Sogno di una notte di mezza estate – Atto I

(“A Midsummer Night’s Dream” 1593/1595)

Introduzione – Riassunto
Atto I
Atto II
Atto III
Atto IV
Atto V

Introduzione al teatro di Shakespeare
Elenco opere teatrali

Sogno di una notte di mezza estate - Atto I

Personaggi
TESEO, Duca di Atene
IPPOLITA, Regina delle Amazzoni, sposa promessa di Teseo
LISANDRO e DEMETRIO: giovani cortigiani innamorati di Ermia
ERMIA, innamorata di Lisandro
ELENA, innamorata di Demetrio
EGEO, padre di Ermia
FILOSTRATO, Maestro delle Cerimonie di Teseo

OBERON, Re delle Fate
TITANIA, Regina delle Fate
UNA FATA, al servizio di Titania
DEMONE, ovvero ROBERTINO BUONALANA, buffone e luogotenente di Oberon
FIOR-DI-PISELLO, Fata, al servizio di Titania
RAGNATELO, Fata, al servizio di Titania
FALENA, Fata, al servizio di Titania
SEME-DI-MOSTARDA, Fata, al servizio di Titania

PIETRO ZEPPA, carpentiere; PROLOGO nella recita
NICOLINO ROCCHETTO, tessitore; PIRAMO nella recita
CECCO ZUFOLO, aggiustamantici; TISBE nella recita
MASO BECCUCCIO, calderaio; MURO nella recita
INCASTRO, falegname addetto alle congiunture; LEONE nella recita
BERTO AGONIA, sarto; CHIARO-DI-LUNA nella recita
Altre Fate al seguito di Oberon e di Titania
Cortigiani e Servitori di Teseo e Ippolita

ATTO PRIMO – SCENA PRIMA

Entrano Teseo, Ippolita, (Filostrato,) e il Seguito.

TESEO

Oh bella Ippolita, l’ora delle nostre nozze

s’avvicina con passo veloce. Quattro giorni lieti ancora

e sorgerà la luna nuova. Ma con quanta lentezza

cala questa vecchia luna! Essa ritarda l’appagamento

dei miei desideri, come matrigna, o ricca vedova,

che, indugiando a morire, il retaggio assottiglia dell’erede.

IPPOLITA

Quattro giorni saranno presto inghiottiti dalla notte;

e i sogni di quattro notti consumeranno il tempo.

E poi la luna, quale arco d’argento

appena teso in cielo, contemplerà la notte

dei nostri fasti.

TESEO

E tu, Filostrato,

incita la gioventù d’Atene all’esultanza,

ridesta il brioso ed alacre spirto della gioia,

ricaccia Malinconia ai funerali –

la pallida dea non s’addice al nostro corteo.

(Esce Filostrato.)

Ippolita, t’ho corteggiata con la spada,

e con la forza ho vinto l’amor tuo.

Ora a te mi unirò in chiave diversa –

con cortei, svaghi e trionfi.

Entrano Egeo e sua figlia Ermia, Lisandro e Demetrio.

EGEO

Felicità a Teseo, nostro Duca insigne!

TESEO

Grazie, mio buon Egeo. Ma che t’accade?

EGEO

Vengo a te, profondamente afflitto. Vengo a dolermi

della mia creatura – di mia figlia Ermia.

Vieni avanti, Demetrio. Mio nobile Signore,

quest’uomo ha il mio consenso per sposarla.

Vieni avanti, Lisandro. E questi, grazioso Duca,

ha ammaliato il cuore di mia figlia.

Sì, proprio tu, Lisandro; tu, le dedicasti rime d’amore,

tu, con la mia bambina scambiasti pegni amorosi.

Tu, sotto il suo balcone, al lume di luna cantasti,

con voce sdolcinata, versi di simulato amore,

e subdolamente t’imprimesti nella mente sua,

offrendo braccialetti dei tuoi capelli, anelli, ninnoli e gingilli,

mazzolini, frivolezze e dolciumi – che son messaggeri

di gran persuasione per le tenere fanciulle.

Tu, con astuzia, hai ghermito il cuore di mia figlia,

trasformando l’obbedienza sua – a me dovuta –

in arrogante ostinazione. Oh grazioso Duca,

se avverrà che al vostro cospetto

ella rifiuti di sposarsi con Demetrio,

invocherò l’antico privilegio della città d’Atene.

Ella mi appartiene, ed io di lei disporrò.

O mia figlia sarà di questo gentiluomo,

o sarà della morte, come la nostra legge vuole –

immediatamente applicabile in simili casi.

