Timone d’Atene – Atto III
(“Timon of Athens” – 1605 – 1608)
Introduzione – Riassunto
Atto I
Atto II
Atto III
Atto IV
Atto V
Introduzione al teatro di Shakespeare
Elenco opere teatrali
ATTO TERZO – SCENA PRIMA
Flaminio in attesa di parlare con Lucullo a nome del padrone; entra un Servo.
SERVO
Ho detto di voi al mio padrone. Sta scendendo.
FLAMINIO
Vi ringrazio, signore.
Entra Lucullo.
SERVO
Ecco il padrone.
LUCULLO [a parte]
Uno degli uomini del nobile Timone? Un dono, ci giurerei. Perfetto: stanotte ho sognato un bacile e una brocca d’argento. – Flaminio, onesto Flaminio, sei rispettosamente il benvenuto. Del vino. [Esce il Servo] E come sta quell’onorato, completo, generoso gentiluomo di Atene, il tuo liberalissimo buon signore e padrone?
FLAMINIO
La sua salute è buona, signore.
LUCULLO
Sono felicissimo di sentire che la sua salute è buona. E che cos’hai sotto il mantello, grazioso Flaminio?
FLAMINIO
Niente, per la verità, tranne uno scrigno vuoto, signore, che, a nome del mio padrone, vengo a chiedere a Vostro Onore di voler riempire. Avendo grande e urgente necessità di cinquanta talenti, egli mi manda a chiederli a Vostra Signoria, in nessun modo dubitando del vostro aiuto immediato.
LUCULLO
Ah, la, la, la! “In nessun modo dubitando”, dice? Ahimè, buon signore: è un nobile gentiluomo, sì, ma troppo ospitale. Molte volte, a pranzo da lui, gliel’ho detto, e ci sono tornato a cena per indurlo a spendere di meno; e tuttavia non ha mai accettato i miei consigli, non ha mai badato all’avvertimento implicito nelle mie visite. Ognuno ha le sue colpe, e la sua è la prodigalità. Gliel’ho detto e ripetuto ma non sono mai riuscito a farlo smettere.
Rientra il Servo col vino.
SERVO
Ecco il vino, Vostro Onore.
LUCULLO
Flaminio, ti ho sempre giudicato assennato. Bevo a te.
FLAMINIO
Bontà vostra, signore.
LUCULLO
Ti ho sempre considerato uno spirito cordiale e ben disposto – quel che è giusto è giusto – e uno che capisce quello che è ragionevole; e sai usare bene le circostanze, se le circostanze ti aiutano. Ci sono ottime qualità in te. [Al Servo] Tu vai. [Esce il Servo] Avvicinati, onesto Flaminio. Il tuo padrone è un uomo generoso: ma tu sei saggio e sai abbastanza bene, pur essendo venuto da me, che questi non sono tempi in cui prestare denaro, e specialmente sulla base dell’amicizia nuda e cruda, senza garanzie. Ecco tre denari per te; da bravo, chiudi l’occhio e di’ che non mi hai visto. Ti saluto.
FLAMINIO
È possibile che il mondo sia così cambiato,
e ancora vivi noi che vivevamo?
Maledetta immondizia, torna da chi ti adora!
[Gettando il denaro a Lucullo]
LUCULLO
Ah! Ora vedo che sei uno sciocco, degno del tuo padrone! [Esce]
FLAMINIO
S’aggiungano queste a quelle che ti bruceranno!
Una moneta fusa in gola sia la tua condanna,
tu malattia d’un amico, non amico!
L’amicizia ha un cuore di latte così fiacco
che caglia in meno di due notti? O dei!
Soffro la sofferenza del mio signore.
Questo schiavo del suo senso dell’onore
ha dentro di sé la carne del mio padrone:
perché dovrebbe trasformarsi per lui in nutrimento,
quando lui si trasforma in veleno?
Nutra soltanto le sue malattie,
e quando si sarà ammalato a morte,
la parte del suo corpo pagata dal mio signore
non abbia il potere di espellere il male
ma prolunghi la sua agonia! [Esce]
ATTO TERZO – SCENA SECONDA
Entrano Lucio, Ostilio e altri due Stranieri.
LUCIO
Chi? Il nobile Timone? È un uomo d’onore, un gentiluomo, un mio ottimo amico!
