(“Timon of Athens” – 1605 – 1608)
Introduzione – Riassunto
Atto I
Atto II
Atto III
Atto IV
Atto V
Introduzione al teatro di Shakespeare
Elenco opere teatrali
Personaggi
TIMONE d’Atene
LUCIO: nobile adulatore
LUCULLO: nobile adulatore
SEMPRONIO: nobile adulatore
VENTIDIO, uno dei falsi amici di Timone
ALCIBIADE, capitano ateniese
APEMANTO, filosofo cinico
FLAVIO, intendente di Timone
FLAMINIO: servo di Timone
LUCILIO: servo di Timone
SERVILIO: servo di Timone
CAFIS: servo di usuraio
FILOTO: servo di usuraio
TITO: servo di usuraio
ORTENSIO: servo di usuraio
Servi di Varrone, Isidoro e Lucio, usurai e creditori di Timone
Poeta, Pittore, Gioielliere, Mercante
OSTILIO e altri due stranieri
Vecchio Ateniese
Paggio
Matto
FRINE: amante di Alcibiade
TIMANDRA: amante di Alcibiade
Nobili, Senatori, Soldati, Banditi e Servi Cupido e Amazzoni nel Masque
SCENA: Atene e la foresta nelle vicinanze
ATTO PRIMO – SCENA PRIMA
Entrano da porte diverse il Poeta, il Pittore, il Gioielliere, il Mercante.
POETA
Buon giorno, signore.
PITTORE
Lieto di trovarvi bene.
POETA
Non vi vedo da tempo: come va il mondo?
PITTORE
Si logora, signore, mentre invecchia.
POETA
Eh, sì, è risaputo. Ma dite,
c’è qualche rarità particolare,
qualche cosa di strano che sfugga
agli annali multiformi? Guardate.
O tu, magia della generosità, questi spiriti
li ha tutti evocati il tuo potere!
Il mercante lo conosco.
PITTORE
Io li conosco entrambi: l’altro è un gioielliere.
MERCANTE
Oh, è un degno signore.
GIOIELLIERE
Sì, questo è certo.
MERCANTE
Un uomo incomparabile – esercitato, invero,
a una bontà instancabile e continua.
È eccelso.
GIOIELLIERE
Ho qui un gioiello –
MERCANTE
Vi prego, signore, lasciate che lo veda.
È per il nobile Timone?
GIOIELLIERE
Se offrirà il prezzo giusto. Ma in quanto a questo…
POETA [a parte al Pittore]
“Lodando per denaro ciò che è vile
macchiam la gloria dei felici versi
che cantan giustamente ciò che è buono.”
MERCANTE [guardando il gioiello]
Ha un bel taglio.
GIOIELLIERE
Ed è prezioso. Guardate che acqua.
PITTORE
Siete rapito, signore, da un poema
da dedicare al grande nobiluomo?
POETA
Una quisquilia che mi è venuta di getto.
La nostra poesia è una resina che sgorga
onde si nutre. La selce genera il fuoco
solo se percossa: la nostra
fiamma gentile si produce da sé
e, come la corrente, scavalca
ogni argine che incontra. Voi che avete lì?
PITTORE
Un quadro, signore. Quando esce il vostro libro?
POETA
Appena lo avrò offerto a lui, signore.
Vediamo il vostro quadro.
PITTORE
È un buon lavoro.
POETA
Sì. È ben riuscito, è bello.
PITTORE
Discreto.
POETA
Mirabile! Oh, come questa grazia
sa esprimere il suo rango! Quale forza della mente
erompe da quest’occhio! Che enorme fantasia
si agita in questo labbro! Al silenzio del gesto
si potrebbe dar voce.
PITTORE
È una graziosa imitazione della vita.
Osservate questo tocco. Vi piace?
POETA
Dirò, di esso, che insegna alla natura.
In questi tocchi l’artificio vive
più vivo della vita.
Entrano alcuni Senatori che vanno da Timone.
PITTORE
Che seguito ha questo signore!
POETA
I senatori di Atene, beati loro!
PITTORE
Guardate, ne vengono altri!
POETA
Che afflusso, che mare di visitatori!
Nel mio rozzo lavoro io ho modellato
un uomo che da questo mondo inferiore
è stretto e abbracciato con smisurata passione.