TESEO

Ermia, che dici? Considera attentamente ciò che fai.

Per te, simile a un dio dovrebbe esser tuo padre.

Un dio che modellò le tue grazie; sì, e per cui

altro non sei che cerea forma da lui plasmata;

ed è in suo potere conservarne l’effigie immutata

o cancellarla. Demetrio è un degno gentiluomo.

ERMIA

Lo è anche Lisandro.

TESEO

Senz’altro in sé lo è.

Ma nel caso in questione, mancandogli il consenso

di tuo padre, l’altro su di lui prevarrà.

ERMIA

Oh, potesse mio padre vedere coi miei occhi!

TESEO

Meglio sarebbe che guardassero i tuoi con la saggezza sua.

ERMIA

Supplico vostra Grazia di perdonarmi.

Non so per qual potere io tanto ardisca

né quanto si convenga alla modestia mia

perorare il mio pensiero a Voi dinanzi.

Ma supplico vostra Grazia di farmi sapere

qual è la sorte peggiore che m’attende,

se rifiuto Demetrio per consorte.

TESEO

O la morte, oppure rinunciare per sempre

alla compagnia degli uomini.

Perciò, mia bella Ermia, interroga i tuoi desideri,

considera la tua giovinezza,

esamina gl’impulsi del tuo sangue,

e cerca di capire se, ribelle alla scelta di tuo padre,

potrai sopportare la veste monacale,

rimaner per sempre chiusa in un ombrato chiostro

a trascorrer l’esistenza da sterile suora,

salmodiando inni sommessi alla luna fredda e infeconda.

Tre volte sian benedette coloro che, frenati gl’impulsi del sangue,

van pellegrine sul sentiero della castità;

ma, in questo mondo terreno, più felice è la rosa distillata

che non quella costretta ad appassire su virgineo rovo,

che cresce, vive e muore, in solitudine beata.

ERMIA

E così crescerò, così vivrò, così morrò, mio Signore,

anziché cedere il privilegio della mia verginità

a questo giovane, al cui giogo indesiderato

l’anima mia non riconosce sovranità.

TESEO

Prendi tempo, e rifletti. E al prossimo novilunio

nel giorno che salderà la mia amata e me

in un vincolo di perpetuo connubio,

in quello stesso giorno preparati a morire

per disobbedienza ai voleri di tuo padre;

oppure a sposar Demetrio, secondo il suo desiderio;

o ancora, a votarti, sull’altare di Diana,

per sempre a vita solitaria ed austera.

DEMETRIO

Ma cedi, Ermia bella! E anche tu, Lisandro, deponi

la tua folle pretesa di fronte al mio indiscutibile diritto.

LISANDRO

Tu hai l’amore di suo padre, Demetrio.

Lascia a me quello d’Ermia. E sposa Egeo!

EGEO

Insolente Lisandro! Per certo egli m’è caro.

E in virtù di questo affetto, tutto quanto è mio suo diverrà.

Ermia appartiene a me, ed ogni mio diritto su di lei

consegno ora a Demetrio.

LISANDRO

Mio signore, provengo come lui

da famiglia illustre e facoltosa. Il mio amore

supera il suo; le mie fortune sono pari alle sue –

se maggiori non sono. E, ciò che più conta,

l’amor mio è ricambiato dalla bella Ermia.

E dunque perché rinunciare al mio diritto?

Demetrio – glielo dico in faccia – amava Elena,

la figlia di Nedar, ed avea conquistato l’animo suo.

E lei, dolce fanciulla, spasima,

ardentemente spasima, spasima d’idolatria,

per un uomo come lui ch’è impuro ed incostante.

TESEO

Confesso d’averlo sentito dire anch’io.

Ed ho anche pensato di parlarne con lui.

Ma, travolto dalle mie faccende personali

m’è passato di mente. Suvvia, Demetrio,

ed anche tu, Egeo, venite qua. Verrete entrambi con me,

ché per tutt’e due ho qualche istruzione riservata.

E quanto a te, Ermia bella, àrmati di buona volontà

per far sì che i tuoi desideri coincidano con quelli di tuo padre.

Altrimenti la legge d’Atene (e non possiam mitigarla)

ti consegnerà alla morte, o ai voti della castità.

Vieni, mia Ippolita. Che pensi, amor mio?

Egeo, Demetrio, venite con noi.

Debbo darvi qualche incarico

in vista delle nostre nozze; e devo anche parlarvi

di cosa che da vicino vi riguarda.

