(“All’s well that ends well” 1602 – 1603)
Introduzione – Riassunto
Atto I
Atto II
Atto III
Atto IV
Atto V
Introduzione al teatro di Shakespeare
Elenco opere teatrali
Personaggi
BERTRAM, Conte di Rossiglione
La CONTESSA di Rossiglione, madre di Bertram
ELENA, orfana allevata dalla Contessa
PAROLLES, amico di Bertram
Rinaldo, MAGGIORDOMO della Contessa
Lavatch, CLOWN della Contessa
PAGGIO della Contessa
RE di Francia
LAFEW, nobile anziano
I fratelli Dumaine, due NOBILI francesi, poi al servizio del Duca di Firenze
Altri NOBILI
Due SOLDATI francesi
Un GENTILUOMO, falconiere alla corte di Francia
Un messaggero
Il DUCA di Firenze
La VEDOVA Capuleti di Firenze
DIANA, figlia della vedova
MARIANA, amica della vedova
Nobili, servi al seguito, soldati, cittadini
ATTO PRIMO – SCENA PRIMA
Entrano il giovane Bertram, Conte di Rossiglione, sua madre, la Contessa, Elena e il nobile Lafew, vestiti a lutto.
CONTESSA
Dividermi da mio figlio è come perdere due volte mio marito.
BERTRAM
E per me, signora, partire è come piangere mio padre una seconda volta. Ma devo eseguire l’ordine di Sua Maestà, da sempre mio signore, e ora mio tutore.
LAFEW
Signora, nel Re voi avrete un marito; voi, signore, un padre. La bontà che egli esercita in tutte le occasioni tanto più virtuosa sarà verso di voi, il cui merito la evocherebbe dove fosse assente: né mai la spengerebbe dove è così prospera.
CONTESSA
Che speranze ci sono della guarigione di Sua Maestà?
LAFEW
Ha congedato tutti i medici, signora, visto che con le loro cure ha solo prolungato l’attesa della speranza, senza altro vantaggio che la perdita della speranza nell’attesa.
CONTESSA
Questa giovane dama aveva un padre – com’è triste “avere” al passato! – la cui bravura ne uguagliava quasi l’onestà; che se l’avesse raggiunta avrebbe reso immortale la natura e la morte avrebbe perso il lavoro. Per il bene del Re, fosse ancora vivo! Sarebbe la fine per la malattia del Re!
LAFEW
Che nome avete detto che aveva, signora?
CONTESSA
Era famoso nella sua professione, signore, e con pieno diritto: Gerardo di Narbona.
LAFEW
Lui era eccezionale, signora. Proprio il Re ultimamente ne parlava con ammirazione e rimpianto. Era talmente bravo che sarebbe ancora vivo, se la scienza potesse sconfiggere la morte.
BERTRAM
Ma che cos’ha esattamente il Re, signore?
LAFEW
Una fistola, signore.
BERTRAM
Mai sentito dire.
LAFEW
Meglio che non si senta dire. E questa dama sarebbe la figlia di Gerardo di Narbona?
CONTESSA
Figlia unica, signore, e affidata a me. Ho ottime speranze per il suo futuro, dato che la sua educazione raffina le doti innate e dà alla sua indole un’armonia virtuosa. Quando una natura imperfetta ostenta qualità elevate, queste si riconoscono a malincuore: saranno anche virtù, ma infide. In lei, invece, spiccano per la loro rettitudine: l’onestà è ereditaria, ma la bontà è tutta sua.
LAFEW
Le vostre lodi, signora, la fanno lacrimare.
CONTESSA
È il migliore umido in cui una vergine possa conservare l’elogio ricevuto. Basta che il ricordo del padre le sfiori il cuore perché la tirannia del suo dolore tolga vita al suo volto. Ora basta, Elena, su. Basta, che non si creda che tu il dolore lo ostenti più che averlo.
ELENA
Certo che sfoggio il mio dolore, ma ce l’ho pur dentro.