La mia libera vena non si arresta al particolare
ma naviga in un oceano di cera: nessuna
malizia deliberata infetta
una sola virgola del corso ch’io seguo
ma esso vola, audace, con volo d’aquila
e avanza senza lasciare traccia.
PITTORE
Come capirvi?
POETA
Vi spiegherò. Voi vedete
come tutte le condizioni, tutte le inclinazioni
di esseri sia viscidi e insinceri sia
di austera e grave qualità, offrano
i loro servigi al nobile Timone:
la sua vasta ricchezza, che si unisce
alla sua natura buona e generosa,
conquista ogni specie di cuori e li offre
al suo amore e al suo servizio –
sì, dall’adulatore dal viso di specchio
ad Apemanto, che poche cose ama quanto
abborrire se stesso… persino lui
piega il ginocchio davanti a Timone
e si ritira in pace, arricchito
da un cenno del suo capo.
PITTORE
Li ho visti che parlavano.
POETA
Signore,
su un alto e grazioso monte ho immaginato
la Fortuna in trono. Alla base del monte
sono schierati tutti i gradi, tutte le nature
che faticano in grembo a questa sfera
per moltiplicare i propri beni.
In mezzo a loro, che su questa sovrana
fissano gli occhi, ne fingo uno
che ha i tratti di Timone, e che la Fortuna
con l’eburnea mano chiama a sé:
un invito grazioso che subito trasforma
in schiavi e servi i rivali di lui.
PITTORE
Concezione acuta. Questo trono,
questa Fortuna e questo monte,
con un uomo solo
scelto tra gli altri in basso, che curva
la testa sul ripido monte per scalare
la sua felicità, bene esprimerebbero
il nostro stato.
POETA
Sì, signore, ma ascoltate ancora:
tutti coloro che poco prima
gli erano pari e alcuni superiori,
subito seguono i suoi passi, affollano
le sue sale, fanno piovere nel suo orecchio
bisbigli sacrificali, adorano come sacra
persino la sua staffa, e come per grazia sua
bevono la libera aria.
PITTORE
Diamine, e che ne è di loro?
POETA
Quando la Fortuna, nel suo volubile
mutamento d’umore, ripudia il favorito,
tutti coloro che dipendevano da lui
e che dietro di lui arrancavano con le ginocchia,
e persino con le mani, verso la cima del monte,
lo lasciano cadere, e nessuno accompagna
il suo piede che declina.
PITTORE
È cosa comune.
Potrei mostrarvi mille pitture allegoriche
che raffigurano questi voltafaccia della Fortuna
con più efficacia delle parole. Eppure
fate bene a mostrare al nobile Timone
ciò che umili occhi hanno visto:
il piede sopra e la testa sotto.
Suono di trombe. Entra il nobile Timone, che si rivolge cortesemente a ciascun postulante; un Messaggero di Ventidio parla con lui; Lucilio e altri Servi.
TIMONE
È in carcere, dici?
MESSAGGERO
Sì, mio buon signore. Il suo debito
è di cinque talenti. I suoi mezzi scarsi,
i creditori inflessibili.
Chiede una lettera di Vostro Onore
per coloro che l’hanno mandato in prigione.
Senza questa, è la fine.
TIMONE
Nobile Ventidio!
Ebbene, io non sono della razza di coloro
che si scuotono di dosso un amico nel momento
del maggior bisogno. Lo so galantuomo
che merita aiuto: e lo avrà.
Pagherò io il debito e lo farò liberare.
MESSAGGERO
Vostra Signoria lo lega a sé per sempre.
TIMONE
Ricordami a lui; manderò il suo riscatto.
Appena liberato, venga da me.
Non basta aiutare i deboli a rialzarsi,
bisogna sorreggerli anche dopo. Addio.
MESSAGGERO
Ogni felicità a Vostro Onore! [Esce]
Entra un Vecchio Ateniese.
VECCHIO ATENIESE
Nobile Timone, prestami ascolto.
TIMONE
Volentieri, buon vecchio.
VECCHIO ATENIESE
Tu hai un servo di nome Lucilio.
TIMONE
È così. Ebbene?
VECCHIO ATENIESE
Grande Timone, fallo venire davanti a te.
TIMONE
Si trova qui? Lucilio!
