(“The tempest” 1611/1612)
Introduzione – Riassunto
Atto I
Atto II
Atto III
Atto IV
Atto V
Introduzione al teatro di Shakespeare
Elenco opere teatrali
ATTO QUARTO – SCENA PRIMA (unica)
(Davanti alla grotta di Prospero.)
Entrano Prospero, Ferdinando, e Miranda.
PROSPERO
Se vi ho punito con troppo rigore
La ricompensa, ora, ne fa ammenda,
Perché io vi ho dato, qui,
Un terzo della mia stessa vita –
Ciò per cui ora vivo.
E, una volta ancora,
Lo affido alla tua mano.
Tutte le vessazioni che hai subito
Erano prove per il tuo amore
E tu le hai stranamente superate.
Qui, davanti al Cielo,
Ratifico questo mio ricco dono.
O Ferdinando
Non sorridere di me perché mi glorio di lei:
Scoprirai che ella supera ogni elogio
E lo lascia arrancare alle sue spalle.
FERDINANDO
Lo credo
Anche contro un oracolo.
PROSPERO
E allora, quale mio dono,
E acquisto che tu stesso
Hai degnamente fatto,
Prendi mia figlia. Ma bada,
Se infrangi il suo nodo verginale
Prima che celebrate siano
Con ogni santo rito
Tutte le sacramentali cerimonie,
Il Cielo non aspergerà con dolci umori
Questo contratto per renderlo fecondo
Ma lo sterile odio, il disdegno
Dall’occhio torvo e la discordia
Ammorberanno il vostro letto
Con malerba tanto disgustosa
Che lo odierete entrambi.
Dunque aspettate la luce
Delle torce di Imene.
FERDINANDO
Poiché io spero
In giorni tranquilli,
Una bella prole e lunga vita
Con un amore come questo,
L’anfratto più segreto,
Il luogo più opportuno,
La tentazione più forte
Del nostro genio maligno
Non muteranno mai
Il mio onore in lussuria
Per intaccare la lama
Della celebrazione di quel giorno
In cui penserò
Che i destrieri di Febo siano zoppi
O la Notte incatenata in basso.
PROSPERO
Ben detto: siedi e conversa con lei. È tua.
Ehi, Ariel, servo mio industrioso, Ariel!
Entra Ariel
ARIEL
Cosa vuole
E mio potente signore? Eccomi!
PROSPERO
Tu e i tuoi aiuti
Avete eseguito con bravura
Il vostro ultimo lavoro,
E io debbo usarvi
Per un altro spettacolo.
Chiama la compagnia
Di cui ti ho messo a capo.
Vengano qui al più presto
Perché debbo presentare
Agli occhi di questa giovane coppia
Qualche scampolo della mia Arte.
È una promessa,
E s’aspettano che la mantenga.
ARIEL
Subito?
PROSPERO
Sì, in un batter d’occhio.
ARIEL
Prima che tu dica “vieni” e “va”
E respiri due volte e gridi “sì”,
Saltellando sull’alluce
Con smorfie e lazzi
Saranno tutti qua.
Ma tu mi vuoi bene, padrone,
Oppure no?
PROSPERO
Tanto, mio delicato Ariel.
Ma entra solo
Quando io ti chiamo.
ARIEL
Bene, capisco. Esce.
PROSPERO
Bada a essere fedele.
Non allentare
Le redini al capriccio.
Per il fuoco del sangue
I giuramenti più forti
Sono paglia.
Sii più casto, o altrimenti,
Buona notte al vostro voto!
FERDINANDO
Ve lo garantisco, signore.
La bianca, fredda, vergine neve
Sul mio cuore
Placa l’ardore dei miei sensi.
PROSPERO
Bravo. Ariel! Vieni in scena.
Porta abbondanza di spiriti,
E non penuria.
Presto, scena!
Via la lingua! Solo occhi! Silenzio! (Dolce musica.)
Entra Iris.