PRIMO STRANIERO
Per tale lo conosciamo, anche se siamo stranieri. Ma posso dirvi una cosa, signore, che ho sentito dire in giro: le ore felici del nobile Timone sono belle e finite, e le sue ricchezze si stanno dileguando.
LUCIO
Via, via, non credeteci: non è possibile che gli manchi il denaro.
OSTILIO
Ma credete a questo, signore: poco fa, uno dei suoi uomini andò dal nobile Lucullo a chiedere in prestito dei talenti, e anzi, fece grandi pressioni, mostrando tutta l’urgenza della cosa. Eppure gli fu detto di no.
LUCIO
Come?
OSTILIO
Gli fu detto di no, mio signore, credetemi.
LUCIO
Un caso veramente inaudito! Davanti agli dei, me ne vergogno. Dire di no a quell’uomo d’onore? C’era ben poco onore, in questo. Da parte mia, debbo confessare che ho ricevuto da lui delle piccole cortesie, quali denaro, argenteria, gioielli e inezie del genere – nulla in confronto a Lucullo. Eppure, se per sbaglio avesse mandato da me non gli avrei mai rifiutato i talenti, nel bisogno.
Entra Servilio.
SERVILIO
Eccolo là, per fortuna. Ho sudato per trovare Vostro Onore. Mio onorato signore!
LUCIO
Servilio? Lieto di vederti. Ti saluto. Raccomandami al tuo onorevole, virtuoso signore, il mio squisito amico.
SERVILIO
Se non dispiace a Vostro Onore, il mio padrone ha mandato…
LUCIO
Ah! Cosa ha mandato? Sono tanto grato a quel signore – manda sempre qualche cosa. Come credi che potrò sdebitarmi? E ora cosa ha mandato?
SERVILIO
Manda solo a riferire del suo urgente bisogno, signore: e chiede a Vostra Signoria di volergli fornire all’istante un certo numero di talenti – cinquanta.
LUCIO
Certo Sua Signoria vuole scherzare,
non può aver bisogno di cinquanta – o di cinquecento talenti.
SERVILIO
Ma per ora ne vuole di meno, signore.
Se la necessità non fosse vera
io non insisterei con tanta foga.
LUCIO
Parli sul serio, Servilio?
SERVILIO
Sull’anima mia è così, signore.
LUCIO
Che bestia sciagurata sono stato, a farmi trovare impreparato in questa bella occasione, in cui avrei potuto mostrarmi uomo d’onore. Che sfortuna che ieri abbia dovuto spendere per un affaruccio, perdendo così un grande onore! Servilio, davanti agli dei, non sono in grado di farlo (e tanto più bestia, dico!). – Stavo mandando io stesso a chiedere un prestito al nobile Timone – questi signori possono testimoniarlo. Ma, per tutto l’oro di Atene, ora vorrei non averlo fatto. Raccomandami caldamente a Sua Signoria; e spero che Suo Onore non penserà peggio di me se non posso favorirlo. E digli questo da parte mia: considero una delle mie massime afflizioni, ripeto, non poter compiacere un così onorevole gentiluomo. Buon Servilio, vuoi farmi il favore di riferire alla lettera le mie parole?
SERVILIO
Sì, signore, lo farò. [Esce]
LUCIO [dietro di lui]
A buon rendere, Servilio… [Agli altri] È vero: come avete detto, Timone è proprio al lumicino. E chi riceve un no una volta, è difficile che rifiorisca. [Esce]
PRIMO STRANIERO
Hai visto, Ostilio?
OSTILIO
Fin troppo bene.
PRIMO STRANIERO
Questa è l’anima del mondo
e dello stesso stampo è il gioco
di ogni adulatore. Chi può chiamare amico
chi intinge nello stesso piatto? A quel che so,
per questo signore Timone è stato un padre,
mantenendogli il credito con la sua borsa
e puntellando la sua proprietà; anzi,
è col denaro di Timone che costui ha pagato
il salario ai suoi servi. Ogni volta che beve
il suo labbro tocca l’argento di Timone!
Eppure… Oh, la mostruosità dell’uomo
quando appare in forma di ingrato.
Costui gli nega, rispetto a quel che ha,
ciò che l’uomo caritatevole dona a un mendicante.