LUCILIO
Eccomi, agli ordini di Vostra Signoria.
VECCHIO ATENIESE
Questo individuo, nobile Timone,
questa tua creatura, s’infila di notte
nella mia casa. Io sono un uomo
che ha sempre risparmiato, e il mio patrimonio
merita un erede più altolocato
di uno che porta i piatti.
TIMONE
E allora?
VECCHIO ATENIESE
Ho un’unica figlia,
nessun altro parente cui lasciare
ciò che è mio. La fanciulla è bella,
giovanissima ma in età da marito, e io
l’ho allevata, con grande spesa, nel modo
più raffinato. Questo tuo servo
attenta al suo amore. Ti prego, nobile signore,
unisciti a me nel proibirgli l’accesso:
io ho parlato invano.
TIMONE
L’uomo è onesto.
VECCHIO ATENIESE
Appunto per questo, Timone.
La sua onestà è già una ricompensa:
non ci deve aggiungere mia figlia.
TIMONE
Lei lo ama?
VECCHIO ATENIESE
È giovane e tenera.
Le nostre passioni di un tempo ci insegnano
quanto giovinezza sia leggera.
TIMONE [a Lucilio]
Tu ami la fanciulla?
LUCILIO
Sì, mio buon signore, e lei accetta il mio amore.
VECCHIO ATENIESE
Se al suo matrimonio mancherà il mio consenso,
chiamo gli dei a testimoni che sceglierò
il mio erede tra i mendicanti della terra
e la spoglierò di ogni bene.
TIMONE
Quale sarà la sua dote
se verrà unita a un marito del suo rango?
VECCHIO ATENIESE
Tre talenti, per ora; in futuro, tutto.
TIMONE
Questo mio uomo mi serve da molto tempo.
Farò uno sforzo per costruire la sua fortuna:
è un dovere, tra uomini. Dagli tua figlia:
ciò che tu darai a lei, io darò a lui,
e avranno lo stesso peso.
VECCHIO ATENIESE
Nobilissimo signore,
se di ciò è pegno il tuo onore, lei è sua.
TIMONE
Eccoti la mano: il mio onore sulla mia promessa.
LUCILIO
Ringrazio umilmente Vostra Signoria.
Mai possa io avere una fortuna
che non sia riconosciuta come vostra. [Esce]
POETA
Accettate la mia fatica, e lunga vita
a Vostra Signoria!
TIMONE
Vi ringrazio: avrete presto mie notizie.
Non ve ne andate. E voi, amico mio,
che cosa avete lì?
PITTORE
Una pittura che prego Vostra Signoria
di volere accettare.
TIMONE
La pittura è benvenuta.
La pittura è quasi l’uomo al naturale:
poiché da quando il disonore commercia
con la natura dell’uomo, costui è solo apparenza:
queste figure pennellate sono
esattamente quello che sembrano.
Il vostro lavoro mi piace, e ve ne accorgerete.
Aspettate finché avrete mie notizie.
PITTORE
Gli dei vi conservino!
TIMONE
E così voi, signore. Datemi la mano:
dobbiamo pranzare insieme. Signore,
il vostro gioiello è stato troppo lodato.
GIOIELLIERE
Troppo, signore?
TIMONE
Un eccesso di lodi. Se dovessi pagarvi
per quanto è lodato, mi manderebbe in rovina.
GIOIELLIERE
Signore, è valutato al prezzo che pagherebbe
chi lo vende. Ma voi ben sapete
che cose di pari valore ma di proprietari diversi
cambiano prezzo a seconda del possessore.
Credetemi, caro signore,
portando il gioiello voi ne accrescete il pregio.
TIMONE
Sapete scherzare.
Entra Apemanto.
MERCANTE
No, mio buon signore – lui parla
la lingua che parlano tutti.
TIMONE
Guardate chi arriva: siete pronti agli attacchi?
GIOIELLIERE
Insieme a Vostra Signoria, sopporteremo.
MERCANTE
Non risparmierà nessuno.
TIMONE
Buon giorno a te, gentile Apemanto.
APEMANTO
Te lo darò, il tuo buon giorno, quando io
sarò gentile, tu il cane di Timone
e queste canaglie uomini onesti.
TIMONE
Perché li chiami canaglie? Non li conosci.