IRIS
O Cerere, signora generosa,
I tuoi campi ricchi di grano e orzo,
Segala, piselli, veccia, avena,
Le tue montagne erbose dove vivono
Greggi brucanti, e i prati di pianura
Rigonfi di foraggio per nutrirle –
Le tue rive merlettate di fiori
Che lo spugnoso Aprile
Ad un tuo gesto adorna
Perché vi intreccino caste ghirlande
Le fredde Ninfe –
E le tue macchie di ginestra
La cui ombra l’amante abbandonato
Ama, ricordando la sua donna –
La tua vigna abbarbicata al palo
E la riva marina sterile e rocciosa su cui
Scendi a respirare –
Questi luoghi la Regina del Cielo,
Della quale io sono
Arco d’acqua e messaggera,
Ti ordina di lasciarli
E con sovrana grazia
Discende Giunone.
Su questo spazio erboso, proprio questo,
Ti chiede
Di venire a svagarti – i suoi pavoni
Già s’accostano in volo. A riceverla
Vieni, ricca Cerere.
Entra Cerere.
CERERE
Salve, multicolore messaggera,
Che mai disobbedisci alla sposa di Giove
E con ali di zafferano spargi sui miei fiori .
Gocce di miele, spruzzi rinfrescanti
E coi due capi del tuo arco azzurro
I miei acri boscosi ed i miei colli
Riarsi incoroni, ricco scialle
Della mia terra orgogliosa – dimmi,
Perché la tua regina mi ha chiamato
Su questo prato d’erba tenera?
IRIS
Per celebrare un contratto d’amore
Ed elargire un dono generoso
Agli amanti felici.
CERERE
Arco celeste, certo tu sai
Se Venere e suo figlio
Sono al seguito della Regina.
Da quando tramarono il complotto
Con cui l’oscuro Dite
Rapì mia figlia, io ho rinnegato
La compagnia corrotta
Del fanciullo bendato e della madre.
IRIS
Non temere la sua presenza.
Ho incontrato la dea
Che fendeva le nubi verso Pafo
E il figlio
Trasportato con lei dalle colombe.
Con un qualche incantesimo dei sensi
Speravano di impossessarsi
Di questa fanciulla e di quest’uomo
Che hanno fatto voto
Di non pagare tributo di talamo
Prima che venga accesa
La torcia di Imene.
Ma la speranza è vana, e l’impetuosa
Amante di Marte se ne è andata:
Suo figlio dalla testa di vespa
Ha spezzato le frecce e giura
Che non ne vuol più lanciare.
Giocherà coi passeri e sarà
Come gli altri ragazzi.
CERERE
L’altissima Sovrana, la grande Giunone
È qui – la riconosco all’incedere.
GIUNONE
Come stai, generosa sorella?
Vieni con me a benedire questa coppia,
Perché sia prospera
E onorata nella prole. Cantano:
Onore, ricchezza,
Nozze benedette,
Lunga discendenza e figliolanza,
Gioie continue
Scendano su di voi.
Giunone canta
La sua benedizione.
CERERE
Terra feconda, raccolto abbondante,
Dispense e granai sempre ricolmi,
Vigne cariche di grappoli fitti,
Piante ricurve sotto il peso –
Appena finito il raccolto
Sopraggiunga per voi la primavera!
Carestia e bisogno
Vi stiano lontani –
La benedizione di Cerere
È su di voi.
FERDINANDO
Questa è una visione regale
E magicamente armoniosa.
Posso osare
Di chiamarli spiriti?
PROSPERO
Spiriti che con la mia Arte
Ho evocato dai loro confini
Per inscenare
Queste mie fantasie.
FERDINANDO
Fatemi vivere qui per sempre:
Un padre così prodigioso e così saggio
Rende questo luogo il paradiso.
Giunone e Cerere bisbigliano e affidano a Iris una missione.
PROSPERO
Silenzio, ora, piano!
Giunone e Cerere bisbigliano tutte serie –
C’è qualche altra cosa – taci,
O l’incantesimo si spezza.
IRIS
Voi Ninfe dei ruscelli serpeggianti,
Voi dal nome di Naiadi, con le vostre
Corone di alghe e Paria sempre mite,
Lasciate i canali increspati
E su questa verde terra
Rispondete all’appello.
Giunone comanda: venite,
Caste Ninfe, e aiutate a celebrare
Un contratto d’amore: non tardate.
Entrano alcune Ninfe.
Voi falciatori bruciati dal sole,
Spossati dall’agosto, lasciate
Il solco e siate allegri:
Fate vacanza, mettetevi
Il cappello di paglia
E queste fresche ninfe
Fatele danzare,
Ognuno di voi,
Nella danza campestre.
