammi storici e tragedie di mastro William Shakespeare : pubblicate in conformità delle copie originali autentiche (Mr. William Shakespeares comedies, histories & tragedies : published according to the true originall copies). Per l’incertezza delle edizioni, a volte basate su copioni di scena, con rimaneggiamenti o tagli, la definizione del testo è stata oggetto di studi meticolosi, con risultati anche controversi. Tanto più che nel corso del XVII secolo e oltre gli furono attribuiti tutta una serie di apocrifi. A complicare la faccenda il fatto che era in uso (allora come anche oggi) scrivere a più mani, prestare la propria collaborazione. Così oggi pensiamo che “I due nobili congiunti” sia stato scritto da Shakespeare alla fine della sua carriera in collaborazione con John Fletcher. Di “Edward III” Shakespeare scrisse almeno un atto e mezzo. Emblematico anche il caso del “Sir Thomas More”, rimasto in manoscritto fino a un secolo e mezzo fa, una scena della quale rappresenta l’unico autografo shakespeariano di una qualche estensione che sia pervenuto fino a noi, e che la critica sta accettando ancora di considerare shakespeariano. Lo spazio scenico elisabettiano era molto semplice, privo di macchinose scenografie. L’azione si disponeva in una serie di sequenze, senza intervalli. La suddivisione in atti e scene, presente in molti dei testi dell’in-folio, non corrisponde alle in tenzioni dell’autore, che forniva alla compagnia i suoi drammi in forma di sceneggiatura, con la semplice indicazione delle entrate e delle uscite degli attori. Solo chi curava poi la stampa (e il testo, occorre ricordarlo, era di proprietà della compagnia e non dell’autore) si preoccupava a volte di suddividerlo secondo convenzioni letterarie, spesso con errori e in conflitto con la più elementare logica delle strutture drammatiche: clamoroso è il caso dell'”Hamlet” in cui si fa iniziare il quarto atto nel bel mezzo di una sequenza che prevede assoluta continuità d’azione, nello stesso ambiente e con la presenza in palcoscenico di un personaggio della scena precedente.