APEMANTO
Non sono Ateniesi?
TIMONE
Sì.
APEMANTO
Allora non mi pento.
GIOIELLIERE
Mi conoscete, Apemanto?
APEMANTO
Lo sai che ti conosco. Ti ho chiamato col tuo nome.
TIMONE
Sei superbo, Apemanto.
APEMANTO
Di nulla tanto quanto di non essere come Timone.
TIMONE
Dove stai andando?
APEMANTO
A spappolare il cervello a un Ateniese onesto.
TIMONE
È un’azione per cui morirai.
APEMANTO
Giusto, se la legge condanna a morte chi uccide il niente.
TIMONE
Ti piace questo quadro, Apemanto?
APEMANTO
Immensamente – per la sua innocenza!
TIMONE
Chi l’ha fatto non ha schizzato bene?
APEMANTO
Chi ha fatto il pittore ha schizzato meglio, eppure guarda che mostro!
PITTORE
Siete un cane!
APEMANTO
Tua madre è della mia razza. Se io sono cane lei che cos’è?
TIMONE
Pranzi con me, Apemanto?
APEMANTO
No, io non mangio signori.
TIMONE
Se li mangiassi faresti arrabbiare le signore.
APEMANTO
Oh, quelle sì che se li mangiano! E così gli si gonfia la pancia.
TIMONE
La battuta è sporca.
APEMANTO
Sei tu che la prendi così. Te la regalo, allora, per le tue fatiche.
TIMONE
Ti piace questo gioiello, Apemanto?
APEMANTO
Non quanto l’onestà, che non costa nemmeno un soldo.
TIMONE
Quanto pensi che valga?
APEMANTO
Non vale il mio pensiero. Ebbene, Poeta?
POETA
Ebbene, Filosofo?
APEMANTO
Tu menti.
POETA
Non siete filosofo?
APEMANTO
Sì.
POETA
Allora non mento.
APEMANTO
E tu non sei poeta?
POETA
Sì.
APEMANTO
E allora menti. Guarda il tuo ultimo poema, dove lo hai immaginato come un uomo degno.
POETA
Non è immaginazione. Lui è così.
APEMANTO
Sì, è degno di te, e di pagarti il lavoro. Chi ama essere adulato è degno dell’adulatore. Cielo, se fossi un signore!
TIMONE
Che faresti, Apemanto?
APEMANTO
Proprio quello che Apemanto fa adesso: odierei un signore con tutto il cuore.
TIMONE
Cosa? Odieresti te stesso?
APEMANTO
Sì.
TIMONE
E perché?
APEMANTO
Per essere stato tanto smidollato da diventare un signore. Tu non sei un mercante?
MERCANTE
Sì, Apemanto.
APEMANTO
Che il commercio ti rovini, se non lo fanno gli dei!
MERCANTE
Se mi rovina il commercio, mi rovinano gli dei!
APEMANTO
Il commercio è il tuo dio, e il tuo dio ti rovini!
Suono di trombe. Entra un Messaggero.
TIMONE
Che trombe sono queste?
MESSAGGERO
È Alcibiade con la sua salda schiera
di quasi venti cavalieri.
TIMONE
Riceveteli, vi prego. Guidateli da noi.
[Escono alcuni Servi]
Dovete mangiare con me.
Non ve ne andate, devo ringraziarvi.
Finito il pranzo, mostratemi questo pezzo.
Vedervi mi dà gioia.
Entrano Alcibiade e seguito.
Benvenuto, signore!
APEMANTO
Bene, bene! Siano le vostre
agili giunture contratte
e consumate dai dolori! Ah, che tra questi
mielati farabutti ci debbano essere
così poco amore e tante smancerie!
La stirpe dell’uomo è degenerata
in scimmie e babbuini.
ALCIBIADE
Timone, tu hai anticipato
il mio desiderio, e io, affamato,
mi nutro della tua vista.
TIMONE
Benvenuto, signore: prima di separarci
ci spartiremo ricche ore
di svariati piaceri. Ti prego, entriamo.
[Escono. Rimane Apemanto]
Entrano due Nobili.
PRIMO NOBILE
Che ora è, Apemanto?
APEMANTO
L’ora di essere onesti.
PRIMO NOBILE
C’è tempo, per quello.