LAFEW
Un compianto moderato è il diritto dei morti; un dolore eccessivo è il nemico dei vivi.
CONTESSA
Quando i vivi combattono il dolore, del proprio eccesso questo rapidamente muore.
BERTRAM
Signora, vi chiedo la benedizione.
LAFEW
Che vorrà dire?
CONTESSA
Sii benedetto, Bertram, segui tuo padre
nei modi e nell’aspetto! Sangue e virtù
in te lottino per il primato; la bontà
si cumuli al diritto di nascita! Ama tutti, fidati
di pochi, non far torto a nessuno. Affronta il nemico
più in potenza che in atto, e veglia sull’amico
come fai su di te. Accetta critiche sul tuo silenzio,
ma mai per parlar troppo. E ogni altro dono che il cielo
e che le mie preghiere possano darti
scenda sopra il tuo capo! Addio. – Signore,
questo è digiuno di corte: abbiate pazienza,
consigliatelo voi.
LAFEW
Non manca mai il successo
a chi pratica il rispetto.
CONTESSA
Il cielo lo benedica! – Addio, Bertram. Esce.
BERTRAM
Possano avere seguito tutti i migliori auspici frutto del vostro pensiero! (A Elena) Abbiate ogni premura per mia madre, vostra signora; onoratela ogni momento.
LAFEW
Addio, bella damigella: tenete alto il nome di vostro padre. Escono Bertram e Lafew.
ELENA
Non fosse che questo! Non è a mio padre che penso,
anche se con queste lacrime venero la sua memoria
più ora di quando lo piansi. Com’era veramente?
L’ho dimenticato. La mia mente
non ha posto che per Bertram.
Sono distrutta: che vivo a fare, che vita è,
se Bertram non è qui. Sarebbe come
pretendere di amare una stella rilucente
e insistere a sposarla: tanto è lontano.
Mi devo contentare del suo alone brillante,
di una luce riflessa, fuori della sua sfera.
Così l’aspirazione del mio amore si castiga:
muore d’amore la cerbiatta che agogna
di congiungersi al leone. Era bello, pur nella pena,
vederlo ogni momento, disegnarne sulla tela del cuore
le ciglia arcuate, l’occhio di falco, i riccioli –
cuore tanto proclive al tratto, al piglio del suo volto.
Ma ora è partito, e la mia mente invasa
non ha che idolatrarne i resti. Chi viene?
Entra Parolles.
Uno che parte con lui; mi piace come persona,
anche se so che razza di bugiardo è,
un gran buffone, vigliacco e nient’altro.
In fondo, però, questi inguaribili vizi
gli sono tanto connaturati da esser bene accetti
mentre la più ferrea virtù illividisce al freddo. Ma sì,
è la regola: la nuda saggezza serve l’opulenta follia.
PAROLLES
Dio ti benedica, regina delle belle.
ELENA
Anche voi, monarca dei savi.
PAROLLES
Non io.
ELENA
Né io.
PAROLLES
State forse pensando alla verginità?
ELENA
Come no? Voi, che avete un po’ del soldataccio, eccovi una domanda. L’uomo è nemico della verginità: come ci si barrica contro di lui?
PAROLLES
Tenendolo fuori.
ELENA
Ma lui carica, e la nostra verginità, per quanto eroica, è debole in difesa. Svelateci qualche mossa di resistenza.
PAROLLES
Non ce ne sono. C’è solo l’uomo che vi assedia, sistema l’esplosivo e vi fa saltare.
ELENA
Dio risparmi la nostra verginità da assaltatori e dinamitardi! Ma non c’è qualche condotta campale per delle vergini che vogliano far saltare gli uomini?
PAROLLES
Una volta che la verginità ha perso la carica, l’uomo con più facilità si prepara a saltare; ma ascoltate: per far perdere a lui la carica, voi stesse vi esponete a una tal breccia che poi perdete la cittadella. Non è pratico, nella grande società della natura, tenere in serbo la verginità. Perdere la verginità vuol dire aumentare il numero di esseri ragionevoli: nessuna vergine venne al mondo senza perdita di verginità.Voi stessa tenete della pasta con cui si fanno le vergini.La verginità, persa una volta, te la ritrovi dieci volte tanta; se invece la tieni da parte finisce che decade. Da sola, non dà calore: va data via!