Entrano dei Mietitori, in costume acconcio: si uniscono alle Ninfe in armoniosa danza – verso la fine della quale Prospero ha un improvviso sussulto e parla; dopo di che, con uno strano, cupo o confuso rumore, pesantemente svaniscono.
PROSPERO (a parte)
Avevo dimenticato la vile congiura
Del bestiale Caliban e dei suoi complici
Contro la mia vita. Il momento finale del complotto
È quasi arrivato. (Agli Spiriti.) Bravi!
Ma ora via! Basta!
FERDINANDO
È strano: tuo padre è preda
Di una qualche passione
Che fortemente lo agita.
MIRANDA
Mai, prima d’oggi,
L’ho visto così toccato dall’ira,
Così inquieto.
PROSPERO
Figlio mio, hai l’aria stravolta,
Sembri spaventato. Sii sereno.
Il nostro spettacolo è finito.
Questi nostri attori,
Come ti avevo detto,
Erano tutti spiriti
E si sono dissolti nell’aria,
Nell’aria sottile.
E, come l’edificio senza fondamenta
Di questa visione,
Le torri ricoperte dalle nubi,
I palazzi sontuosi,
I templi solenni,
Questo stesso vasto globo, sì,
E quello che contiene,
Tutto si dissolverà.
Come la scena priva di sostanza
Ora svanita
Tutto svanirà
Senza lasciare traccia.
Noi siamo della materia
Di cui son fatti i sogni
E la nostra piccola vita
È circondata da un sonno.
Ma scusatemi – sono turbato.
Perdonate la mia debolezza –
La mia vecchia mente è agitata.
Ma non preoccupatevi
Per la mia infermità. Se non vi spiace,
Ritiratevi nella mia grotta a riposare:
Io farò qualche passo in giro per calmare
Questa testa che batte.
FERDINANDO e MIRANDA
Vi auguriamo tranquillità. Escono.
PROSPERO
Vieni rapido come il pensiero. Ti ringrazio.
Ariel, vieni.
Entra Ariel.
ARIEL
Coi tuoi pensieri sono una cosa sola.
Che desideri?
PROSPERO
Spirito, dobbiamo prepararci
Ad affrontare Caliban.
ARIEL
Sì, mio condottiero.
Mentre presentavo Cerere
Volevo ricordartelo ma temevo
La tua collera.
PROSPERO
Dimmi di nuovo,
Dove hai lasciato questi manigoldi?
ARIEL
Te l’ho detto, padrone:
Erano paonazzi dal gran bere;
Così pieni di coraggio
Che picchiavano l’aria
Perché gli respirava sul viso;
E percuotevano la terra
Perché gli baciava i piedi – ma sempre
Con la testa al loro piano.
Allora mi sono messo
A battere il tamburo, e loro,
Come puledri selvaggi
Hanno drizzato gli orecchi
Sbarrato gli occhi
Sollevato il naso
Quasi fiutando odore di musica.
E io ho tanto incantato
Il loro udito che, come vitelli,
Hanno seguito i miei muggiti
Per rovi dentati,
Ginestre taglienti, saggina
Acuminata e spine che gli entravano
Negli stinchi molli: alla fine
Li ho lasciati nello stagno
Dalla lurida schiuma
Dietro la tua grotta,
A ballare lì dentro fino al mento,
Con l’acqua sporca che puzzava
Più dei loro piedi.
PROSPERO
Ben fatto, uccellino mio.
Resta invisibile,
Va nella mia casa e prendi
La roba del teatro. Farà da esca
Per acchiappare questi ladri.
ARIEL
Vado, vado. Esce.
PROSPERO
Un diavolo, un diavolo nato.
Sulla sua natura l’educazione
Mai potrà attecchire –
Le mie cure umane su di lui
Tutte perdute, tutte, tutte.
E come il suo corpo
Si fa più brutto con l’età
Così il suo animo
Si incancrenisce.
A tutti e tre darò la caccia
Fino a farli ruggire.
Rientra Ariel carico di abiti scintillanti ecc.
Su, stendili su questa corda.
(Prospero e Ariel rimangono, invisibili.)
Entrano Caliban, Stefano e Trinculo, tutti bagnati.