APEMANTO
Tanto più maledetto tu per non approfittarne.
SECONDO NOBILE
Vai al banchetto del nobile Timone?
APEMANTO
Sì, per vedere carne che inzeppa canaglie e vino che scalda idioti.
SECONDO NOBILE
Salve, salve!
APEMANTO
Sei un idiota a dirmi salve due volte.
SECONDO NOBILE
Perché, Apemanto?
APEMANTO
Avresti dovuto tenere un salve per te, perché io non intendo dartene nessuno.
PRIMO NOBILE
Impiccati!
APEMANTO
No, non prendo ordini da te. Passa la richiesta al tuo amico.
SECONDO NOBILE
Via, cane rabbioso, o ti prendo a calci!
APEMANTO
Sfuggirò, come il cane, ai calci del somaro.
[Esce]
PRIMO NOBILE
È l’opposto dell’umano. Su, vogliamo andare
a gustare la generosità del nobile Timone?
Supera l’essenza stessa della cortesia.
SECONDO NOBILE
Trabocca. Il dio dell’oro, Plutone,
non è che il suo intendente. Non c’è merito
che lui non ripaghi sette volte tanto.
Non c’è dono che non procuri al donatore
un interesse superiore a ogni altro.
PRIMO NOBILE
Ha l’animo più nobile
che abbia mai governato un uomo.
SECONDO NOBILE
Possa vivere a lungo fortunato. Entriamo?
Vengo con voi. [Escono]
ATTO PRIMO – SCENA SECONDA
Fragoroso suono di oboe. Viene servito un grande banchetto; poi entrano Timone, Nobili e Senatori; Ventidio, che Timone ha riscattato dalla prigione; Lucullo e Alcibiade. Intendente e altri Servi. Poi, dopo tutti gli altri, viene Apemanto, scontento, secondo il suo costume.
VENTIDIO
Onoratissimo Timone, è piaciuto agli dei
ricordare l’età di mio padre e chiamarlo
a una lunga pace. Se ne è andato felice
e mi ha lasciato ricco. E allora,
poiché la gratitudine mi lega al vostro
cuore generoso, restituisco quei talenti,
raddoppiati di grazie e servigi, a colui
dal cui aiuto ho tratto la libertà.
TIMONE
No davvero, onesto Ventidio.
Fraintendete il mio affetto; l’ho dato sempre
liberamente, e nessuno può dire
d’aver veramente dato, se riceve.
I nostri superiori giochino pure
a quel gioco: noi non dobbiamo osare
di imitarli: nei ricchi, le colpe sono virtù.
VENTIDIO
Nobile spirito!
TIMONE
Le cerimonie, signori, furono inventate
per dare lustro ad azioni grigie,
benvenuti vuoti, generosità ritrosa
spiacente prima ancora di mostrarsi; ma dove
esiste vera amicizia, non ce n’è bisogno.
Vi prego, sedete: siete più benvenuti
alle mie fortune, di come le mie fortune
non lo siano a me.
PRIMO NOBILE
Signore, l’abbiamo sempre confessato.
APEMANTO
Confessato, eh? attenti alla forca!
TIMONE
Benvenuto, Apemanto.
APEMANTO
No, niente benvenuto.
Sono qui per farmi buttare fuori.
TIMONE
Via, sei un villano! Hai un temperamento
che non si addice a un uomo. È una vergogna.
Dicono, miei signori, che Ira furor brevis est,
ma quest’uomo è sempre adirato. Su,
dategli un tavolo per conto suo,
visto che non vuole compagnia.
Del resto, non è adatto ad averla.
APEMANTO
Tienimi qui a tuo rischio, Timone:
io vengo ad osservare, ti avverto.
TIMONE
Di’ quello che vuoi: sei un Ateniese, e perciò benvenuto. Io non riesco a farti tacere; spero che ci riesca il mio cibo.
APEMANTO
Io lo disprezzo, il tuo cibo: mi resterebbe sullo stomaco perché io non ti adulerei mai! Oh, dei! Quanti uomini si mangiano Timone e lui non li vede! Mi dispiace vederne tanti che inzuppano il cibo nel sangue di un solo uomo; e il colmo della pazzia è che è lui che li spinge a farlo.