ELENA
Io me la tengo ancora, anche se vorrà dire morire vergine.
PAROLLES
Detto in poche parole: è contro la legge di natura. Star dalla parte della verginità significa dare addosso alle vostre madri, che è segno incontrovertibile di ribellione. Chi s’impicca è vergine; la verginità si dà la morte e dovrebbe essere sepolta sulla pubblica via, in terra non consacrata, come un’estrema offesa alla natura. La verginità produce vermi, proprio come un certo tipo di formaggio, si consuma fino alla crosta, e muore divorando se stessa.Inoltre, la verginità è stizzosa, orgogliosa, oziosa, fatta di narcisismo, che è il peccato estremo secondo le Scritture. Non tenetela in serbo: non farete altro che perderci.Afrutto! Tempo dieci anni, vi tornerà decuplicata, che è un bell’incremento tenendo conto che il capitale resterebbe più o meno intatto. Datela via!
ELENA
E come si fa, signore, a perderla con suo pieno piacimento?
PAROLLES
Dunque, vediamo. Ma certo: facendole torto e amando chi non l’ama.È un prodotto che va a male se non si smercia: più resta fermo, meno vale. Datela via finché è vendibile, soddisfate in tempo la domanda. La verginità, come un vecchio cortigiano, porta un cappello fuori moda, tanto altisonante quanto dissonante, proprio come le fibbie e gli stuzzicadenti che ora non vanno più. Il frutto stagionato sta meglio in una torta che sulle guance di una donna: e questa vostra verginità, la verginità di cui si favella, è come una di quelle pere francesi belle vizze: sgradevole all’aspetto, secca al palato. Per la madonna, è vizza per davvero: sarà stata anche buona, ma ora, per la madonna, è solo una pera vizza.Che ci volete fare?
ELENA
Non è così la mia verginità…
Il tuo padrone ci troverà ancora mille amori:
madre, amante, amica, una fenice,
capitano e nemica, guida, dea, regina,
consiglio, tradimento, e affetto –
sua umile ambizione e superba umiltà,
suo accordo dissonante, dissonanza armoniosa,
fede, dolce malasorte; tutto un mondo
di cari, strani nomignoli che il cieco Cupido
ha tenuto a battesimo.Così che lui…
non lo so che farà. Dio lo protegga!
La corte è una scuola, e lui è uno…
PAROLLES
Uno che, di grazia?
ELENA
Cui auguro ogni bene.Peccato…
PAROLLES
Peccato che?
ELENA
Che ogni augurio non sia già vita
in atto; se solo noi, nati fra i poveri,
confinati da più umili stelle a soli auguri,
potessimo un seguito concreto presentare agli amici
manifestando ciò che invece resta solo pensiero,
per cui nessuno ci ringrazia!
Entra un Paggio.
PAGGIO
Monsieur Parolles, il mio signore vi attende. Esce.
PAROLLES
Elenuccia, addio. Se mi verrai in mente, a corte penserò a te.
ELENA
Monsieur Parolles, siete nato sotto una stella caritatevole.
PAROLLES
No, sotto Marte.
ELENA
Penso assolutamente sotto Marte.
PAROLLES
Vediamo: perché sotto Marte?
ELENA
Le armi vi hanno tenuto tanto sotto che per forza dovete essere nato sotto Marte.
PAROLLES
Quando era in fase ascendente.
ELENA
Penso più quando era regressivo.
PAROLLES
Ma perché?
ELENA
In battaglia andate tanto indietro.
PAROLLES
Per prendere più slancio.
ELENA
E scappare, quando la paura suggerisce la scappatoia. Ma la forma che racchiude in voi valore e paura è proprietà che le batte tutte, e mi piace molto il vostro stile.