SECONDO STRANIERO
La religione soffre a questa vista.
PRIMO STRANIERO
Da parte mia, io non ho mai assaggiato
la bontà di Timone, né alcuno dei suoi doni
mi è mai caduto addosso in segno
della sua amicizia. E tuttavia,
per l’animo nobilissimo, la virtù illustre
e la condotta onorata, dico che se si fosse
rivolto a me nel bisogno, io gli avrei messo
la mia ricchezza a disposizione, dandogli di essa
la migliore metà, tanto mi è caro il suo cuore.
Ma mi accorgo che gli uomini adesso
debbono fare a meno della pietà.
L’interesse sta al di sopra della coscienza. [Escono]
ATTO TERZO – SCENA TERZA
Entra il terzo Servo di Timone con Sempronio, un altro degli amici di Timone.
SEMPRONIO
Deve per forza seccare me?
Uhm! Prima di tutti gli altri?
Avrebbe potuto provare col nobile Lucio,
o Lucullo; e ora è ricco anche Ventidio,
che lui ha riscattato dalla prigione.
Tutti costoro debbono a lui la ricchezza.
SERVO
Mio signore, sono stati tutti saggiati prima
risultando di metallo vile, perché tutti
gli hanno detto di no.
SEMPRONIO
Come? Gli hanno detto di no?
Ventidio e Lucullo gli hanno detto di no?
E lui manda da me? Per terzo? Uhm!
Ciò dimostra scarso affetto o giudizio.
Debbo essere io il suo ultimo rifugio?
I suoi amici, come i medici, lo salassano
per poi abbandonarlo – debbo curarlo io?
Mi ha fatto un grave affronto – sono
adirato con lui. Doveva sapere
qual è il mio posto. Non capisco.
In tali circostanze avrebbe dovuto
chiedere a me per primo, perché,
in coscienza, sono stato io il primo
a ricevere un dono da lui. E adesso
mi giudica così male da pensare
che sarò l’ultimo a ricambiare? No, tutto questo
potrebbe farmi oggetto di risa, e tra i miei pari
farmi considerare un babbeo.
Gli avrei dato tre volte quella somma
se per primo avesse mandato da me.
Per puro affetto, sarei stato pronto a farlo.
Ma adesso torna da lui e unisci questa mia
alle fiacche risposte degli altri:
chi sminuisce il mio onore
non conoscerà il mio denaro. [Esce]
SERVO
Magnifico: Vostra Signoria è proprio un cialtrone. Il diavolo non sapeva cosa combinava quando ha reso l’uomo politico: si è condannato da sé. E comincio a pensare che alla fine le canagliate dell’uomo faranno apparire il diavolo innocente. Con quale abilità questo signore si sforza di apparire turpe! Prende la virtù come modello per fare il male, come quelli che, col pretesto di uno zelo ardente, metterebbero a fuoco interi regni: di tale natura è il suo affetto politico.
Questa era la speranza migliore del mio signore:
ora sono tutte fuggite, tranne gli dei.
Ora i suoi amici sono morti, e le porte
che in tanti anni di abbondanza mai conobbero
serrature, debbono essere usate
per tenere il loro padrone al sicuro.
Ecco a cosa riduce una condotta liberale:
chi non sa tenersi i suoi soldi
deve tapparsi in casa. [Esce]
ATTO TERZO – SCENA QUARTA
Entrano i due Servi di Varrone, che incontrano altri Servi dei creditori di Timone, in attesa che lui esca. Poi entra il Servo di Lucio; poi Tito e Ortensio.
PRIMO SERVO DI VARRONE
Lieto di vedervi. Buon giorno, Tito e Ortensio.
TITO
Buon giorno a te, gentile servo di Varrone.
ORTENSIO
Il servo di Lucio! Come! Ci incontriamo tutti qui?
SERVO DI LUCIO
Sì, e credo che si tratti dello stesso affare.
Il mio è il denaro.
TITO
Così il loro, e il nostro.
Entra Filoto.
SERVO DI LUCIO
E anche Filoto, signore!
FILOTO
Buon giorno a tutti.
SERVO DI LUCIO
Benvenuto, fratello. Che ore sono, secondo voi?
FILOTO
Ci avviciniamo alle nove.