Mi stupisco che l’uomo
si fidi dell’uomo:
se a pranzo lo invita
gli tolga il coltello:
la carne sarà migliore
e più certa la vita.
Gli esempi sono molti. L’amico che gli siede accanto, e che ora divide il suo pane con lui, e respira il suo stesso fiato in una bevuta comune, è l’uomo più pronto ad ammazzarlo.
La cosa è stata dimostrata.
L’uomo potente non faccia il pazzo:
a gola nuda non si azzardi a bere
e le corde vulnerabili non sveli.
L’uomo potente dovrebbe solo bere
con la gola rivestita di corazza.
TIMONE
Di cuore, signore, e fate girare il boccale.
SECONDO NOBILE
Fatelo fluire da questa parte, buon signore.
APEMANTO
Fluire da questa parte? Bravissimo. Manovra bene i suoi liquidi. Questi brindisi alla salute faranno ammalare te e la tua fortuna, Timone.
Ecco che appare
chi è troppo debole
per poter peccare:
l’onesta acqua
che mai nel fango
l’uomo ha lasciato.
Tra il mio cibo e lei
nessuna differenza:
troppo superbi i festini
per rendere grazie agli dei.
Preghiera di Apemanto.
Dei immortali io non chiedo soldi:
non prego per nessuno se non me stesso;
concedete che non sia mai così cretino,
da fidarmi dell’uomo e delle sue promesse,
o della puttana e del suo pianto,
o del cane che sembra addormentato,
o del carceriere che promette libertà,
o dei miei amici, se ne avessi bisogno.
Amen. Buon appetito.
I ricchi fanno peccato e io mangio radici.
[Mangia e beve]
Buon pro ti faccia, Apemanto.
TIMONE
Alcibiade, il tuo cuore è sul campo di battaglia.
ALCIBIADE
Il mio cuore è sempre al tuo servizio, Timone.
TIMONE
Tu preferiresti essere a una colazione di nemici che a un pranzo di amici.
ALCIBIADE
Se sono al sangue, non c’è carne migliore; augurerei un banchetto del genere al mio più caro amico.
APEMANTO
Allora vorrei che tutti questi adulatori fossero tuoi nemici, in modo che tu potessi ucciderli – e invitare me a mangiarli.
PRIMO NOBILE
Se ci deste la gioia, signore, di voler almeno per una volta approfittare dei nostri cuori, sì da farci esprimere almeno una parte della nostra sollecitudine, ci considereremmo felici in eterno.
TIMONE
Non dubitate, miei buoni amici: gli stessi dei hanno previsto che io debba avere molto aiuto da voi: perché sareste miei amici, altrimenti? Perché, tra mille, avreste quell’amoroso titolo, se non apparteneste primariamente al mio cuore? Io ho detto a me stesso di voi più di quanto voi possiate con modestia dire in vostro favore, e vi confermo amici. O voi dei, che bisogno avremmo di amici, io penso, se non dovessimo averne bisogno? Sarebbero le creature più inutili, se non dovessero mai servirci, e somiglierebbero a dolci strumenti appesi nella custodia, che tengono per sé i loro suoni. Ho perfino desiderato di essere più povero per poter essere più vicino a voi. Noi siamo nati per fare il bene, e che cosa potremmo definire nostro meglio o più propriamente della ricchezza dei nostri amici? Avere tante persone che, come fratelli, dispongono l’una delle fortune dell’altra è un conforto prezioso! O gioia che sembra finita prima ancora d’essere nata! I miei occhi non riescono a trattenere le lacrime. Per dimenticare la loro colpa, bevo a voi!
APEMANTO
Tu piangi, Timone, per farli bere.
SECONDO NOBILE
I nostri occhi hanno concepito la stessa gioia
che nello stesso istante è balzata su come un bimbo.
APEMANTO
Ah, ah! Rido pensando che quel bimbo è un bastardo.
TERZO NOBILE
Vi assicuro, signore, mi avete molto commosso.
APEMANTO
Molto. [Squillo di tromba]
TIMONE
Che significa questa tromba? Che succede?
Entra un Servo.
SERVO
Vi sono certe dame, signore, ansiosissime di venire ammesse.
TIMONE
Dame? E che cosa desiderano?
SERVO
Sono accompagnate da un araldo, signore, che ha il compito di dar voce ai loro desideri
TIMONE
Falle entrare, ti prego.