EGEO

Per nostro dovere, e per nostro piacere, noi vi seguiamo.

Escono tutti tranne Lisandro ed Ermia.

LISANDRO

Ebbene, amore mio, perché è impallidita la tua guancia?

Com’è che le rose vi sono appassite così presto?

ERMIA

Forse per mancanza di pioggia, che ben potrei

versar su loro dalla tempesta dei miei occhi.

LISANDRO

Ohimè! Da quanto ho potuto leggere ed udire

da favole e da storie,

mai è stato liscio il corso del vero amore.

Sia per disparità di lignaggio…

ERMIA

Oh, sventura! esser troppo in alto per finir schiava di chi è tanto in basso.

LISANDRO

O perché, rispetto agli anni, male assortiti eran gli amanti…

ERMIA

Oh mortificante! in tarda età ad un giovane legarsi!

LISANDRO

O dipendesse, in vero, dalla scelta altrui…

ERMIA

Oh, diavolo! lasciar decider d’amore gli occhi degli altri!

LISANDRO

Oppure, se accordo v’era nella scelta,

guerra, morte, o infermità, hanno assediato l’amore;

e, come un suono, l’han fatto durare un istante,

ratto come l’ombra, breve come sogno,

veloce come saetta nella notte tenebrosa,

che, con rabbioso bagliore, rivela cielo e terra,

e prima ancora che dir si possa “oh, guarda!”

le fauci del buio l’hanno divorato.

Tanto è pronto a vanire tutto ciò che risplende!

ERMIA

Se dunque gli amanti sinceri furon sempre avversati,

vuol dire che è un decreto del destino.

La nostra prova a noi insegni pazienza,

perché è un male comune, e dell’amor fa parte

come i pensieri, i sogni ed i sospiri,

i desideri e i pianti, consueto corteo dei poveri innamorati.

LISANDRO

Ragioni bene. E allora ascoltami, Ermia.

Ho una zia vedova, ricca ereditiera,

che non ha figli – la sua casa è a sette leghe da Atene –

e caro le sono al par di unico figlio.

Laggiù, dolce mia Ermia, potrò sposarti; e la dura

legge d’Atene fin là non può inseguirci.

Se m’ami, dunque, domani notte

fuggi furtiva dalla casa paterna,

e nella selva, a una lega da Atene

(là dove con Elena t’incontrai

per celebrare insieme un mattino di maggio)

sarò ad aspettarti.

ERMIA

Mio buon Lisandro,

ti giuro sull’arco più robusto di Cupìdo,

sul migliore dei suoi aureopuntuti dardi,

sulle caste colombe d’Afrodite,

su tutto ciò che avvince i cuori degli amanti, e fa fiorir gli amori,

e sul quel rogo che arse la regina di Cartago,

quando vide far vela l’infido Troiano,

su tutti i giuramenti che gli uomini han mancato

(più numerosi di quelli delle donne)

ti giuro che in quel luogo che hai indicato

domani, in verità, sarò con te.

LISANDRO

Amore mio, mantieni la promessa. Oh guarda, viene Elena.

Entra Elena.

ERMIA

Dio t’assista, Elena bella! Dov’è che vai?

ELENA

“Bella” mi chiami? Ma rinnega quel “bella”!

Per Demetrio che t’ama, “bella” sei tu. Oh tu bella felice!

I tuoi occhi son come le stelle ai naviganti, e la dolce armonia delle tue labbra

è più melodiosa del canto dell’allodola all’udito del pastore

quando il frumento è verde, quando spuntano i bocci al biancospino.

Le malattie son contagiose; oh, se lo fosse altrettanto la bellezza,

prima di lasciarti, vorrei contagiarmi della tua.

Il mio orecchio prenderebbe la tua voce, l’occhio mio il tuo,

la mia lingua il melodioso accento della tua.

Se possedessi il mondo – tolto solo Demetrio –

tutto lo cederei a te, potessi in te cangiarmi.

Oh insegnami il modo in cui tu guardi, e con qual arte

tu tieni in pugno i moti del suo cuore.

ERMIA

Io lo guardo accigliata, eppure egli m’adora.

ELENA

Ah, potesse il mio sorriso imparar dal tuo cipiglio!

ERMIA

Io lo maledico, e lui mi rende amore.

ELENA

Ah, potesse così il mio pregar toccargli il cuore!

ERMIA

Più io l’odio e più mi viene appresso.

ELENA

Più io l’amo e più lui mi detesta.

ERMIA

Elena, la sua follia non è colpa mia.