SERVO DI LUCIO
Così tardi?
FILOTO
Sua Signoria non s’è ancora visto?
SERVO DI LUCIO
Non ancora.
FILOTO
Mi stupisce. Prima spuntava alle sette.
SERVO DI LUCIO
Sì, ma i giorni gli si sono accorciati.
Dovete pensare che il cammino del prodigo
è come quello del sole, ma senza
che si possa tornare indietro.
Temo che nella borsa del nobile Timone
sia pieno inverno. Si tocca il fondo
e si trova ben poco.
FILOTO
Lo temo anch’io.
TITO
Vi faccio notare uno strano evento.
Il tuo signore manda a chiedere denaro?
ORTENSIO
Proprio così.
TITO
E lui indossa gioielli donati da Timone,
dei quali aspetto io il pagamento.
ORTENSIO
Il mio cuore non lo sopporta.
SERVO DI LUCIO
Vedete com’è strano: in questo modo,
Timone deve pagare più di quanto deve:
è come se il tuo padrone portasse gioielli
preziosi e chiedesse il denaro per pagarli.
ORTENSIO
Sono stanco di tutto questo, testimoni gli dei:
so che il mio padrone ha speso il denaro di Timone
e ora l’ingratitudine
rende questo peggiore di un furto.
PRIMO SERVO DI VARRONE
Sì, il mio è di tremila corone.
Quant’è il tuo?
SERVO DI LUCIO
Il mio di cinquemila.
PRIMO SERVO DI VARRONE
È molto: e dalla somma si direbbe
che la fiducia del tuo padrone sia stata superiore
a quella del mio. Il suo credito, altrimenti,
sarebbe uguale.
Entra Flaminio.
TITO
Uno degli uomini del nobile Timone.
SERVO DI LUCIO
Flaminio? Una parola, signore. Dite, Suo Onore è pronto a uscire?
FLAMINIO
No, non è pronto.
TITO
Siamo in attesa di Sua Signoria; vi prego di informarlo.
FLAMINIO
Non ho bisogno di dirglielo; sa che siete più che diligenti. [Esce]
Entra Flavio con un mantello, il viso coperto.
SERVO DI LUCIO
Quello che si copre il viso non è il suo intendente?
Se ne va di nascosto: chiamatelo, chiamatelo!
TITO
Sentite, signore!
SECONDO SERVO DI VARRONE
Col vostro permesso, signore…
FLAVIO
Che vuoi da me, amico mio?
TITO
Aspettavamo certi soldi, signore.
FLAVIO
Sì, se il denaro fosse sicuro come
la vostra attesa, sarebbe sicuro abbastanza.
Perché non avete presentato i vostri conti
quando i vostri falsi padroni divoravano
la carne del mio signore? Sorridevano, allora,
e scodinzolavano ai suoi debiti,
trangugiando gli interessi nelle fauci affamate.
Importunando me fate danno a voi stessi.
Lasciatemi andar via tranquillo. Credetemi,
il mio signore e io l’abbiamo fatta finita:
io non ho più niente da contare, e lui
non ha più niente da spendere.
SERVO DI LUCIO
Sì, ma questa risposta non ci serve.
FLAVIO
Se non serve, non è vile come voi,
perché voi servite delle carogne. [Esce]
PRIMO SERVO DI VARRONE
Come? Cosa brontola l’Eccellenza liquidata?
SECONDO SERVO DI VARRONE
Non importa. È povero, e questa è già vendetta sufficiente. Chi non ha più un tetto sulla testa può dire quello che vuole e prendersela con i palazzi.
Entra Servilio.
TITO
Oh, ecco Servilio. Ora potremo avere una risposta.
SERVILIO
Se potessi pregarvi, signori, di tornare in un altro momento, mi fareste un grande favore. Sull’anima mia, il mio signore è terribilmente incline alla malinconia. Il suo temperamento cordiale lo ha abbandonato, si sente molto male e se ne sta chiuso in camera sua.
SERVO DI LUCIO
Molti se ne stanno chiusi in camera
senza essere malati; ma se sta tanto male
sarebbe meglio che pagasse i suoi debiti al più presto
per spianarsi la via degli dei.
SERVILIO
Cielo!
TITO
Non possiamo accettare questa risposta, signore.