Entra Cupido.
CUPIDO
Salve a te, nobile Timone, e a tutti coloro che gustano la tua bontà. I cinque nobili sensi ti riconoscono loro patrono, e liberamente ringraziano il tuo petto generoso.
Dalla tua tavola
l’udito e l’odorato
il gusto e il tatto
s’alzano soddisfatti.
Queste dame son qui
solo per far godere la tua vista.
TIMONE
Siano tutte benvenute; siano accolte
con ogni gentilezza. Musica, per salutarle! [Esce Cupido]
LUCULLO
Vedete, signore, quanto siete amato.
Musica: rientra Cupido con un masque di Dame come Amazzoni, con liuti nelle mani, che danzano e suonano.
APEMANTO
Ehilà! Che schiera di vanità
viene da questa parte? Danzano?
Sono folli. Follia è lo sfarzo di questa vita
e questo lusso, confrontati a un po’ d’olio
e di radici. Facciamo i buffoni per divertirci
e spendiamo le nostre adulazioni per brindare
alla salute di uomini sulla cui vecchiaia
vomiteremo tutto con odio velenoso
e invidia. Quale vivente
che non sia corrotto o non corrompa?
Chi muore senza portarsi nella tomba
un insulto, dono dei suoi amici?
Io avrei paura che chi oggi balla
davanti a me, mi debba un giorno
calpestare. È già accaduto. Gli uomini
chiudono la porta in faccia
a un sole che tramonta.
I Nobili si alzano da tavola con grandi omaggi a Timone, e per dimostrare il proprio affetto ciascuno si sceglie un’Amazzone, e tutti danzano, gli uomini con le donne, qualche grave battuta di musica al suono dell’oboe; poi si fermano.
TIMONE
Belle signore, avete dato molta grazia
ai nostri piaceri, ed eleganza
alla nostra festa, che mai sarebbe stata
tanto bella e gentile. Ad essa avete aggiunto
pregio e lustro, e mi avete allietato
con la mia stessa invenzione. Debbo ringraziarvi.
PRIMA DAMA
Signore, voi ci toccate sul lato migliore.
APEMANTO
Certo, perché il peggiore è infetto: e non sopporterebbe d’essere toccato, temo.
TIMONE
Mie signore, c’è un modesto rinfresco che vi attende.
Vi prego di accomodarvi.
TUTTE LE DAME
Vi siamo gratissime, signore. [Escono Cupido e Dame]
TIMONE
Flavio!
FLAVIO
Signore?
TIMONE
Portami lo scrigno.
FLAVIO
Sì, signore. [A parte] Altri gioielli!
Impossibile contrariare il suo umore,
altrimenti dovrei dirglielo, sì, dovrei.
Quando tutto sarà speso, forse mi ascolterebbe,
se ancora potesse. Peccato che la generosità
non abbia occhi di dietro ad impedire
che l’uomo sia rovinato dal suo stesso cuore. [Esce]
PRIMO NOBILE
Dove sono i nostri uomini?
SERVO
Qui, signore, sono pronti.
SECONDO NOBILE
I nostri cavalli!
Rientra Flavio con lo scrigno.
TIMONE
Amici miei, ho una parola da dirvi:
guardate, mio buon signore,
devo pregarvi di onorarmi tanto
da dare pregio a questo gioiello;
accettatelo e portatelo, gentile signore.
PRIMO NOBILE
Vi debbo già tanti doni…
TUTTI
Come noi tutti.
Entra un Servo.
SERVO
Mio signore, alcuni nobili senatori, appena smontati da cavallo, sono venuti a farvi visita.
TIMONE
Sono più che benvenuti. [Esce il Servo]
FLAVIO
Scongiuro Vostro Onore: concedetemi una parola. Vi riguarda da vicino.
TIMONE
Riguarda me? Allora ti sentirò un’altra volta. Ti prego, provvedi a che siano ben ricevuti.
FLAVIO [a parte]
Non so quasi come.
Entra un altro Servo.
SECONDO SERVO
Vostro Onore, il nobile Lucio
in segno del suo affetto disinteressato vi dona
quattro cavalli color del latte
con finimenti d’argento.
TIMONE
Li accetterò con piacere. Questi doni
siano accolti degnamente. [Esce il Servo]
Entra un terzo Servo.