ELENA

Non è colpa di nessuno, tranne della tua bellezza. Io vorrei avere quella colpa!

ERMIA

Questo ti sia di conforto; egli non vedrà più il mio volto.

Lisandro ed io da qui vogliam fuggire.

Quando non conoscevo ancor Lisandro

mi pareva che Atene fosse il Paradiso.

Oh qual potere alberga nel mio cuore se esso fu capace

di trasformare un cielo in un inferno!

LISANDRO

Elena, di un nostro piano ti metterò a parte.

Domani notte, allor che in ciel Febea

l’argenteo volto nello specchio equoreo si mira,

e con liquide perle adorna i fili d’erba

(sempre tempo propizio per i transfughi amanti)

contiamo d’uscire inosservati per le porte d’Atene.

ERMIA

E nel bosco dove solemmo, tu ed io,

distenderci su sponde di primule albicanti,

versando i segreti dei nostri cuori ardenti,

colà c’incontreremo, il mio Lisandro ed io.

E là, da Atene, altrove volgerem lo sguardo,

vago di nuovi amici e di stranieri incontri.

Addio, diletta compagna dei miei giochi; prega per noi,

e possa la buona sorte concederti Demetrio!

Mantieni la promessa, mio Lisandro! I nostri occhi

dovremo affamar del cibo degli amanti,

fino a domani, a mezzanotte fonda. Esce Ermia.

LISANDRO

Oh sì, mia Ermia. Elena, addio.

E come tu per lui, per te possa Demetrio consumarsi.

Esce Lisandro.

ELENA

Oh quanto una persona può essere più felice d’un’altra!

Pensano in Atene ch’io sia bella quanto lei.

Ma a che pro? Demetrio non lo pensa;

e ciò che gli altri sanno egli non vuol sapere.

E com’egli è in errore a infatuarsi dello sguardo d’Ermia,

in errore son io ad ammirare i pregi di costui.

Le cose più umili e vili, prive d’armonia,

Amor trasmuta in forme dignitose e belle.

Ei non guarda con gli occhi, ma con il sentimento,

ed è per questo che l’alato Cupìdo vien dipinto cieco.

Né il suo cervello ha mai avuto il senso della saggezza.

Ali ed occhi bendati stanno a significare un’inconsulta foga.

Ed è così che Amore è concepito fanciullo,

lui che sovente s’inganna quando sceglie.

E come, giocando, i monelli si mancan di parola,

così il pargoletto Amore è sempre uno spergiuro.

Prima di mirare gli occhi d’Ermia,

Demetrio grandinava giuramenti

d’esser soltanto mio. E quando

la grandine sentì il calore d’Ermia,

tutta si sciolse e giù precipitarono i suoi voti.

Rivelerò a Demetrio la fuga d’Ermia bella;

e così, domani notte, egli la inseguirà nel bosco.

E se mi sarà grato per questa informazione,

il grazie suo mi costerà gran prezzo.

Ma con questo sarò ben ripagata,

ché lo vedrò al ritorno ed all’andata! Esce.

ATTO PRIMO – SCENA SECONDA

Entrano Zeppa, carpentiere; Incastro, falegname; Rocchetto, tessitore; Zufolo, aggiustamantici; Beccuccio, calderaio; e Agonia, sarto.

ZEPPA

Ci siamo tutti?

ROCCHETTO

Via, prendi la lista, e chiamali tutti assieme uno per uno.

ZEPPA

Ecco qua l’elenco dei nomi di tutti quelli che qui ad Atene possono recitare il nostro interludio alla presenza del Duca e della Duchessa, la sera delle nozze.

ROCCHETTO

Prima, mio caro Zeppa, dovresti dirci di che cosa tratta, questo dramma. Poi dovresti leggerci i nomi degli attori. E poi saremo a posto.

ZEPPA

Caspita! il dramma è la Lamentevolissima commedia e la crudelissima morte di Piramo e di Tisbe.

ROCCHETTO

Un capolavoro, ve lo dico io. Uno spasso! E ora, caro Zeppa, chiama gli attori secondo la scritta. Messeri, in fila!

ZEPPA

Rispondete all’appello. Nicolino Rocchetto, tessitore.

ROCCHETTO

Eccomi qua. Dimmi intanto la mia parte, prima d’andare avanti.

ZEPPA

Tu, Nicolino Rocchetto, è inteso che farai Piramo.

ROCCHETTO

E chi è questo Piramo? Un amante o un tiran-no?

ZEPPA

Un amante che ha tanto fegato da farsi fuori per amore.