FLAMINIO [da dentro]
Servilio, aiuto! Signore, signore!
Entra Timone, fuori di sé.
TIMONE
Cosa? Le mie porte si oppongono al mio passaggio?
Sono mai stato libero? e deve la mia casa
essere la mia galera, il nemico
che mi imprigiona? Il luogo che ho reso festoso
deve ora, come tutta l’umanità
mostrarmi un cuore di ferro?
SERVO DI LUCIO
Avanti, Tito.
TITO
Signore, ecco il mio conto.
SERVO DI LUCIO
Ed ecco il mio.
ORTENSIO
E il mio, signore.
ENTRAMBI I SERVI DI VARRONE
E il nostro, signore.
FILOTO
Tutti i nostri conti.
TIMONE
Datemeli in testa: spaccatemi in due.
SERVO DI LUCIO
Ahimè, signore –
TIMONE
Tagliatemi il cuore in cifre.
TITO
Il mio, cinquanta talenti.
TIMONE
Contate il mio sangue.
SERVO DI LUCIO
Cinquemila corone, signore.
TIMONE
Cinquemila gocce possono pagarlo. E il vostro?
E il vostro?
PRIMO SERVO DI VARRONE
Signore –
SECONDO SERVO DI VARRONE
Signore –
TIMONE
Fatemi a pezzi, prendetemi, e gli dei vi cadano addosso! [Esce]
ORTENSIO
In fede mia, credo che i nostri padroni possano salutare il loro denaro. Questi debiti si possono ben chiamare disperati: il debitore è impazzito. [Escono]
Rientrano Timone e Flavio.
TIMONE
Mi hanno tolto persino il fiato, maledetti!
Creditori? Diavoli, sono.
FLAVIO
Mio caro signore –
TIMONE
E se facessi così?
FLAVIO
Signore –
TIMONE
Sì, farò così. Intendente?
FLAVIO
Eccomi, signore.
TIMONE
Già qui? Avanti, chiama di nuovo
tutti i miei amici: Lucio, Lucullo,
e Sempronio. Tutti. Ancora una volta
darò una festa per le canaglie.
FLAVIO
Oh, mio signore, parlate così
perché la vostra mente è sconvolta.
Non c’è rimasto nemmeno quel che occorre
a preparare una tavola modesta.
TIMONE
Tu non preoccuparti.
Va’, te l’ordino, invitali tutti,
fa’ entrare di nuovo la marea dei lestofanti.
Il mio cuoco e io provvederemo a tutti. [Escono]
ATTO TERZO – SCENA QUINTA
Da una porta entrano tre Senatori, poi Alcibiade che li incontra con il seguito.
PRIMO SENATORE
Avete il mio voto, signore; il delitto
è sanguinoso; è necessario ch’egli muoia:
nulla come la clemenza imbaldanzisce il peccato.
SECONDO SENATORE
Verissimo: la legge deve stroncarli.
ALCIBIADE
Onore, salute e misericordia al Senato!
PRIMO SENATORE
Che c’è, capitano?
ALCIBIADE
Sono un umile supplice delle vostre virtù:
la misericordia infatti è la virtù della legge
e soltanto i tiranni la usano crudelmente.
Al tempo e alla fortuna è piaciuto pesare
su un mio compagno d’armi che, nell’ardore del sangue,
è incappato nella legge, abisso senza fondo
per coloro che, incauti, vi precipitano.
Il suo destino a parte, egli è un uomo
di preclare virtù; né macchiò il suo gesto
di codardia (un onore, in lui,
che redime la colpa) ma con nobile furia
e spirito valoroso, vedendo la propria fama
ferita a morte, s’oppose al suo nemico;
e con tale sobria e discreta passione
controllò la sua ira, prima che s’estinguesse,
che sembrava dimostrare un sillogisma.
PRIMO SENATORE
Affronti un paradosso troppo arduo, tentando
di dare un bel volto ad una brutta azione.
Le tue parole hanno compiuto ogni sforzo per imporre
l’apparenza dell’ordine a un massacro, e collocare tra i valori
una rissa: la quale invece è un valore bastardo
venuto al mondo quando vi nascevano
fazioni e sette. Valoroso davvero
è chi sa sopportare saggiamente
il peggio che uomo possa dire
e giudica i torti subiti cose esterne,
da indossare con noncuranza, come vestiti,
e non presenta al proprio cuore le offese ricevute
per metterlo in pericolo. Se i torti sono mali
e ci costringono a uccidere, che follia rischiare
per un male la vita.