Che c’è ora? Che novità?
TERZO SERVO
Mio signore, il nobile Lucullo, onorevole gentiluomo, chiede di poter avere il piacere della vostra compagnia domani a caccia e ha inviato a Vostro Onore due coppie di levrieri.
TIMONE
Andrò a caccia con lui. E siano accolti
non senza ricambiare degnamente.
FLAVIO [a parte]
Dove arriveremo? Ci ordina di provvedere
e di offrire grandi doni, e tutto
da un forziere vuoto. Né vuole sapere
quanto ha nella borsa, o consentirmi di mostrargli
quale mendicante è il suo cuore, ormai impotente
a realizzare i suoi desideri. Le sue promesse
volano tanto al di sopra del suo stato
che tutto ciò che dice è un debito.
Per ogni parola c’è un creditore
e lui è tanto buono da pagarne gli interessi.
Le sue terre sono nei registri altrui.
Ah, potessi serenamente
lasciare il mio ufficio, prima
d’esserne scacciato a forza. Più felice
chi non ha amici da nutrire
di chi ne ha tanti che sono più esigenti
degli stessi nemici. Dentro di me
sanguino per il mio signore. [Esce]
TIMONE
Vi fate un grande torto, e troppo
sminuite i vostri meriti. Ecco un’inezia,
signore, segno del nostro affetto.
SECONDO NOBILE
La accetto con ringraziamenti senza pari.
TERZO NOBILE
È l’anima stessa della generosità.
TIMONE
E ora ricordo, signore, che l’altro giorno avete avuto parole di lode per un cavallo baio che cavalcavo. È vostro, dato che vi piaceva.
TERZO NOBILE
Perdonatemi, signore, non posso accettare.
TIMONE
Potete credere alla mia parola, signore,
se vi dico che nessuno loda veramente
ciò che non desidera. Per me
il desiderio di un amico equivale al mio,
ve lo assicuro. Verrò a trovarvi.
TUTTI I NOBILI
Nessuno sarà maggiormente il benvenuto.
TIMONE
Le vostre visite mi stanno tutte
così a cuore che il dare non è abbastanza:
ai miei amici potrei offrire regni, credo,
senza mai stancarmi. Alcibiade,
tu sei un soldato, e perciò non ricco;
dare a te è carità: perché tu vivi
tra i morti, e tutte le terre che hai
stanno in un campo di battaglia.
ALCIBIADE
Terra desolata, mio signore.
PRIMO NOBILE
Vi siamo legati così fortemente…
TIMONE
E così io a voi.
SECONDO NOBILE
Così infinitamente obbligati…
TIMONE
Io a voi. Luce, più luce!
PRIMO NOBILE
Ogni felicità, onore e fortuna,
siano con voi, nobile Timone!
TIMONE
Pronto per i suoi amici.
[Escono; restano Timone e Apemanto]
APEMANTO
Che caos! Salamelecchi e natiche sporgenti!
Dubito che le loro gambe valgano le somme
spese per loro. L’amicizia è piena di rifiuti:
i cuori falsi non hanno mai gambe buone.
Così gli onesti sciocchi sprecano
le ricchezze in inchini.
TIMONE
Ora, Apemanto, se tu non fossi scorbutico
io sarei generoso con te.
APEMANTO
No, non voglio niente; perché se anch’io dovessi farmi comprare, non ci rimarrebbe nessuno ad insultarti, e tu allora peccheresti ancora più svelto. Fai regali da tanto tempo, Timone, che ho paura che presto regalerai te stesso in cambiali. Che bisogno c’è di tante feste, lussi, e vanagloria?
TIMONE
Senti, se cominci di nuovo ad attaccare il mondo, giuro di non prestarti più ascolto. Addio, e torna con una musica migliore. [Esce]
APEMANTO
Bene. Se non vuoi ascoltarmi ora, non ci sarà un dopo.
Ti sbarrerò il tuo cielo. Ahimé,
che le orecchie degli uomini debbano essere sorde
ai buoni consigli ma non all’adulazione! [Esce]
Timone d’Atene
(“Timon of Athens” – 1605 – 1608)
Introduzione – Riassunto
Atto I
Atto II
Atto III
Atto IV
Atto V