PAROLLES
Ho tanto da sfaccendare che non ho tempo di risponderti a tono. Tornerò perfetto cortigiano, nel cui ruolo i miei insegnamenti aiuteranno anche te ad esserlo, se sarai aperta all’acume di un cortigiano e prona al giudizio che ti inculcherò.Sennò, va’ a sfarti nell’ingratitudine e ti fulmini l’ignoranza.Addio. Quando hai tempo, di’ le tue preghiere; quando non ne hai, ricordati degli amici. Trovati un buon marito, e fanne l’uso che lui fa di te.Allora, addio. Esce.
ELENA
Spesso i rimedi stanno solo in noi
ma li vogliamo in cielo. Il fatidico cielo
ci dà ampio spazio, ma tira indietro
il lento desiderio della nostra inazione.
Qual è il potere che mette così in alto il mio amore
che più lo vedo meno me ne sazio l’occhio?
I separati da abissi di fortuna unisce
la natura in parità di sorte, in un fraterno bacio.
Imprese straordinarie sono impossibili per chi
misura l’ardimento con la ragione, e crede
che quel che è stato non sia vero. C’è donna
capace di amor proprio che abbia perso in amore?
La malattia del Re: forse il mio piano m’inganna,
ma il mio proposito è fermo, e non mi sposto. Esce.
ATTO PRIMO – SCENA SECONDA
Squilli di tromba. Entra il Re di Francia, che porta lettere, seguito da nobili.
RE
I fiorentini e i senesi si accapigliano:
si sono battuti con ugual fortuna, e vanno avanti
con una guerra di scaramucce.
PRIMO NOBILE
Così si dice, signore.
RE
E così è. Ce ne dà la certezza
nostro cugino Re d’Austria, avvertendo
che i fiorentini cercheranno da noi
aiuti urgenti. Il nostro più caro amico
ci anticipa un parere di questo tenore:
vorrebbe che li negassimo.
PRIMO NOBILE
Il suo affetto e giudizio,
largamente dimostrati a Vostra Maestà,
garantiscono il più ampio credito.
RE
Ci ha dato le armi per rispondere:
i fiorentini avranno il nostro no prima di chiedere.
Quanto ai nostri nobili che vogliano
militare in Toscana, essi sono liberi
di stare dall’una parte o l’altra.
SECONDO NOBILE
Servirà da esperienza per la nostra nobiltà,
che langue senza gesta e respiro.
RE
Chi arriva?
Entrano Bertram, Lafew e Parolles.
PRIMO NOBILE
Il Conte di Rossiglione, sire. Il giovane Bertram.
RE
Giovane, hai il volto di tuo padre;
con te la natura è stata schietta,
mostrando più attenzione che fretta. Anche i lati morali
di tuo padre tu possa ereditare! Benvenuto a Parigi.
BERTRAM
Tutta la mia gratitudine e obbedienza a Vostra Maestà.
RE
Potessi avere ora la vigoria fisica di allora
quando io e tuo padre facemmo in amicizia
i nostri primi passi da soldati. Lui aveva talento
per l’arte militare del suo tempo, e si perfezionò
coi più ardimentosi. Ebbe una lunga carriera,
ma poi quella strega della vecchiaia ci prese entrambi
e ci mise in pensione. Mi rasserena molto
parlare del tuo buon padre.Da giovane
aveva quell’arguzia che noto bene
nei nostri nobili più giovani, ma questi scherzano
senza avvedersi che si ritorce a loro danno,
prima di mascherare la loro frivolezza con l’onore.
Come in un cortigiano, non c’era nel suo orgoglio
disprezzo o asprezza, o arroganza; se c’erano,
era per causa di un suo pari, e il suo onore,
come un orologio, sapeva al millesimo il minuto
che lo spingeva a un appunto, e solo allora
la lingua si affiatava alla mano. I servitori
li considerava come esseri di un altro mondo:
chinava il suo capo eminente al loro basso rango,
loro s’inorgoglivano della sua umiltà,
lui si calava nella loro povera lode. Un uomo così
potrebbe essere un modello per questi nostri tempi;
seguendolo, si rivelerebbero per quel che sono:
passi all’indietro.