ALCIBIADE
Mio signore –
PRIMO SENATORE
Non potete far sembrare innocenti
colpe grossolane; non nel vendicarsi
sta il valore ma nel sopportare.
ALCIBIADE
Miei signori, dunque, col vostro permesso,
e perdonatemi se parlo da soldato: perché
uomini sciocchi si espongono alla battaglia
e non sopportano alcuna minaccia?
Perché non ci dormono sopra, lasciando
che i nemici tranquillamente taglino loro
la gola, senza difendersi?
Se nel sopportare c’è tanto valore,
che mai facciamo in guerra? Le donne,
che se ne stanno a casa, sono allora
più valorose, se sopportare è meglio.
E il somaro più soldato del leone, il criminale
carico di catene più saggio del giudice,
se la saggezza sta nel patire.
Così come siete grandi, miei signori,
siate compassionevoli e clementi.
Chi non condanna un delitto a sangue freddo?
Uccidere, lo ammetto, è lo sfogo estremo
del peccato, ma per difesa è il più giusto,
se giudicato con clemenza. Essere irati
è cosa empia ma qual è l’uomo
che non si adira? Bilanciate il crimine con questo.
SECONDO SENATORE
Sprecate il fiato.
ALCIBIADE
Lo spreco? I servigi resi da lui
contro Sparta e Bisanzio dovrebbero bastare
a riscattargli la vita.
PRIMO SENATORE
Che dite?
ALCIBIADE
Dico, signori, che ha servito bene,
e ha ucciso in battaglia molti
dei vostri nemici. Con che valore
si comportò nell’ultimo conflitto, ricevendo
molte ferite!
SECONDO SENATORE
E molto bottino, con esse, guadagnando.
È un dissoluto inveterato; c’è un vizio in lui
che sovente lo annega, facendo prigioniero
il suo valore. Se non ci fossero nemici,
a sopraffarlo basterebbe quello. In tale
furia bestiale si sa che ha commesso
delitti e fomentato ribellione. Ci si informa
che i suoi giorni sono turpi e il suo bere pericoloso.
PRIMO SENATORE
Morirà.
ALCIBIADE
Duro destino! Avrebbe dovuto
morire in guerra. Miei signori,
se non per le sue buone qualità – sebbene
il suo braccio destro ben potrebbe
acquistargli il suo tempo, senza dovere
nulla a nessuno – tuttavia, per commuovervi
ancora di più, aggiungete ai suoi meriti
i miei e metteteli insieme; e poiché so
che alle vostre età venerande è cara
la sicurezza, offro le mie vittorie,
tutto il mio onore, in pegno della sua
riconoscenza. Se per questo delitto
egli deve alla legge la sua vita, ebbene,
sia la guerra a ricevere il suo sangue valoroso.
Perché la legge è dura ma così è la guerra.
PRIMO SENATORE
Noi siamo per la legge. Morirà.
Non insistere più se non vuoi
il massimo sdegno nostro. Fratello o amico,
chi versa l’altrui sangue perde il proprio.
ALCIBIADE
Dev’essere così? No, non deve.
Miei signori, ricordatevi di me, vi prego.
SECONDO SENATORE
Come?
ALCIBIADE
Richiamatemi al vostro ricordo.
TERZO SENATORE
Cosa?
ALCIBIADE
Non posso impedirmi di pensare
che la vostra vecchiaia mi ha dimenticato.
Non sarei, altrimenti, stimato tanto vile
da dover implorare una grazia così comune
per vedermela rifiutata. Le mie ferite
soffrono per voi.
PRIMO SENATORE
Osi sfidare la nostra ira?
È di poche parole, ma il suo spazio è immenso.
Ti bandiamo per sempre.
ALCIBIADE
Bandire me?
Bandite il vostro rimbambimento, bandite
l’usura che imbruttisce il Senato.
PRIMO SENATORE
Se tra due giorni Atene ti contiene ancora
aspettati un giudizio più pesante.