CALIBAN
Camminate piano, vi prego,
Affinché la cieca talpa
Non senta i nostri passi.
Siamo vicini alla sua grotta,
STEFANO
Mostro, la tua fata, la tua fatina innocua ci ha fatto un bello scherzo di merda.
TRINCULO
Mostro, puzzo tutto di piscio di cavallo, e il mio naso è pieno di indignazione.
STEFANO
E anche il mio. Hai sentito, mostro? Se dovessi arrabbiarmi con te, bada…
TRINCULO
Saresti un mostro finito.
CALIBAN
Mio buon signore, concedimi ancora
Il tuo favore. Sii paziente.
Il premio cui ti guiderò
Maschererà questo infortunio.
Parla piano, perciò.
Tutto è ancora silenzio
Come a mezzanotte.
TRINCULO
Sì, ma perdere le bottiglie nello stagno…
STEFANO
Non c’è solo vergogna e disonore in ciò, mostro, ma perdita incalcolabile.
TRINCULO
Per me questo è molto peggio della bagnatura, eppure è stata la tua fatina innocente, Mostro.
STEFANO
Quella bottiglia la ripescherò, anche se sono morto di fatica.
CALIBAN
Ti prego, mio Re, sta calmo.
Vedi, questa è la bocca della grotta:
Non fare rumore ed entra.
Compi quel buon delitto
Che può rendere quest’isola per sempre tua
E me, il tuo Caliban,
Per sempre tuo leccapiedi.
STEFANO
Dammi la mano. Comincio ad avere pensieri di sangue.
TRINCULO
O re Stefano! O monsignore! O illustre Stefano! Non vedi che guardaroba c’è qui per te?
CALIBAN
Lascia stare, idiota, sono stracci che non valgono niente.
TRINCULO
Oh, oh, mostro! Gli stracci del rigattiere noi li sappiamo riconoscere. O re Stefano!
STEFANO
Lascia stare quella veste, Trinculo – per questa mano, la voglio io!
TRINCULO
Tua Grazia la avrà!
CALIBAN
L’idropisia anneghi questo buffone.
Ma siete matti
A rimbambirvi per questa spazzatura?
Lasciate stare. L’omicidio,
Prima. Quello, se si sveglia,
Ci riempirà di pizzichi da capo a piedi
E farà cose strane di noi.
STEFANO
Calmati, mostro. Signora corda, questa non è la mia casacca? Ora la casacca è sotto la corda: ora, casacca, forse perderai i capelli e diventerai una casacca pelata.
TRINCULO
Sì, sì, peliamo a regola d’arte, se non dispiace a Vostra Grazia – pelo e contropelo.
STEFANO
Ti ringrazio per la battuta: a te un vestito. Finché sarò io il Re di questo paese, lo spirito sarà ricompensato. “Pelo e contropelo” è un’ottima battuta – eccotene un altro.
TRINCULO
Avanti, mostro, vischio alle dita e attacca col resto.
CALIBAN
Non ci sto: perderemo tempo
E saremo tutti trasformati
In oche selvatiche o in scimmie
Dalla fronte mostruosamente bassa.
STEFANO
Svelto con le dita, mostro: aiutaci a portare questa roba là dove tengo il vino, o ti scaccerò dal mio regno. Avanti, porta questo.
TRINCULO
E questo.
STEFANO
Sì, e anche questo.
Si sentono cacciatori. Entrano vari Spiriti, in forma di cani e levrieri, che li inseguono, incitati da Prospero e Ariel.
PROSPERO
Dai, Montagna, dai!
ARIEL
Avanti, Argento, prendili!
PROSPERO
Furia, ehi, Furia! Su, Tiranno, dai! Avanti, avanti!
(Caliban, Stefano e Trinculo vengono cacciati via.)
Ordina ai miei spiriti
Di spezzargli le giunture
Con secche convulsioni,
Di accorciargli i muscoli
Con crampi di vecchiaia
E a furia di pizzichi macchiarli
Più della pantera o del leopardo!
ARIEL
Senti, ruggiscono!
PROSPERO
La caccia non abbia requie. Ora
Tutti i miei nemici
Sono alla mia mercé. Tra breve
Le mie fatiche finiranno e tu
Avrai l’aria in libertà.
Seguimi e servimi
Ancora un poco. Escono.
La tempesta
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