BERTRAM
La sua buona memoria, sire,
è più ricca nei pensieri vostri che sulla sua tomba.
Non così vero suona il suo epitaffio
come nel vostro elogio regale.
RE
Potessi esser con lui! Diceva sempre –
mi sembra di sentirlo; le sue amabili parole
non lasciava cadere negli orecchi, ma ve le piantava
perché dessero frutto – e diceva: “Ch’io non più viva” –
così cominciava spesso la sua bella melanconia
nei postumi e alla fine del piacere,
a quello spento – “Ch’io non più viva” –
diceva, “quando la mia fiamma è senza olio,
nudo lucignolo in mezzo a spiriti più giovani,
i cui vigili sensi sdegnano tutto quanto non sia nuovo;
le cui menti san solo ideare nuove mode; la cui costanza
passa ancora prima di una moda”. Questo voleva.
Io, dopo di lui, come lui lo voglio;
perché non so più fare cera o miele,
Vorrei presto lasciare il mio alveare.
per far posto ad api più industriose.
SECONDO NOBILE
Ma siete amato, sire;
e chi vi ama di meno sentirà per primo la vostra mancanza.
RE
Occupo un posto, lo so. Quant’è, Conte,
che è morto il vostro medico di famiglia?
Era molto famoso.
BERTRAM
Circa sei mesi, signore.
RE
Se fosse ancora vivo, vorrei sentirlo. –
Datemi il braccio. Tutti gli altri mi hanno prostrato
con cure di ogni tipo; la natura e il male
dibattono con tutto l’agio.Benvenuto, Conte,
più caro di un figlio.
BERTRAM
Grazie, Vostra Maestà.
Escono.Squilli.
ATTO PRIMO – SCENA TERZA
Entrano la Contessa, il suo Maggiordomo Rinaldo, e il suo Clown Lavatch.
CONTESSA
Adesso voglio sentire: dicevate di questa gentildonna?
MAGGIORDOMO
Signora, la cura da me impiegata per incontrare il vostro favore spero possa essere attestata sul registro dei miei passati servigi: ché rendendo pubblici noi stessi i nostri meriti ferisce la nostra modestia e deturpa la loro purezza.
CONTESSA
Che ci fa qui questo furfante? Andatevene, briccone. Non credo a tutte le lamentele avute sul vostro conto; lo faccio per pigrizia, ma lo so che la scervellataggine per combinarne di tutte non vi manca, buonissimo come siete a studiarne sempre di nuove.
CLOWN
Vi è più che noto, signora, che sono un poveraccio.
CONTESSA
Va bene, signore.
CLOWN
No, signora, non va bene per niente che io sia povero, anche se molti dei ricchi sono dannati; ma col permesso di Vostra Signoria di metter su famiglia, io e la serva Isbel faremo del nostro meglio.
CONTESSA
Ma vuoi proprio ridurti a mendicare?
CLOWN
Mendico il vostro consenso in questa cosa.
CONTESSA
In quale cosa?
CLOWN
La cosa di Isbel e mia. Chi serve non fa lasciti, e come me la dà Dio una mano se non faccio da me qualcosa? Si dice che i pupi sono benedizioni.
CONTESSA
E tu dimmi perché ti vuoi sposare.
CLOWN
Lo chiede il mio povero me, signora. Mi spinge la carne, e non c’è che andare quando ti fa correre il demonio.
CONTESSA
Son tutte qui le ragioni di Vossignoria?
CLOWN
La verità vera, signora, è che di ragioni ne ho di sante e di sode, pensate quel che volete.
CONTESSA
E le possiamo sapere?
CLOWN
Signora, ho fatto i miei peccati, come voi e chi c’ha addosso carne e sangue, e voglio sposarmi per far penitenza.
CONTESSA
Sì, ma prima per il matrimonio che per i tuoi peccati.