E affinché la nostra bile non si gonfi
lui sarà immediatamente giustiziato. [Escono i Senatori]
ALCIBIADE
Gli dei vi conservino abbastanza vecchi
da vivere ridotti a ossa, ripugnanti
ad ogni sguardo! Sono furioso:
ho tenuto lontani i loro nemici
mentre loro contavano i soldi e prestavano
al massimo interesse: io ero ricco
soltanto di ferite. Tutte per questo?
È questo il balsamo che il Senato usuraio
versa sulle ferite d’un capitano? Al bando?
Meglio così. Mi piace
essere messo al bando. È una causa degna
della mia bile e furia. Potrò colpire
Atene. Rallegrerò le mie truppe sconfortate,
getterò esche per altri cuori.
Scontrarsi con molti nemici è un onore
e i soldati sono come gli dei:
non debbono tollerare alcuna offesa. [Esce]
ATTO TERZO – SCENA SESTA
Entrano diversi amici di Timone e Senatori, da diverse porte.
PRIMO NOBILE
Buon giorno a voi, signore.
SECONDO NOBILE
Ve l’auguro anch’io. Credo che questo nobile signore abbia voluto solo metterci alla prova, l’altro giorno.
PRIMO NOBILE
Riflettevo proprio su questo, quando ci siamo incontrati. Spero che non sia caduto tanto in basso quanto voleva far credere per mettere alla prova i suoi amici.
SECONDO NOBILE
Non si direbbe davvero, a giudicare da questo nuovo banchetto.
PRIMO NOBILE
Direi anch’io. Mi ha mandato un invito pressante, che molti altri impegni importanti mi avrebbero dovuto far rifiutare; ma mi ha talmente spinto a trascurarli che sono dovuto venire per forza.
SECONDO NOBILE
Anch’io avevo impegni urgenti, ma lui non ha voluto sentire ragioni. Mi dispiace solo che, quando mi ha mandato a chiedere un prestito, io non avessi denaro in casa.
PRIMO NOBILE
Dispiace anche a me, ora che capisco come vanno le cose.
SECONDO NOBILE
Dispiace a tutti. Quanto vi ha chiesto?
PRIMO NOBILE
Mille pezzi.
SECONDO NOBILE
Mille pezzi?
PRIMO NOBILE
E a voi?
SECONDO NOBILE
A me, signore – ma eccolo che viene.
Entra Timone con Servi.
TIMONE
Con tutto il cuore, salute a voi, signori. Come state?
PRIMO NOBILE
Ottimamente, sapendo che sta bene Vostra Signoria.
SECONDO NOBILE
La rondine non segue l’estate più volentieri di come noi seguiamo Vostra Signoria.
TIMONE [a parte]
Né più volentieri lascia l’inverno. Gli uomini sono uccelli estivi. – Signori, il nostro pranzo non ripagherà questa lunga attesa. Nutrite le orecchie di musica, intanto, se riescono a sopportare il fracasso della tromba. Andremo a tavola al più presto.
PRIMO NOBILE
Spero di non essere apparso ingrato a Vostra Signoria, quando ho rimandato il messo a mani vuote.
TIMONE
Oh, signore, non pensateci.
SECONDO NOBILE
Mio nobile signore –
TIMONE
Sì, mio buon amico, come state?
[Viene portato il banchetto]
SECONDO NOBILE
Mio onorevole signore, mi vergogno anco-ra se penso che quando l’altro giorno Sua Signoria ha man-dato da me io ero ridotto come un mendicante.
TIMONE
Non pensateci, signore.
SECONDO NOBILE
Se solo aveste mandato due ore prima –
TIMONE
Sgombrate la memoria per cose più liete. – Su, portate tutto insieme.
SECONDO NOBILE
Tutti piatti coperti.
PRIMO NOBILE
Sarà un pasto regale, ve lo garantisco.
TERZO NOBILE
Senza dubbio, se il denaro e la stagione lo consentono.
PRIMO NOBILE
Come state? Che novità ci sono?
TERZO NOBILE
Alcibiade è stato messo al bando: lo avete saputo?
PRIMO E SECONDO NOBILE
Alcibiade al bando?
TERZO NOBILE
È così, ve lo assicuro.
PRIMO NOBILE
Come, come?