ROCCHETTO

A recitarla bene questa parte, si verseranno delle lacrime. Se io mi ci metto, il pubblico dovrà badare agli occhi. Farò scoppiare delle bufere. Mi dolrò come si deve. Veniamo agli altri… io, però, sarei nato per fare il tiranno. Mi sentirei di recitare Ercle in modo straordinario; o comunque qualsiasi altra parte dove ci fosse da urlare a squarciagola, e da spaccare il mondo.

Rocce furenti

colpi tremendi

porte di carceri

mandate in pezzi.

E il carro di Febbo

da lungi fulgente

arriva e sbrindella

il Fato demente.

Somma roba davvero! Ma ora passiamo agli altri. Son parole da Ercle… da tiranni. L’innamorato invece sarà sdolcinato.

ZEPPA

Cecco Zufolo, aggiustamantici.

ZUFOLO

Pietro, son qui.

ZEPPA

Zufolo, tu devi far la parte di Tisbe.

ZUFOLO

E chi è Tisbe? Un cavaliere errante?

ZEPPA

È la dama che Piramo ha da amare.

ZUFOLO

Ma via… mi fate far da donna? Mi sta spuntando la barba!

ZEPPA

È lo stesso. Reciterai con una maschera. E potrai andar su con la vocina quanto vorrai.

ROCCHETTO

Se posso coprirmi la faccia, allora fatemi fare anche Tisbe. Direi con una vocina mostruosamente soave: “Son Tisbina. Son Tisbina” – “Ah Piramo mio, mio dolce amante! Son la tua cara Tisbe, la tua cara dama!”

ZEPPA

No, no! Tu farai Piramo. E tu, Zufolo, Tisbe.

ROCCHETTO

Bene. Andiamo avanti.

ZEPPA

Berto Agonia, sarto.

AGONIA

Eccomi qui, Pietro.

ZEPPA

Berto Agonia, tu farai la parte della mamma di Tisbe. Maso Beccuccio, calderaio.

BECCUCCIO

Eccomi, Pietro.

ZEPPA

Tu, il padre di Piramo; io il padre di Tisbe. Incastro, falegname, tu la parte del Leone. E mi pare che il dramma sia a posto.

INCASTRO

Ce l’hai scritta la parte del Leone? Se ce l’hai, ti prego di passarmela. Lo sai che ci metto un po’ a imparare!

ZEPPA

Ma la puoi improvvisare. Basta ruggire!

ROCCHETTO

Fammela fare a me la parte del Leone. Ruggirò in modo tale da ammansire il cuore di tutti. E al mio ruggito il Duca dirà: “Ancora! Che ruggisca ancora!”

ZEPPA

A metterci troppa ferocia potresti spaventare la Duchessa, e le dame. E tutte si metterebbero a strillare. E con questo finiremmo tutti sulla forca.

TUTTI

Tutti sulla forca, poveri noi!

ROCCHETTO

Ragazzi, sapete che vi dico? Se le dame per la paura perdessero il senno, questi qua son tanto scemi da mandarci alla forca tutti quanti. Ma io aggraverò la mia voce, e ruggirò pian pianino – come una colombella di latte. Come un usignolo.

ZEPPA

Tu non puoi far altro che Piramo. Perché Piramo è bello. Un bel ragazzo che non se ne vede! Bello, bello e raffinato. E allora non si scappa; dovrai far la parte di Piramo.

ROCCHETTO

Beh, farò questa parte. Che barba è meglio che mi metta?

ZEPPA

Beh, a tuo piacere.

ROCCHETTO

Reciterò la parte con la barba color paglia, o con quella color tannino, oppure con quella porporina, oppure color testone d’oro francese, il giallo più giallo che esiste!

ZEPPA

Ci son testoni francesi senza neanche un pelo, e allora reciterai a faccia nuda – sfacciatamente. Messeri, ecco le vostri parti. E vi scongiuro, v’imploro, bramo, che le impariate a memoria per domani sera. E arrivederci al parco ducale, a un miglio dalla città, sotto la luna. Là proveremo. Perché se la riunione fosse in città ci verrebbe dietro un mucchio di gente, e i nostri trucchi si risaprebbero. Intanto farò un elenco delle cose necessarie. Badate di non mancare!

ROCCHETTO

Ci saremo, e faremo le prove nel modo più disadatto e intrepido. Mettetecela tutta! Dovete imparar la parte a puntino. Addio!

ZEPPA

Ci raduneremo alla quercia del Duca.

ROCCHETTO

Basta! Siate di parola, o peggio per voi!

Escono.

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