CLOWN
Non ho amici, signora, e spero di averne attraverso mia moglie.
CONTESSA
Amici di quella parte sono tuoi nemici, barbogio.
CLOWN
Signora, di amiconi per la pelle voi ne sapete poco: quei manigoldi son lì per fare quello di cui ho abbastanza io. Chi ara la mia terra mi risparmia i buoi e mi lascia padrone del raccolto. Dicano che sono becco, ma loro sono la mia manodopera. Chi rassetta mia moglie mi ristora carne e sangue; chi mi ristora carne e sangue ama la mia carne e il mio sangue; chi ama la mia carne e il mio sangue è amico mio; ergo, chi si gode mia moglie è amico mio.Se gli uomini fossero contenti di esser quel che sono, non si avrebbero tante paure nel matrimonio.Per esempio: il giovane Charbon, puritano, e il vecchio Poysam, papista, con tutto che, dal lato del cuore, la religione li divide, in testa si trovano all’unisono: potrebbero suonarsi le corna come due cervi in amore.
CONTESSA
Quando la smetterai di essere una canaglia calunniosa e sboccata?
CLOWN
Sono un profeta, signora, e dico la verità nuda e cruda:
Vecchia ballata, ti ripeto,
ché gli uomini il vero non san più:
chi per destino è marito
per natura è cucù.
CONTESSA
Andatevene, ora; con voi riparlerò fra un po’.
MAGGIORDOMO
Compiacetevi, signora, di mandarlo a chiamare qui Elena: volevo parlarvi di lei.
CONTESSA
Sentite un po’, dite alla mia dama di compagnia che desidero parlarle – Elena, intendo.
CLOWN
Disse lei: fu per riprender quel visino
che i greci distrussero Troia?
Maledetta sciagura, sciagura maledetta,
fu questa di Re Priamo la gioia?
E le venne un sospiro a quel pensiero,
e le venne un sospiro a quel pensiero,
e poi questa massima lei disse:
se ogni nove cattive una è buona,
se ogni nove cattive una è buona,
è pur sempre una buona su ogni dieci.
CONTESSA
Che, una sola buona su dieci? Marrano, così cambiate il senso.
CLOWN
Invece, signora, l’ho colto bene: una buona donna su dieci, appunto.Dio volesse che così andasse il mondo tutto l’anno! Fossi parroco, mi andrebbe benone la decima in donne: una su dieci, dice! Se nascesse una buona donna a ogni cometa o terremoto, darebbe una bella rimescolatina al mazzo: ora come ora, quando un uomo prende, è più facile che gli esca il cuore che una buona donna.
CONTESSA
Andate, andate, razza di nobiluomo, e fate quello che vi ho imposto.
CLOWN
Che strano! Un uomo che gli s’impone una donna, e non succede nulla! Ché, l’onestà è puritana? Eppure non fa male a nessuno. Porta la cotta dell’umiltà sopra la tonaca nera di un cuore orgoglioso. Vado, state sicura. E Elena invece ha da venire. Esce.
CONTESSA
Era l’ora.
MAGGIORDOMO
Io so, signora, che voi amate profondamente la vostra dama di compagnia.
CONTESSA
Certamente. Suo padre me l’ha affidata, e lei stessa, indipendentemente da ogni altra cosa, ha tutti i diritti di avere tutto l’affetto possibile. Vale più di quanto è stimata, e più stima avrà di quanta ne chiederà.
MAGGIORDOMO
Signora, ultimamente le sono stato più vicino di quanto lei stessa volesse. Era sola, e comunicava con se stessa, unica ascoltatrice delle proprie parole – lei pensava, ci giurerei, che esse non fossero percepite da altri. Quello che diceva era di amare vostro figlio. La Fortuna, diceva, non era una dea, se aveva fissato una tale differenza fra le loro condizioni; e Amore non era un dio, se il suo potere non si attua che quando i suoi soggetti sono di uguale rango; e Diana non era la regina delle vergini, se lascia che il suo tenero suddito venga conquistato, senza possibilità di salvezza, al primo assalto e resti senza riscatto. Questo diceva lei nei toni più disperati di dolore che mai abbia udito proferire da vergine. E di questo ho ritenuto mio dovere informarvi prontamente, dato che, dovesse darsi un seguito funesto, vi compete conoscerne le avvisaglie.