SECONDO NOBILE
Ditemi, e per che cosa?
TIMONE
Miei degni amici, volete avvicinarvi?
TERZO NOBILE
Ne parleremo dopo. Per ora ci aspetta un magnifico banchetto.
SECONDO NOBILE
Il vecchio è sempre lui.
TERZO NOBILE
Durerà? Durerà?
SECONDO NOBILE
Dura. Ma il tempo… e così…
TERZO NOBILE
Capisco.
TIMONE
Ciascuno al suo sgabello, con lo slancio con cui andrebbe verso il labbro della sua donna. Il vostro cibo sarà lo stesso per tutti. Non fatene un banchetto del Sindaco, dove le portate si raffreddano prima che ci si accordi su chi deve avere il posto d’onore. Sedete, sedete. Gli dei esigono i nostri ringraziamenti.
Voi, grandi benefattori, cospargete di gratitudine la nostra compagnia. Per i vostri doni, fatevi lodare; ma conservate qualcosa da dare, affinché le vostre deità non vengano disprezzate. Prestate ad ogni uomo abbastanza perché nessuno abbia bisogno di prestare a un altro: perché se le vostre deità dovessero prendere in prestito dagli uomini, gli uomini rinnegherebbero gli dei. Fate che il cibo sia amato più dell’uomo che lo dà. Non ci sia riunione di venti persone senza una ventina di mascalzoni. Se a tavola siedono dodici donne, una dozzina siano come sono. Il resto del vostro gregge, o dei, i Senatori di Atene, insieme al turpe volgo – per tutto quello che in loro c’è di storto, distruggeteli. In quanto a questi miei amici, poiché per me sono nulla, in nulla benediteli, e a nulla siano i benvenuti.
Scoprite, cani, e leccate.
[I piatti vengono scoperti. Sono pieni di acqua calda]
ALCUNI
Che intende Sua Signoria?
ALTRI
Chi lo sa?
TIMONE
Possiate non vedere mai
festino migliore, voi branco
di amici a parole! Il fumo e l’acqua calda
sono la cosa perfetta, per voi.
Questa è l’ultima di Timone:
che, imbrattato dalle vostre adulazioni,
se le lava e sputa sulle vostre facce
la vostra infamia puzzolente. [Gettando l’acqua sul loro viso]
Possiate vivere disprezzati, e a lungo,
sorridenti, untuosi, detestati parassiti,
distruttori cortesi, affabili lupi,
miti orsi, buffoni della fortuna,
amici da pasto, pidocchi dell’estate,
schiavi col cappello in mano e le ginocchia
per terra, vuoti vapori e banderuole!
Vi copra tutti di croste l’infinita
malattia dell’uomo e della bestia. Come?
Te ne vai? Piano, prendi prima la medicina!
E anche tu – e tu! Rimani –
ti presterò denaro, non te ne chiederò.
[Li spinge fuori]
Come? Tutti in movimento? D’ora in poi
non vi sarà banchetto in cui le canaglie
non siano ospiti graditi. Brucia, casa!
Affonda, Atene! D’ora in poi
siano odiati da Timone l’uomo
e tutta l’umanità. [Esce]
Rientrano Nobili e Senatori.
PRIMO NOBILE
Ebbene, miei signori?
SECONDO NOBILE
Conoscete la ragione della furia del nobile Timone?
TERZO NOBILE
Pfui, avete visto il mio cappello?
QUARTO NOBILE
Io ho perso il mantello.
PRIMO NOBILE
È pazzo, ed è dominato solo dai suoi umori. L’altro giorno mi ha dato una pietra preziosa e ora me l’ha strappata dal cappello. Avete visto la mia pietra?
TERZO NOBILE
Avete visto il mio cappello?
SECONDO NOBILE
Eccolo.
QUARTO NOBILE
Ecco il mio mantello.
PRIMO NOBILE
Andiamo via.
SECONDO NOBILE
Il nobile Timone è pazzo.
TERZO NOBILE
Lo sento nelle ossa.
QUARTO NOBILE
Un giorno ci regala diamanti, il giorno dopo pietre.
[Escono]
Timone d’Atene
(“Timon of Athens” – 1605 – 1608)
Introduzione – Riassunto
Atto I
Atto II
Atto III
Atto IV
Atto V