CONTESSA
Avete fatto bene il vostro dovere: ma tenetelo per voi. Molti elementi me l’avevano già fatto notare, ma erano in equilibrio così incerto, che non sapevo se crederci o non crederci. Vi prego, lasciatemi. Tenete ben segreto tutto questo, e intanto vi ringrazio per la vostra onesta premura. Ne riparleremo dopo. Esce il Maggiordomo.
Entra Elena.
CONTESSA
Anch’io ero così da giovane:
son cose nostre com’è vero che siamo tutte natura;
non c’è rosa di gioventù senza la sua spina –
nasce col nostro sangue come quello con noi.
È il segno e il timbro della veracità della natura
la foga dell’amore che s’imprime sulla gioventù.
Lo dice il ricordo del tempo passato
che se fu colpa noi la commettemmo, ad altro non pensando.
Ha nell’occhio il suo male: ora mi è chiaro.
ELENA
Che desiderate, signora?
CONTESSA
Sai, Elena,
sono come una madre per te.
ELENA
La mia onorata signora.
CONTESSA
Madre, madre.
Perché non madre? Quando ho detto “madre”,
sembrava tu avessi visto un serpente.
Che ha “madre” da farti trasalire? Se dico tua madre,
ti conto fra quelli nati dal mio grembo. Succede spesso
che l’adozione lotti con la natura, e poi si scelga
di crescere indigeno innesto da seme forestiero.
Tu non mi hai inflitto mai pene di parto,
eppure io ti esprimo la premura di madre.
Misericordia, ragazza mia! Ti si caglia il sangue
se dico che sono tua madre? Che succede?
Che adesso questa instabile messaggera di umidità,
iride multicolore, ti intumidisce l’occhio?
È perché sei mia figlia?
ELENA
Non lo sono.
CONTESSA
Dico che sono tua madre.
ELENA
Perdonatemi, signora.
Il Conte di Rossiglione non può essermi fratello:
la sua è una casa onorata, la mia umile.
Di nessuna nota i miei genitori; i suoi, nobili.
Mio signore, mio caro padrone, lui, e io,
finché vivo, sua serva e, alla morte, sua vassalla.
Non può esser mio fratello.
CONTESSA
Né io tua madre?
ELENA
Siete mia madre! Lo vorrei davvero –
purché il mio signore vostro figlio non mi fosse fratello-
che mi foste madre! Che foste madre di noi due –
l’avrei caro non meno che del cielo –
ma no sua sorella. Non c’è altra via
che io, da vostra figlia, non abbia lui per fratello?
CONTESSA
Sì, Elena, potresti essere mia nuora.
Non vorrai mica rifiutare! Queste “figlia”
e “madre” ti rendono nervosa.Ma come, impallidisci?
Il mio sospetto vede la tua passione. Capisco ora
il mistero della tua solitudine, e scopro
la causa delle tue lacrime salate.È tutto chiaro:
ami mio figlio.Non c’è sfacciata simulazione
che dica non è vero contro la certezza del tuo amore.
Dimmi la verità: ma devi dire sì.Guarda: le tue gote
se lo confessano a vicenda, e i tuoi occhi
lo leggono così tangibile e nel tuo contegno
che a modo loro parlano; solo il segreto
e una feroce ostinazione ti legano la lingua,
facendo dubitare della verità.Parla: è così?
Se è così, hai combinato un bel pasticcio…
Sennò, giura di no; comunque, ti ordino,
se vuoi che il cielo mi ascolti a tuo favore,
dimmi la verità.
ELENA
Perdonatemi, mia buona signora.
CONTESSA
Ami mio figlio?
ELENA
Perdono, nobile padrona.
CONTESSA
Ami mio figlio?
ELENA
E voi non l’amate, signora?
CONTESSA
Non sfuggire. Il mio amore per lui ha dei confini,
per ragioni di mondo.Avanti, su, rivela
lo stato dei tuoi sentimenti, perché la tua attrazione
si è ormai dichiarata.
ELENA
E allora lo confesso,
qui in ginocchio, al cospetto di voi e del cielo:
amo vostro figlio, più di voi stessa e dopo il cielo.
La mia famiglia era povera ma onesta: così io amo.
Non pensate male: che sia io ad amarlo
a lui non porta danno: no, io non lo perseguito
con dei mezzucci da corteggiamento pretenzioso,
perché lo voglio solo se l’avrò meritato,
e ancora non so se il merito l’avrò.
So solo che amo invano, lotto coll’inoppugnabile speranza.
Ma non smetto di versare il fiume del mio amore
in questo capace ma incontinente colabrodo,
e così lo disperdo.Sì, come un indiano,
con religioso errore, adoro il sole
che dà uno sguardo al suo cultore
ma non fa mostra di conoscerlo.Signora carissima,
non opponete al mio amore il vostro odio,
perché il mio amore è il vostro.
Ma se voi stessa, in cui l’onore degli anni
parla di una virtuosa gioventù, abbiate mai –
con la vera intensità della passione –
desiderato castamente, amato caramente,
tanto da far di Diana, oltre se stessa, dea dell’amore,
abbiate compassione per lo stato di una
che non ha scelta che dare fino a perdere sé;
che non cerca il proprio oggetto per trovarlo,
ma, come l’oracolo, le è dolce vivere la propria morte.
CONTESSA
Di’ la verità: non avevi in mente
d’andare a Parigi?
ELENA
Sì, signora.
CONTESSA
Perché? La verità.
ELENA
Vi dirò la verità, lo giuro sulla grazia divina.
Sapete che mio padre mi ha lasciato alcuni preparati
di rara e dimostrata efficacia, vere panacee,
che aveva trovato nei suoi studi ed esperimenti;
e lasciò detto che li conservassi con estrema cura,
essendo prescrizioni le cui proprietà generali
erano superiori alla conoscenza che se ne aveva.
Fra essi c’è un rimedio, brevettato e sperimentato,
utile per curare il debilitante disturbo
per cui il Re viene dato per spacciato.
CONTESSA
Questo il solo motivo per andare a Parigi? Parla.
ELENA
Mi ci ha fatto pensare il mio signore vostro figlio –
altrimenti Parigi, la medicina e il Re
forse sarebbero stati assenti dal corso
dei miei pensieri.
CONTESSA
Pensi davvero, Elena,
che se tu proponessi il tuo presunto rimedio,
il Re lo proverebbe? Lui e i suoi medici
su questo sono concordi: lui, che loro siano impari
al suo male – e così loro. Come potranno dar retta
a una povera vergine incolta, quando le accademie,
vuote di dottrina, hanno lasciato il male
a seguire il suo corso?
ELENA
C’è una cosa da calcolare
oltre la scienza di mio padre, senza pari
nella sua professione: che la sua buona ricetta,
per averla io ereditata, sarà salutata
dagli astri della fortuna in cielo. Se Vostro Onore
mi lascerà libera di provare, arrischierò
questa mia vita da buttare per la guarigione
di Sua Grazia il tale giorno, alla tale ora.
CONTESSA
Ne sei proprio sicura?
ELENA
Sì, signora, scientemente.
CONTESSA
Allora, Elena, abbi la mia licenza e affetto,
e mezzi, servi, i miei saluti più cari
ai miei congiunti a corte.Io resto a casa
pregando Dio che benedica la tua prova.
Parti domani, e sii certa di questo:
non ti mancherà tutto l’aiuto che ti posso dare. Escono.
Tutto è bene quel che finisce bene
(“All’s well that ends well” 1602 – 1603)
Introduzione – Riassunto
Atto I
Atto II
Atto III
Atto IV
Atto V